Nato ad Antiochia (Turchia) in una data non precisabile tra il 344 e il 354, si dedicò agli studi di retorica sotto la direzione del celebre Libanio. Pare che quest’ultimo lo stimasse a tal punto da rispondere a chi gli chiedeva chi volesse come suo successore: “Giovanni, se i cristiani non me lo avessero rubato!”.
Dopo aver ricevuto il battesimo, Giovanni frequentò la cerchia di Diodoro, il futuro Vescovo di Tarso. Nel gruppo di discepoli che si radunavano attorno a costui imparò a leggere le Scritture secondo il metodo antiocheno, attento alla spiegazione letterale dei testi, e compì i primi passi lungo quel cammino spirituale che lo condurrà a lasciare la città e a vivere alcuni anni in solitudine sul monte Silpio, nei pressi di Antiochia.
Rientrato in città, è ordinato diacono dal Vescovo Melezio nel 381. Cinque anni più tardi viene ordinato sacerdote dal Vescovo Flaviano, che gli fu maestro non solo di eloquenza, ma anche di carità e saldezza nella fede.
Furono anni di intensa predicazione: Giovanni commentava le Scritture secondo i principi esegetici della scuola antiochena, aliena da ogni allegorismo e sostanzialmente fedele alla lettera del testo biblico. La predicazione di Giovanni si traduceva sovente in esortazione morale .
Con grande zelo esorta a radicare la propria vita di credenti nella conoscenza delle Scritture, a vivere un’intensa vita spirituale senza ritenere che essa sia riservata soltanto ai monaci, a praticare la carità nella cura sollecita per il “sacramento del fratello”.
“È un errore mostruoso credere che il monaco debba condurre una vita più perfetta, mentre gli altri potrebbero fare a meno di preoccuparsene … Laici e monaci devono giungere a un’identica perfezione” (Contro gli oppositori della vita monastica 3, 14).
Nel 397 Giovanni è chiamato a Costantinopoli come successore del Patriarca Nettario; nella capitale dell’impero il nuovo Patriarca si dedicò con grande zelo alla riforma della Chiesa.
Depose i Vescovi simoniaci (chi comprava le cariche), combatte l’usanza della coabitazione di preti e diaconesse, predicò contro l’accumulo delle ricchezze nelle mani di pochi e contro l’arroganza dei potenti, e destinò gran parte dei beni ecclesiastici a opere di carità.
Anche a Costantinopoli continua il suo ministero di predicatore della Parola e di operatore di pace.
La sua opera di evangelizzazione si estende ai goti e ai fenici. Intransigente quando la fede è minacciata, predica l’amore per il peccatore e per il nemico. “Il popolo lo applaudiva per le sue omelie e lo amava”, afferma lo storico Socrate.
Tutto questo gli procurò molti amici e molti nemici: amato dai poveri come un padre, fu osteggiato dai potenti, che vedevano in lui una temibile minaccia per i loro privilegi.
L’inimicizia nei suoi confronti crebbe con l’ascesa al potere dell’imperatrice Eudossia. Costei, nel 403, con l’appoggio del Patriarca di Alessandria, Teofilo, indisse un processo contro Giovanni e lo fece deportare e condannare all’esilio.
Il decreto di condanna è revocato dopo poco tempo e Giovanni può rientrare in diocesi, ma solo per pochi mesi.
Durante la celebrazione della Pasqua del 404 le guardie imperiali fecero irruzione nella cattedrale della città provocando uno spargimento di sangue e vi furono disordini per diversi giorni.
Poco dopo la festa di Pentecoste, Giovanni fu arrestato e nuovamente condannato all’esilio.
Per evitare mali ulteriori, il Patriarca lasciò la casa episcopale uscendo da una porta secondaria; si congedò dai Vescovi riuniti in sacrestia e fece chiamare la diaconessa Olimpia e le sue compagne, che conducevano una vita comunitaria a servizio della chiesa nella casa accanto a quella del Vescovo.
“Venite, figlie, ascoltatemi. Per me è giunta la fine, lo vedo. Ho terminato la corsa e forse non vedrete più il mio volto” (Palladio, Dialogo sulla vita di Giovanni Crisostomo, 10).
Giovanni fece appello al papa Innocenzo I, che ne riconobbe l’innocenza; ma ciò nonostante fu costretto a lasciare Costantinopoli. Alla sua partenza vi furono tumulti in città: venne appiccato fuoco a una chiesa adiacente al palazzo del senato e questo fornì un pretesto alle autorità imperiali per arrestare e perseguitare i seguaci di Giovanni.
Questi fu confinato a Cucuso, una piccola città dell’Armenia, ma anche in questo luogo sperduto era raggiunto dalle manifestazioni di affetto dei suoi fedeli, e così i suoi nemici provvidero a farlo partire per una sede ancora più lontana.
Avrebbe dovuto raggiungere Pizio, sul Ponto, ma morì lungo il viaggio, a Comana, stremato dalle marce forzate a cui era stato sottoposto. Era il 14 settembre 407.
Nel 438, Teodosio II fa riportare le spoglie a Costantinopoli, dove viene sepolto nella Chiesa dei Santi Apostoli. Trasportate a Roma, sono collocate nella Basilica Vaticana, dove sono tuttora conservate. Secondo una tradizione, non confermata da fonti, le reliquie di san Giovanni sarebbero giunte a Roma all’epoca della quarta crociata, dopo il sacco di Costantinopoli del 1204.
Papa Pio V, nel 1567, lo proclamò dottore della Chiesa e papa Leone XIII il 4 agosto 1880, patrono delle scuole e università cattoliche. È patrono anche degli archeologi, bibliotecari, traduttori e studiosi in genere
Nel novembre 2004 papa Giovanni Paolo II ha fatto dono al patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I di una parte delle reliquie di san Giovanni Crisostomo venerate in Vaticano.
In Oriente si incontrano molti monasteri a lui dedicati e Papa Giovanni XXIII pose il Concilio Vaticano II sotto la sua protezione.
Crisostomo, che significa “Boccadoro”, è ricordato come uno dei più grandi predicatori della storia della Chiesa dei primi secoli.
La grazia celeste, deh! Signore, amplifichi la tua Chiesa, la quale hai voluto illustrare con i meriti gloriosi e la dottrina del tuo beato Giovanni, vescovo e confessore.
Grazie, Signore,
perché ci hai dato l’amore
capace di cambiare
la sostanza delle cose.
Quando un uomo e una donna
diventano uno nel matrimonio
non appaiono più come creature terrestri
ma sono l’immagine stessa di Dio.
Così uniti non hanno paura di niente.
Con la concordia, l’amore e la pace
l’uomo e la donna sono padroni
di tutte le bellezze del mondo.
Possono vivere tranquilli,
protetti dal bene che si vogliono
secondo quanto Dio ha stabilito.
Grazie, Signore,
per l’amore che ci hai regalato.
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