Martirologio Romano: A Milano, san Riccardo (Erminio Filippo) Pampuri, che dapprima esercitò con generosità nel mondo la professione di medico e, entrato poi nell’Ordine di San Giovanni di Dio, dopo circa due anni riposò in pace nel Signore.
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Riccardo Pampuri, al secolo Erminio Filippo Pampuri nasce a Trivolzio (Pavia) il 2 agosto 1897; era il penultimo degli 11 figli di Innocente Pampuri e Angela Campari.
La madre morì di tubercolosi quando lui aveva 3 anni. Nel frattempo sorsero difficoltà economiche per il padren e per questo fu affidato agli zii materni, i due fratelli Maria e Carlo Campari, che vivevano a Torrino, non lontano da Trivolzio, insieme ai genitori poiché non si erano mai sposati.
Qualche anno dopo il padre morì nel 1907 in un incidente stradale. Erminio, anni dopo, raccontò: “Ero troppo piccolo per provare dolore e capire che perdita avevo subìto, ma più trascorrevano gli anni e più sentivo la mancanza di due genitori che avevano saputo trasmettere a noi figli l’amorevole spirito cristiano“.
Cominciò a frequentare il ginnasio a Milano, ma si trovò in difficoltà a causa dell’ambiente a lui non congeniale, malgrado la presenza della sorella Maria, con la quale ebbe sempre un ottimo rapporto, che proseguì anche quando lei entrò in convento, dove prese il nome di suor Longina. Gli zii, valutata la situazione, decisero comunque di trasferirlo a Pavia, dove frequentò il liceo “Ugo Foscolo”, dimostrando inclinazione per le materie scientifiche. A chi gli chiedeva del suo futuro, rispondeva: “Da grande voglio fare il medico. Voglio aiutare i bisognosi, essere utile a chi non ha la forza di andare avanti “. Conseguita la maturità, si iscrisse alla Facoltà di Medicina dell’Università di Pavia nell’anno accademico 1915-1916, forse per seguire l’esempio dello zio, medico condotto.
Nel 1917 dovette interrompere gli studi perché fu richiamato alle armi: svolse il servizio nel Corpo di Sanità, dove ricoprì il grado di caporale. Si trovava nei pressi di Caporetto, in un ospedale da campo, quando gli italiani si dovettero ritirare precipitosamente fino alla linea del Piave per evitare l’accerchiamento. In mezzo alla confusione e allo sbandamento, Erminio riuscì da solo a salvare le attrezzature mediche più utili alla cura dei feriti.
Questo gesto gli fruttò la promozione a sergente, la medaglia di bronzo al valore, una licenza premio e una brutta pleurite, dalla quale non si riprese mai del tutto. Proprio mentre si trovava in guerra, si fece sentire sempre più forte la chiamata di Dio, tanto che quando non era impegnato a medicare le ferite, si raccoglieva per ore ed ore in preghiera.
Nel 1918, ancora prima di essere congedato, poté riprendere gli studi. Nel 1920 fu congedato con il grado di sottotenente. Nel 1921 si laureò con il massimo dei voti. Durante la festa di laurea disse: “Tornai a casa con le idee chiare sul mio futuro: avrei dedicato la mia esistenza agli altri, avrei sacrificato me stesso per salvare più vite possibili e ora voglio trasformare l’esercizio dell’arte medica in missione di carità“.
Nel 1923 divenne medico condotto di Morimondo, un paese non lontano da Trivolzio, in cui la popolazione era sparsa in vari cascinali di campagna. Lì si fece subito amare per il suo spirito di abnegazione verso i poveri, per il modo caritatevole di curarli, spesse volte senza farsi pagare ma, al contrario, portando ai più bisognosi i medicinali e il denaro necessario per non morire di fame. “Ecco il santo dottore”, lo additava spesso la gente, stupita dalla competenza e compassione che quel giovane medico dimostrava verso i poveri e i sofferenti. Eppure, nonostante fosse impegnato tutto il giorno nelle visite agli ammalati sparsi nella campagna, Erminio trovava sempre il tempo per raccogliersi in preghiera , assistere alla Messa e affidare al Signore le anime dei propri pazienti.
Nel 1924 i medici, per prassi, si dovettero iscrivere tutti al Sindacato Nazionale Fascista dei Medici Condotti, ma Erminio si rese conto quasi subito che il fascismo era un regime oppressivo e si dimise. La lettera di dimissioni diceva, tra l’altro, “ritenendo io di poter essere patriota anche militando in altro partito più corrispondente ai miei principi morali e politici, né volendo per qualsiasi interesse materiale rinunciare alla mia libertà al riguardo, ho ritenuto doveroso presentare le mie dimissioni dal SNFMC“.
In questo periodo affrontò anche l’argomento del rapporto fra scienza e fede. La sua tesi era che non esisteva alcun contrasto fra le verità di scienza e quelle di fede: le contraddizioni sono solo apparenti e sono dovute all’ignoranza o, comunque, a un’imperfetta conoscenza. Adduceva a suo favore la vicenda di Pasteur, il quale veniva attaccato dai sostenitori della “generazione spontanea”. Pasteur, per difendere la fede dall’accusa dei materialisti, “scoprì il meraviglioso mondo dei microrganismi”.
Svolgendo il lavoro di medico scoprì sempre di più la sua vocazione religiosa, soprattutto nell’aiuto ai poveri e sofferenti. Fondò e animò il circolo di Azione Cattolica a Morimondo e collaborò con il parroco Cesare Alesina. Le attività spaziavano dalla formazione di una banda musicale all’organizzazione di esercizi spirituali ignaziani.
Nel 1927 Erminio maturò la decisione di aderire all’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio, meglio conosciuto come Fatebenefratelli. Malgrado la contrarietà degli zii entrò in convento il 22 giugno 1927. Vestì l’abito dei Fatebenefratelli il 21 ottobre dello stesso anno e prese il nome di Riccardo in onore di Riccardo Beretta, il sacerdote a cui Erminio si era affidato come guida spirituale.
Il “quarto voto” dei Fatebenefratelli, che prescrive l’ospitalità e l’assistenza ai malati, lo spinse, all’Ospedale Sant’Orsola di Brescia, ad occuparsi, oltre che del servizio medico, anche di servizi più umili, ma come lui stesso diceva: “Tutto quello che si fa per Dio, è tutto grande, sia con la scopa, sia con la laurea di medico“.
Si occupò della formazione dei confratelli che dovevano diventare infermieri, e infine gli venne affidato l’ambulatorio dentistico dell’ospedale. Anche lì Riccardo aveva uno scopo: “Prego affinché la superbia e l’egoismo non abbiano a impedirmi di vedere Gesù nei miei ammalati“, diceva.
Nel 1929 i disturbi respiratori che Riccardo aveva fin dalla guerra si aggravarono e sfociarono in una tisi. Dal gennaio 1930 non poté più svolgere il suo servizio e continuò a peggiorare. Il giorno prima di morire, disse al nipote Alessandro: “Sono contento di andarmene. L’idea del Paradiso mi affascina e mi sto preparando come un uomo che sta per convolare a nozze“. Il 27 aprile fu trasferito a Milano alla casa dell’Ordine.
Morì la mattina del 1 maggio, stringendo tra le mani il Crocifisso.
Il suo corpo ora è sepolto nella chiesa parrocchiale di san Cornelio e san Cipriano martiri, meta di pellegrinaggio. I casi di guarigione improvvisa e inspiegabili per la scienza, avvenuti a quanti si affidavano a lui, si moltiplicarono così che, nel 1949, cominciò il processo per la beatificazione, che avvenne il 4 ottobre 1981.
Il 1 novembre 1989 fu proclamato santo da Papa Giovanni Paolo II.
San Riccardo è il secondo medico canonizzato dalla Chiesa dopo San Giuseppe Moscati ed è venerato anche in alcune città degli Stati Uniti d’America, grazie alla devozione di alcuni italiani ivi trasferitisi. (Fonte it.cathopedia.org)
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