San Felice di Nola fu il primo vescovo della diocesi di Nola. Viene venerato come santo e martire della Chiesa cattolica.
Etimologia: Felice = contento, dal latino
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Tutto quello che si conosce di san Felice, ci è trasmesso dal santo vescovo Paolino. Il quale già devoto del santo, quando arrivò a Nola ed a Cimitile, gli dedicò ben 14 dei suoi carmi, che sono detti ‘natalizi’ (carmina natalizia) perché scritti dal 395 al 409 nella ricorrenza del ‘dies natalis’ della festa del santo, il 14 gennaio.
Il racconto poetico di Paolino è il primo documento storico della vita di san Felice, cioè la prima elaborazione scritta della tradizione orale, da lui appresa in zona.
Felice nacque a Nola nel III secolo da una ricca famiglia originaria della Siria. Aveva un fratello Ermia che scelse la carriera militare, mentre lui si consacrò a Cristo come presbitero.
Divenne fedele collaboratore del vescovo di Nola, Massimo, che durante l’ultima persecuzione contro i cristiani, lasciò Nola per rifugiarsi in luogo deserto, lasciando in città il prete Felice che voleva come suo successore.
Ma Felice fu imprigionato e torturato, poi liberato miracolosamente da un angelo che lo condusse nel luogo deserto, dove il vecchio vescovo Massimo era moribondo, consumato dagli stenti e dalle sofferenze. Lo rifocillò con il succo di uva miracolosa e poi caricatolo sulle spalle, lo riportò a Nola, affidandolo alle cure di una anziana cristiana.
Durante la sospensione della persecuzione, poté riprendere il suo ministero sacerdotale. Quando la persecuzione riprese, Felice fu di nuovo ricercato, ma egli sfuggì alla cattura rifugiandosi in una cisterna disseccata. Per sei mesi fu alimentato da una pia donna.
Cessata definitivamente la persecuzione con la pace di Costantino (313), Felice ritorna a Nola, dove morto il vecchio vescovo Massimo viene candidato a succedergli, ma egli rifiuta a favore del prete Quinto, rinuncia anche ai beni che gli erano stati confiscati e trascorre il resto dei suoi giorni nella povertà e nel lavoro.
Non si conosce l’anno della sua morte. Il santo fu comunque sempre venerato come martire, anche se non era stato ucciso. Certamente aveva tanto sofferto e solo miracolosamente aveva avuto salva la vita. La sua tomba fu detta “Ara Veritatis”, perché gli si attribuiva particolare efficacia per il trionfo della verità, contro gli spergiuri.
Fonte santiebeati.it – Autore: Antonio Borrelli
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