Dal 1923 è patrono degli alpinisti, ha dato il suo nome a due celebri passi alpini e anche alla simpatica razza canina dotata di botticella per il salvataggio in montagna. È san Bernardo di Mentone, che in realtà, però, non sarebbe nato nella località della Savoia, come si legge in una cronaca del XV secolo, ma ad Aosta intorno al 1020.
Divenuto arcidiacono e, poi, Agostiniano, gli venne affidato l’incarico di ripristinare il valico detto «Mons Jovis». Si narra che per far ciò dovette lottare contro le pretese di un demonio e alla fine lo precipitò giù da una rupe. Di sicuro c’è che, partendo dall’abbazia svizzera di Bourg-Saint-Pierre, fondò un monastero in cima a quello che oggi è il Gran San Bernardo. A quota 2.470 metri è un posto di sosta e ospitalità per viaggiatori e pellegrini, nonché l’abitato più elevato d’Europa. Al santo viene attribuita anche la costruzione del cenobio in cima al Piccolo San Bernardo. Morì a Novara nel 1081.(Avvenire)
Patronato: Alpinisti, Scalatori (Pio XI – 1923)
Etimologia: Bernardo = ardito come orso, dal tedesco
Emblema: Bastone da montagna, Cane
Martirologio Romano: Sul Mont-Joux nel Vallese, san Bernardo da Mentone, sacerdote, che, canonico e arcidiacono di Aosta, visse per molti anni tra le vette delle Alpi, dove costruì un rinomato monastero e due rifugi per i viandanti, tuttora recanti il suo nome.
Grazie a uomini come lui, l’Europa ha rialzato la testa mille anni fa, dopo aver preso schiaffi per secoli un po’ da tutti: Arabi, Normanni, Slavi, Ungari… Alcuni lo dicono nativo di Mentone. Da documenti vicini al suo tempo risulta di famiglia valdostana: e ad Aosta egli diventa arcidiacono della cattedrale, noto anche come predicatore. Di lui è più ricordata tuttavia l’opera di rianimatore della vitalità europea in uno dei suoi punti più colpiti: il passo di Monte Giove (detto poi in suo onore Gran San Bernardo).
E’ l’importantissimo valico che consente il viaggio lineare da Londra alla Puglia, per merci, persone, idee. Dice una preghiera in suo onore: “Il miracolo di Monte Giove, o Bernardo, mostrò la tua santità. Qui tu hai distrutto un inferno e costruito un paradiso”.
Alla fine del IX secolo, forze arabe partite dalla loro base di La GardeFreinet (Costa Azzurra) hanno occupato con altri valichi quello di Monte Giove e i villaggi dei due versanti. Qui si sono poi dedicati a rapimenti, sequestri, uccisioni, incendi di monasteri, chiese, paesetti. Ci sono poi signorotti locali, cristiani, che li assoldano volentieri per le loro contese; e non manca chi si spinge fino a imitarli nelle estorsioni. Questo è l’“inferno”. E finisce dopo che nel 973 Guglielmo di Provenza distrugge la base araba di La GardeFreinet, provocando il ritiro delle bande dai monti. Per l’alto valico (a 2.473 metri) riprendono i passaggi, con gravi disagi per ciò che è stato distrutto o bruciato.
E qui arriva Bernardo. Che non porta subito il “paradiso”. Anzi: il suo lavoro inizia nella prima metà dell’XI secolo con molte difficoltà e pochi mezzi. Ma con un’idea innovatrice: tagliare a metà la consueta tappa St.Rhémy (Val d’Aosta) BourgSt. Pierre (Vallese) e stabilire una tappa intermedia proprio sul valico. Intorno all’idea, per opera sua e dei continuatori, si sviluppa l’organizzazione. Invece di un semplice rifugio, i viaggiatori, i cavalli, le merci, troveranno accoglienza organizzata, servizio efficiente, sotto la direzione di una comunità monastica impiantata da lui, e cresciuta dopo di lui, con lo sviluppo di edifici e servizi dalle due parti del valico. A Bernardo si attribuisce anche la fondazione dell’ospizio sull’Alpe Graia (Piccolo San Bernardo), ma la cosa non è certa.
E poi c’è l’altro Bernardo: il predicatore, non solo nella Vallée; anche nella zona di Pavia, ad esempio. E nel Novarese: in sintonia con la riforma della Chiesa, Bernardo si batte contro l’ignoranza e i cattivi costumi del clero, l’abbandono dei fedeli, il commercio delle cose spirituali. E’ la parte meno nota della sua vita, ma è anche quella che impegna tutte le sue forze. Anzi: Bernardo muore appunto facendo questo lavoro, mentre si trova a Novara, la cui cattedrale custodirà poi le sue spoglie.
Autore: Domenico Agasso