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Nasce il 9 settembre 1881 a Siepraw presso Cracovia in Polonia. Era l’undicesima dei dodici figli di Bartłomiej Salawa ed Ewa Bochenek. Al Battesimo, ricevuto quattro giorni dopo la nascita, le fu dato il nome di Aniela, corrispettivo polacco di Angela.
Il padre era fabbro, mentre la madre, tutta dedita alla casa e ai numerosi figli, insegnava loro la pietà, la modestia e la laboriosità. Aniela crebbe quindi con questi principi e si formò sotto la guida della madre, che la preparò anche alla Prima Comunione verso i dodici anni, secondo la consuetudine dell’epoca.
Già a 15 anni nel 1894 era a servizio presso una famiglia di Siepraw: pascolava le vacche, falciava l’erba, intratteneva i bambini.
Rientrò in famiglia dove sostò fino all’ottobre 1897, rifiutando nel frattempo le insistenze del padre che la spingeva verso il matrimonio. In seguito si trasferì a Cracovia, per andare a lavorare come cooperatrice familiare. Sin dai primi giorni fu ospitata dalla sorella Teresa, alla quale ribadì che non si sentiva chiamata al matrimonio.
A Cracovia andò a servizio presso la famiglia Kloc, dove lavorò duramente senza mai lamentarsi; aveva 16 anni ed era molto attraente. Per questo il padrone di casa prese ad insidiarla, per cui Angela dopo poco tempo lasciò l’occupazione.
Dopo altri rapporti di lavoro in alcune famiglie dei paesi vicini, ritornò a Cracovia, dove assistette, il 25 gennaio 1899, alla serena morte della sorella maggiore Teresa, anch’ella domestica. Rimasta scossa dalla perdita, avvertì il richiamo di una voce interna che la chiamava a percorrere la via della perfezione.
Aniela rispose prontamente, anzitutto prolungando il tempo della preghiera in chiesa e in casa e nella meditazione. Con l’assistenza del suo direttore spirituale, il gesuita padre Stanislao Mieloch, si consacrò a Dio con il voto di castità perpetua, già pronunciato nella prima giovinezza.
Prese a dedicarsi ad un apostolato oscuro ma fecondo tra le domestiche di Cracovia: le riuniva, le istruiva, le consigliava, le dirigeva. Nell’adempiere i doveri delle sue mansioni, dimenticava spesso sé stessa. Nonostante la salute precaria, era sempre allegra e socievole; si vestiva bene, non per il mondo, ma per Dio.
Nel 1900 si iscrisse all’Associazione di Santa Zita, che promuoveva l’assistenza alle domestiche: poté in tal modo esercitare in forma più organizzata un fruttuoso apostolato fra le sue compagne di lavoro, diventando per loro una guida e un modello di vita cristiana.
Nel 1911 fu colpita da una dolorosa malattia, che la sconvolse per lungo tempo, poi morì la madre e la giovane signora alla quale prestava la sua opera con affetto e dedizione; inoltre si sentì abbandonata anche dalle compagne che non poteva più radunare in casa.
Questo periodo di angosciosa sofferenza, raccontato nel suo Diario, fu affrontato da Aniela, unendosi maggiormente a Dio nella preghiera e nella meditazione. Nel 1912 ebbe anche fenomeni mistici, con la visione dell’incontro con Gesù.
Aderì al Terz’Ordine di San Francesco, prendendone l’abito il 15 maggio 1912 nella chiesa dei Francescani Conventuali di Cracovia; il 6 agosto 1913 emise la regolare professione.
Durante la Prima Guerra Mondiale, aiutò con i suoi pochi risparmi i prigionieri di guerra, senza distinzione di nazionalità. Volontariamente si impegnò con amore all’assistenza dei feriti e dei malati negli ospedali di Cracovia, dove rispettosamente era chiamata «la santa signorina».
Per avere rimproverata l’amante del suo padrone, l’avvocato Fischer, fu licenziata nel 1916 da quella casa dove lavorava dal 1905. Seguirono alcuni anni di abbandono, senza lavoro e con la malattia più incalzante, mentre proseguivano i fenomeni mistici.
Nel 1918, ormai debilitata nelle forze, lasciò anche i lavori saltuari e si ritirò in un piccolo ambiente in una soffitta, preso in affitto. Iniziò così l’ultimo periodo della sua vita: cinque anni di sofferenze in unione con Dio, che la gratificava con visioni, specie di Gesù con la corona di spine e sofferente.
Il confessore le portava ogni giorno la Comunione e le compagne, inconsolabili, si alternavano nel suo tugurio per assisterla.
Annotò sul suo Diario: «Ripensando alla mia vita, credo di essere in quella vocazione, luogo e stato in cui fin dall’infanzia Dio mi ha chiamato». Nella sua ardente carità, pregò di prendere su di sé le malattie degli altri: le sue sofferenze si moltiplicarono, mentre coloro per cui si era offerta guarirono.
Alla fine acconsentì a lasciare quell’ambiente ristretto: fu ricoverata all’ospedale di Santa Zita a Cracovia, dove, dopo aver ricevuto i Sacramenti, muore il 12 marzo 1922 in estrema povertà.
Il 23 ottobre 1987, Papa san Giovanni Paolo II autorizzò la promulgazione del decreto con cui Aniela Salawa veniva dichiarata Venerabile.
Come potenziale miracolo per ottenere la sua beatificazione venne esaminato il caso avvenuto nel 1990 a un bambino di Nowy Targ, in Polonia. Mentre il piccolo stava giocando in un parco con gli amici, fu colpito violentemente alla testa: i medici riscontrarono delle lesioni al cervello.
I genitori fecero quindi celebrare una Messa per la sua guarigione e iniziarono una novena alla Venerabile Aniela Salawa. Il 6 aprile il bambino riprese a parlare e il 23 fu dimesso in buona salute.
Venne beatificata da san Giovanni Paolo II il 13 agosto 1991 a Cracovia, durante il secondo viaggio apostolico in Polonia. La memoria liturgica, per la diocesi di Cracovia, è stata fissata al 12 marzo.
I suoi resti mortali sono stati traslati il 13 maggio 1949 nella basilica di San Francesco a Cracovia, dove tuttora sono venerati.
Fonte santiebeati.it – Autore: Antonio Borrelli ed Emilia Flocchini
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