Nacque nel 1245 a Castel Sant’Angelo in Pontano nella diocesi di Fermo. A 14 anni entrò fra gli eremitani di sant’Agostino di Castel Sant’Angelo come oblato, cioè ancora senza obblighi e voti. Più tardi entrò nell’ordine e nel 1274 venne ordinato sacerdote a Cingoli. La comunità agostiniana di Tolentino diventò la sua «casa madre» e suo campo di lavoro il territorio marchigiano con i vari conventi dell’Ordine, che lo accoglievano nell’itinerario di predicatore. Dedicava buona parte della sua giornata a lunghe preghiere e digiuni. Un asceta che diffondeva sorriso, un penitente che metteva allegria.
Lo sentivano predicare, lo ascoltavano in confessione o negli incontri occasionali, ed era sempre così: veniva da otto-dieci ore di preghiera, dal digiuno a pane e acqua, ma aveva parole che spargevano sorriso. Molti venivano da lontano a confessargli ogni sorta di misfatti, e andavano via arricchiti dalla sua fiducia gioiosa. Sempre accompagnato da voci di miracoli, nel 1275 si stabilì a Tolentino dove resterà fino alla morte il 10 settembre 1305. (Avvenire)
Per il patronato della maternità, accanto alla Madre della Madonna, può ben figurare quel benevolo intercessore che è San Nicola da Tolentino.
È pur vero che il ventaglio di ausilio miracoloso attribuito a San Nicola dalla vastissima ancor oggi devozione popolare è molto ampio: dalle malattie alle ingiustizie, dalla tirannia ai danni patrimoniali, dagli incendi alla liberazione delle anime purganti. Ma l’intercessione nella maternità, specialmente se in età avanzata, ha una propria ragione particolare.
Si era a metà del XIII secolo ed i coniugi Compagnone dei Guarinti e Amata dei Gaidani stavano invecchiando ed erano sull’orlo della disperazione per mancanza di prole. Abitavano a Castel Sant’Angelo, oggi Sant’Angelo in Pontano nella provincia di Macerata; vivevano in buone condizioni economiche, per cui un figlio poteva anche significare il passaggio delle eredità materiali. In quei tempi il mancato arrivo di un bimbo veniva sempre imputato alla donna, cosicché la lacuna stava nella impossibile maternità e non tanto in disfunzioni legate alla paternità. In tale ottica venivano ricercati i rimedi più o meno efficaci e magari anche qualche intervento del sortilegio.
Da cristiana credente la coppia di Castel Sant’Angelo ricorreva con sempre maggiore frequenza alla preghiera. Ad un certo momento si ricordarono del santo dei doni per eccellenza: con preghiere e lacrime supplicarono in effetti a lungo San Nicola di Bari. E nel 1245 nacque il tanto desiderato figlio che, per gratitudine, venne battezzato con quel nome. L’infanzia e la fanciullezza furono tranquilli, manifestando egli tuttavia una naturale inclinazione alla preghiera ed a una rigorosa osservanza dei propri doveri.
Così strutturato, Nicola avvicinò perciò gli agostiniani della città natale a dodici anni e fu novizio nel 1260. Compì poi gli studi necessari per il sacerdozio, ottenendo l’ordinazione a Cingoli, sempre non lontano da Macerata, nel 1269. Svolse in varie località l’apostolato affidatogli, finché nel 1275 si ritirò, forse per ragioni di salute, nell’eremo agostiniano di Tolentino. Qui mori trent’anni più tardi il 10 settembre 1305, dopo avere svolto l’apostolato del confessionale e dell’assistenza ai poveri ed avere vissuto in umiltà e penitenza.
In seguito alla definitiva canonizzazione nel 1446 il suo culto si diffuse in tutta Italia, in molti altri Paesi d’Europa e poi nelle Americhe, in parte anche per il graduale affermarsi dell’Ordine agostiniano. Già però Tolentino gli aveva costruito una basilica, ancora attualmente meta di pellegrinaggi e ricca di opere d’arte. I suoi resti mortali sono in gran parte custoditi nella cripta, tranne le “Sante Braccia” staccatesi e sanguinanti quarant’anni dopo la morte del santo. La Chiesa ricorda liturgicamente San Nicola da Tolentino il 10 settembre, il suo dies natalis.
Di Mario Benatti
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