Papa Giovanni XXIII, in latino: Ioannes PP. XXIII, nato Angelo Giuseppe Roncalli, è stato il 261º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica. Primate d’Italia e 3º sovrano dello Stato della Città del Vaticano.
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(Fonte santiebeati.it – Emilia Flocchini)
Angelo Giuseppe Roncalli nasce il 25 novembre 1881 a Sotto il Monte (oggi Sotto il Monte Giovanni XXIII), precisamente nella frazione Brusicco (Bergamo); era il quarto dei tredici figli di una famiglia di contadini.
Oltre ai genitori, fu fondamentale nella sua educazione alla fede il prozio Zaverio Roncalli, primo degli zii del padre che, rimasto celibe, si dedicò alla cura dei numerosi pronipoti: di Angelo Giuseppe fu anche padrino di battesimo.
Il bambino trascorse i primi anni nel cascinale detto “Palazzo” perché molto ampio, mentre i genitori lavoravano come mezzadri per i conti Morlani di Bergamo. Nel 1893, anche a causa dell’aumento dei figli, la famiglia Roncalli, che comprendeva anche il nonno Angelo e altri parenti, traslocò nella cascina “La Colombera”.
Angelo iniziò a frequentare le elementari nell’ottobre 1887, prima a Ca’ Maitino, poi a Bercio, in una pluriclasse maschile. Negli stessi anni cominciò a seguire le lezioni di catechismo tutte le domeniche.
Il 13 febbraio 1889, a Carvico, ricevette la Cresima e il 31 marzo 1889 la Prima Comunione, nella chiesa di Santa Maria a Brusicco.
Sia perché mostrava una notevole capacità negli studi, sia per la sua inclinazione verso la religione, i genitori decisero di fargli prendere lezioni private a Carvico da don Luigi Bonardi e don Pietro Bolis, due sacerdoti amici del suo parroco, don Francesco Rebuzzini.
Con quel bagaglio di conoscenze, Angelo, affrontò la terza ginnasiale nel Collegio vescovile di Celana, nell’anno scolastico 1891-’92. Trovandosi lontano da casa, in mezzo a ragazzi maggiori d’età e di condizione sociale più elevata, incontra le prime difficoltà. Nel luglio 1892, perciò, non si presentò agli esami finali.
Si diede quindi a uno studio ancora più intenso sotto la guida di don Rebuzzini, così da poter essere ammesso nel Seminario di Bergamo.
Negli esami sostenuti il 5 e il 6 ottobre 1892, Angelo riuscì molto bene e venne ammesso a frequentare la terza ginnasiale nel Seminario di Bergamo. Entrò ufficialmente il 7 novembre 1892, anche grazie agli aiuti economici che gli fornirono il suo parroco e uno dei proprietari dei campi lavorati dalla famiglia Roncalli, don Giovanni Morlani. Gli inizi non furono facili, ma Angelo si fece presto notare sia per l’impegno sui libri, sia per la propensione alla preghiera. Nel giugno 1895 ricevette l’abito talare e fu ammesso tra i candidati agli Ordini minori.
Il 4 gennaio 1901 iniziò la II Teologia a Roma; era stato scelto, con altri due compagni, come beneficiario di una borsa di studio per chierici poveri. Divenne quindi allievo del Pontificio Seminario Romano dell’Apollinare.
A causa del servizio militare, tuttavia, dovette interrompere gli studi.
Il 13 luglio 1904 conseguì il dottorato in Sacra Teologia e quasi un mese dopo, il 10 agosto 1904, fu ordinato sacerdote nella chiesa di Santa Maria in Montesanto, in piazza del Popolo a Roma.
Gli fu chiesto dal rettore del Seminario Romano di restare per approfondire gli studi di Diritto Canonico, ma dovette interromperli perché nel febbraio 1905, venne scelto come segretario da monsignor Giacomo Maria Radini Tedeschi, vescovo di Bergamo.
Fu al suo fianco per dieci anni, durante i quali ebbe altri compiti: docente in Seminario di Storia ecclesiastica, Patrologia e Apologetica, direttore e fondatore nel 1909 del periodico “La vita diocesana”, responsabile del movimento cattolico femminile.
Imparò quindi a conoscere nuove realtà della Chiesa, ma dovette difendersi anche dalle accuse di modernismo.
Monsignor Radini Tedeschi morì nel 1914 e l’anno seguente, don Roncalli è arruolato nell’esercito per la prima guerra mondiale. Come accadeva ai sacerdoti, fu inserito nei reparti di Sanità. Inizialmente come sergente, poi, dal 1916, come tenente cappellano.
Riusciva però a seguire ugualmente le attività di cui era responsabile in quanto fu inviato a Bergamo, che era stata dichiarata città ospedaliera.
Alla fine del conflitto, curò l’apertura di diverse Case dello studente, legate alla nuova responsabilità verso i giovani studenti bergamaschi. In più, dal 1919, fu direttore spirituale in Seminario.
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Nel dicembre 1920 papa Benedetto XV lo rivolle a Roma, come presidente del Consiglio centrale dell’Opera per la Propagazione della Fede in Italia.
Don Roncalli inizialmente era sul punto di rifiutare: aveva tanti compiti a Bergamo e, peraltro, non si sentiva all’altezza. Alla fine accettò, in ubbidienza al Pontefice e alla volontà di Dio, che parlava attraverso di lui.
Per far conoscere l’Opera e raccogliere fondi, viaggiò per i vari centri di animazione missionaria, italiani ed esteri. Visitò più della metà delle diocesi italiane.
In vista dell’Esposizione missionaria vaticana allestita per l’Anno Santo 1925, fu incaricato della stampa di propaganda. Nel novembre 1924, poi cominciò a insegnare Patrologia al Seminario del Laterano.
Nel febbraio 1925 è nominato Visitatore apostolico in Bulgaria. Il 19 marzo seguente fu ordinato vescovo, col titolo di Areopoli. Scelse come motto episcopale «Oboedientia et pax», “Obbedienza e pace”. La sua permanenza in Bulgaria doveva essere a breve termine, ma le difficoltà che dovette incontrare la protrassero per circa dieci anni.
La situazione dei cattolici bulgari, sia di rito latino, sia di rito orientale, lo richiedeva. Era segnata da una povertà diffusa e dalla tensione con la vicina Turchia.
Monsignor Roncalli fece del suo meglio per riallacciare i rapporti tra la Chiesa, il governo e la casa reale bulgara, mentre imparava a conoscere la varietà dei riti e cercava di alleviare le miserie della popolazione.
Il 27 novembre 1934 segnò una nuova destinazione per monsignor Roncalli: venne inviato alla Delegazione apostolica di Turchia e Grecia, che aveva contribuito a fondare nel 1931. Allo stesso tempo, fu nominato amministratore apostolico dei latini di Costantinopoli.
Nella Turchia proclamata “Stato aconfessionale” si adoperò perché i cattolici non si sentissero esclusi dalla vita della società e cercò di mediare con il governo.
In Grecia, invece, riuscì dopo molto tempo a migliorare le relazioni col Patriarca e coi metropoliti ortodossi, organizzando i primi passi per il cammino ecumenico, incoraggiato da Pio XI e Pio XII.
Durante la seconda guerra mondiale, in Turchia, rimasta neutrale, affluirono numerosi profughi, ebrei e non solo. Monsignor Roncalli intervenne spesso in loro favore, sia chiedendo aiuti alle organizzazioni internazionali e alla Santa Sede, sia, per quanto possibile, agendo di persona.
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Un ulteriore incarico di grande responsabilità fu quello a cui venne chiamato da papa Pio XII, infatti, il 6 dicembre è nominato Nunzio apostolico a Parigi.
La Francia dell’epoca era appena uscita dalla Liberazione e stava avviando un processo di laicizzazione dello Stato. Monsignor Roncalli dovette mettere in campo tutte le sue doti umane e le sue competenze per affrontare questioni spinose come l’ingerenza statale nelle nomine dei vescovi, la richiesta di sussidi statali da parte delle scuole cattoliche e l’esperienza dei preti operai.
Visitò molte diocesi francesi, anche nelle colonie come all’epoca era l’Algeria, unendo all’abilità diplomatica un’attenta azione pastorale.
Nell’ultimo Concistoro tenuto da Pio XII, il 12 gennaio 1953, monsignor Roncalli fu creato cardinale prete del titolo di Santa Prisca e, contemporaneamente, nominato Patriarca di Venezia.
Secondo un’antica prerogativa, ora non più in vigore, se un Nunzio chiamato a essere cardinale aveva prestato servizio per l’ultima volta in un paese cattolico per tradizione, il capo dello Stato avrebbe potuto sostituire il Papa nell’imporre la berretta cardinalizia. Nel caso di monsignor Roncalli, fu il presidente francese Vincent Auriol.
Il cardinal Roncalli giunge a Venezia il 15 marzo 1953. Nella prima omelia tenuta nella Basilica di San Marco fece subito capire ai suoi nuovi fedeli come avrebbero dovuto considerarlo: “Non guardate dunque al vostro Patriarca come a un uomo politico, a un diplomatico, cercate il sacerdote, il pastore d’anime, che esercita tra voi il suo ufficio in nome del Signore”.
Effettivamente s’impegnò realmente come pastore: ricercò l’incontro con ogni categoria di fedeli, compì una visita pastorale negli anni 1954-1957 e indisse il Sinodo diocesano dal 25 al 27 ottobre 1957.
Pur restando fedele alle indicazioni della Santa Sede, osservò con attenzione i mutamenti sociali ed ecclesiali, favorendo un confronto autentico grazie al suo carattere al tempo stesso equilibrato e disponibile.
Nel Conclave seguito alla morte di papa Pio XII, gli succedette, il 28 ottobre 1958, proprio il cardinal Roncalli, settantasettenne: assunse, ventitreesimo tra i Pontefici legittimamente eletti, il nome di Giovanni.
Come già a Venezia, così il giorno dell’incoronazione, il 4 novembre, ribadì che la sua missione da Papa doveva essere soprattutto pastorale.
Più nel concreto, sia in centro, sia in periferia visitò parrocchie, ospedali e carceri: quel suo stile di vicinanza gli valse da parte prima dei soli romani, poi di tutto il mondo, l’appellativo di “Papa della bontà” o di “Papa buono”.
Dopo aver a lungo pregato ed essersi consultato, tra gli altri, col Segretario di Stato, il cardinal Domenico Tardini, papa Giovanni XXIII prese una decisione inaspettata.
Il 25 gennaio 1959, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, annunciò l’indizione del Concilio Ecumenico Vaticano II.
In contemporanea, comunicò anche l’indizione di un Sinodo diocesano per Roma, dal 24 al 31 gennaio 1960, e l’aggiornamento del Codice di Diritto Canonico, con un’apposita commissione.
Lo scopo del Concilio Vaticano II, come fece presente il Pontefice nel discorso d’apertura, l’11 ottobre 1962, doveva essere che la Chiesa desse nuove risposte di fronte ai problemi e alle sfide della società contemporanea. La dottrina non doveva variare, né dovevano essere definite nuove verità di fede. Bisognava invece ripresentare il contenuto della fede agli uomini del tempo.
Il 4 ottobre del 1962, a una settimana dall’inizio del Concilio, Giovanni XXIII si reco in pellegrinaggio a Loreto e Assisi (Roncalli era dall’età di 14 anni terziario francescano) per affidare le sorti dell’imminente Concilio alla Madonna e a san Francesco.
Per la prima volta, dall’unità d’Italia un papa varcava i confini del Lazio ripercorrendo quei territori che anticamente erano appartenuti allo Stato pontificio, il breve tragitto chilometrico ripristinò l’antica figura del papa pellegrino che i suoi successori sapranno portare a pieno compimento.
La gente accolse favorevolmente questa iniziativa affollando non solo i due santuari méta del tragitto (ad Assisi persino i frati salirono sui tetti antistanti la basilica), ma anche le varie stazioni dove sostò il treno papale.
Uno dei più celebri discorsi di Papa Giovanni, forse una delle allocuzioni in assoluto più celebri della storia della Chiesa, è quello che ormai si conosce come “discorso della Luna”.*
L’11 ottobre 1962, in occasione della serata di apertura del Concilio, piazza San Pietro era gremita di fedeli che, se pur non comprendendo a fondo il valore teologico dell’avvenimento, ne percepivano la storicità, la fondamentalità, la difficoltà, ed erano nel luogo che simboleggia il Cattolicesimo, la piazza appunto. A gran voce chiamato ad affacciarsi, cosa che non si sarebbe mai immaginata possibile richiedere al papa precedente, Roncalli davvero si sporse, a condividere con la piazza la soddisfazione per il raggiungimento del primo traguardo: si era arrivati ad aprirlo, il Concilio.
Il discorso a braccio fu poetico, dolce, semplice e pur tuttavia conteneva elementi del tutto innovativi.
Nel momento che avrebbe dato un nuovo corso alla religione cattolica, con un richiamo straordinario salutò la Luna:
« Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera (..) Osservatela, in alto, a guardare questo spettacolo… »
Salutò i fedeli della sua Diocesi e si produsse in un atto di umiltà forse senza precedenti, asserendo tra le altre cose:
«La mia persona conta niente, è un fratello che parla agli altri fratelli divenuto padre per volontà dello Spirito, ma tutti insieme paternità e fraternità è grazia di Dio.»
E, sulla linea dell’umiltà, impartì un ordine da pontefice con il parlare di un curato:
«Tornando a casa, troverete i bambini. Date loro una carezza e dite: Questa è la carezza del Papa. Troverete forse qualche lacrima da asciugare. Abbiate per chi soffre una parola di conforto.»
Otto furono le lettere encicliche di Giovanni XXIII. In quelle del 1959 appaiono evidenti i temi della conoscenza della verità («Ad Petri cathedram»), della preghiera, anche tramite la devozione del Rosario («Grata recordatio»), della fedeltà nel sacerdozio («Sacerdotii nostri primordia», per il primo centenario della morte del Santo Curato d’Ars), delle missioni («Princeps pastorum»).
Nell’enciclica «Mater et magistra» del 1961, invece, ripresentava il magistero sociale della Chiesa a settant’anni dalla «Rerum novarum» di Leone XIII. Nello stesso anno, in occasione del quindicesimo centenario della morte di san Leone Magno, scrisse l’«Aeterni Dei sapientia». Con l’enciclica «Paenitentiam agere» del 1962 raccomandò a tutti i fedeli di offrire preghiera e penitenza per il buon esito dei lavori del Concilio Vaticano II.
Infine, con la «Pacem in terris» del 1963, prima enciclica indirizzata anche «a tutti gli uomini di buona volontà», espresse i concetti della pace e del giusto ordine sociale.
Nel corso del suo pontificato, papa Giovanni XXIII ha beatificato cinque candidati agli altari nel corso di altrettante cerimonie. Particolarmente significativa fu quella del 19 marzo 1963, nella quale beatificò don Luigi Maria Palazzolo, sacerdote bergamasco e fondatore delle Suore delle Poverelle: per lui nutriva da tempo una grande devozione.
Quanto ai Santi da lui proclamati, sono nove nel corso di sei cerimonie. A essi va aggiunta la canonizzazione equipollente, voluta dallo stesso Pontefice, di Gregorio Barbarigo, vescovo di Padova, una figura che gli era molto cara sin dai primi tempi del suo sacerdozio. Ha poi attribuito il titolo di Dottore della Chiesa a san Lorenzo da Brindisi («Doctor apostolicus»), con la Lettera apostolica «Celsitudo ex humiltate» del 19 marzo 1959, mentre il 2 marzo 1962 ha proclamato santa Bona da Pisa patrona delle assistenti dei viaggiatori (o hostess) italiane.
Infine, con il decreto «Novis hisce temporibus» della Sacra Congregazione dei Riti, datato 13 novembre 1962, alla fine del primo periodo del Concilio Vaticano II, ha stabilito l’introduzione del nome di san Giuseppe, sposo della Vergine Maria, nel Canone Romano o Preghiera Eucaristica I. Nel corso di cinque distinti concistori, ha poi creato cinquantadue nuovi Cardinali, eliminando anche il numero chiuso per il Collegio cardinalizio.
Il riconoscimento del suo impegno arrivò, nella primavera del 1963, con l’attribuzione del Premio Balzan per la pace. Era una conseguenza, tra l’altro, del suo intervento durante la crisi di Cuba, nell’ottobre precedente. Tuttavia, già dal novembre 1962, Giovanni XXIII era gravemente malato: gli era stato diagnosticato un tumore allo stomaco. Credenti e non in tutto il mondo seguirono con apprensione l’avanzare della malattia, fino al giorno della morte, il 3 giugno 1963.
Già il 18 novembre 1965 il suo successore, papa Paolo VI (Beato dal 2014), annunciò di voler procedere all’avvio della sua causa di beatificazione. Accoglieva così la proposta di alcuni Padri conciliari, che avrebbero voluto canonizzarlo per acclamazione.
Il processo informativo cominciò nel 1967 e si concluse nel 1974. Il 6 maggio 1988 è emesso il decreto di convalida. La “Positio super virtutibus”, consegnata nel 1997, è esaminata il 15 marzo 1999 dai Consultori teologi e, il 19 ottobre seguente, dai Cardinali e Vescovi membri della Congregazione delle Cause dei Santi, con valutazioni positive in entrambi i casi.
Così, il 20 dicembre 1999, papa Giovanni Paolo II autorizzò la promulgazione del decreto con cui papa Giovanni XXIII veniva dichiarato Venerabile.
Come potenziale miracolo per ottenere la beatificazione fu preso in esame il caso di suor Caterina Capitani, Figlia della Carità di San Vincenzo de’ Paoli. Molto grave a causa di una gastrite ulcerosa emorragica, aveva subito quattordici operazioni chirurgiche. Le consorelle, sapendo della sua grande venerazione per papa Giovanni XXIII, le posero una sua immagine sullo stomaco e iniziarono una novena a lui.
Il 25 maggio 1966, terzo giorno della novena, a suor Caterina parve di vedere proprio papa Giovanni davanti a sé. La rassicurò, poi aggiunse: «Me l’avete strappato dal cuore questo miracolo». Immediatamente, la suora si sentì meglio e ben presto fu dichiarata guarita; è morta nel 2010, per cause estranee alla precedente malattia.
La beatificazione è stata celebrata in piazza San Pietro a Roma il 3 settembre 2000, nel corso del Grande Giubileo.
Il 2 luglio 2013 l’assemblea plenaria dei Cardinali e dei Vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi affrontò la questione se fosse possibile canonizzare il Beato Giovanni XXIII senza la dimostrazione, come da prassi, di un ulteriore miracolo: è la procedura detta “pro gratia”.
Tre giorni dopo, il 5 luglio, papa Francesco dava l’autorizzazione a procedere in tal senso, per via dell’attualità dell’esempio e dell’insegnamento di quel suo predecessore.
Il 30 settembre 2013 è stata annunciata la data della canonizzazione, celebrata quindi il 27 aprile 2014, unitamente a quella del Beato Giovanni Paolo II.
Le spoglie mortali di san Giovanni XXIII, sepolte dopo la morte nelle Grotte Vaticane, sono state traslate il 3 giugno 2001 all’interno della Basilica di San Pietro a Roma, precisamente nella navata destra, sotto l’altare di San Girolamo.
Anche i luoghi delle sue radici, ossia Sotto il Monte (ora Sotto il Monte Giovanni XXIII) e Ca’ Maitino (dove trascorreva le vacanze negli anni in cui era in servizio in Bulgaria), sono diventati da tempo mete di pellegrinaggi. Sin dopo la sua morte gli sono state dedicate vie, piazze, scuole in tutta Italia, sia col nome da Pontefice, sia, più raramente, con quello al secolo.
Nel 1968 don Oreste Benzi, sacerdote della diocesi di Rimini (per il quale è in corso il processo di beatificazione), ha dato il suo nome alla Comunità Papa Giovanni XXIII, impegnata nel contrastare le varie forme di emarginazione e di povertà.
Con decreto del 17 giugno 2017, la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, in virtù delle facoltà concesse da papa Francesco, ha dichiarato san Giovanni XXIII Patrono presso Dio dell’Esercito Italiano.
La ragione di quest’attribuzione risiede nell’impegno che, da cappellano militare, lui impiegò per promuovere le virtù cristiane tra i soldati, insieme alla dedizione per la causa della pace e all’esempio costituito da tutta la sua vita.
O Padre,che hai plasmato
con il tuo spirito di verità e di amore
il Beato Giovanni XXIII,Sommo Pontefice,
e lo hai donato alla Chiesa e all’umanità
come immagine viva del Cristo buon Pastore,
per sua intercessione
concedi anche a noi
di sperimentare la tua misericordia
e di risplendere davanti agli uomini
per la luce delle buone opere. Amen.
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