Bonaventura da Bagnoregio è stato un cardinale, filosofo e teologo italiano. Denominato Doctor Seraphicus, studiò e insegnò alla Sorbona di Parigi e fu amico di san Tommaso d’Aquino.
Bonaventura da Bagnoregio, al secolo Giovanni Fidanza, è nato intorno al 1217 e il 1221 a Civita di Bagnoregio, vicino Viterbo.
Era figlio di Giovanni Fidanza, medico, e di Maria di Ritello; portò inizialmente il nome del padre, Giovanni, che cambiò in Bonaventura al momento del suo ingresso nella famiglia francescana.
Da bambino Giovanni era spesso malato, tanto che i suoi genitori si rivolsero a San Francesco. La tradizione vuole che un giorno che passava da quelle parti, il santo di Assisi, venne per benedirlo e guarirlo. Come ebbe terminato le sue orazioni, San Francesco gli disse in latino: Bona ventura in relazione all’esito favorevole delle sue preghiere di guarigione. Il bambino guarì e, da quel giorno, tutti gli abitanti di Bagnoregio chiamarono il bambino Bonaventura.
La prima formazione culturale l’ha ricevuta nel suo paese nativo, presso il locale convento dei frati minori, secondo l’uso del tempo.
Nel 1235 si recò a Parigi a studiare forse nella facoltà delle Arti e successivamente, nel 1243, nella facoltà di teologia. Probabilmente in quello stesso anno entrò nei Frati Minori. I suoi studi di teologia terminano nel 1253, quando diventò magister (cioè “maestro”) di teologia e ottenne la licentia docendi (“licenza d’insegnare”), titolo, però, che gli venne riconosciuto più tardi, 12 agosto 1257, per l’atteggiamento di opposizione assunto dai maestri parigini contro i mendicanti).
Nel 1257 Bonaventura venne anche eletto Ministro generale dell’Ordine francescano, e rinunciando così alla cattedra. A partire da questa data, preso dagli impegni del nuovo servizio, accantonò gli studi e compì vari viaggi per l’Europa.
Il suo obiettivo principale fu quello di conservare l’unità dei Minori, prendendo posizione sia contro la corrente spirituale (influenzata dalle idee di Gioacchino da Fiore e incline ad accentuare la povertà del francescanesimo primitivo), sia contro le tendenze mondane insorte in seno all’Ordine.
Favorevole a coinvolgere l’Ordine francescano nel ministero pastorale e nella struttura organizzativa della Chiesa, nel Capitolo generale di Narbona del 1260 contribuì a definire le regole che dovevano guidare la vita dei membri dell’Ordine: le Costituzioni dette appunto Narbonensi. A lui, in questo Capitolo, venne affidato l’incarico di redigere una nuova biografia di San Francesco d’Assisi che, intitolata Legenda Maior, diventerà la biografia ufficiale nell’Ordine.
Infatti il Capitolo generale successivo, del 1263, approvò l’opera composta dal Ministro generale; mentre il Capitolo del 1266, riunito a Parigi, giunse a decretare la distruzione di tutte le biografie precedenti alla Legenda Maior, probabilmente per proporre all’Ordine una immagine univoca del proprio fondatore, in un momento in cui le diverse interpretazioni fomentavano contrapposizioni e conducevano verso la divisione.
Negli ultimi anni della sua vita, Bonaventura intervenne nelle lotte contro l’aristotelismo e nella rinata polemica fra maestri secolari e mendicanti.
A Parigi, tra il 1267 e il 1269, tenne una serie di conferenze sulla necessità di subordinare e finalizzare la filosofia alla teologia. Nel 1270 lasciò Parigi per farvi però ritorno nel 1273, quando tenne altre conferenze nelle quali attaccò quelli che erano a suo parere gli errori dell’aristotelismo.
Nel maggio del 1273, già Vescovo di Albano, venne creato Cardinale; l’anno successivo partecipò al Concilio di Lione (in cui favorì un riavvicinamento fra la Chiesa latina e quella greca), nel corso del quale morì il 15 Luglio 1274, forse a causa di un avvelenamento, stando almeno a quanto affermò in seguito il suo segretario, Pellegrino da Bologna.
Pierre de Tarentasie, futuro papa Innocenzo V, ne celebrò le esequie, e Bonaventura venne inumato nella chiesa francescana di Lione. Nel 1434 la salma venne traslata in una nuova chiesa, dedicata a San Francesco d’Assisi; la tomba venne aperta e la sua testa venne trovata in perfetto stato di conservazione : questo fatto ne facilitò la canonizzazione, che avvenne ad opera del papa francescano Sisto IV il 14 aprile 1482, e la nomina a dottore della Chiesa, compiuta il 14 maggio 1588 da un altro francescano, papa Sisto V.
Il 14 marzo 1490, a seguito della ricognizione del corpo del Santo a Lione, venne estratto il braccio destro. L’anno seguente venne trasferito a Bagnoregio.
Oggi il “Santo braccio”, unica reliquia al mondo di san Bonaventura, si trova nella Concattedrale di San Nicola a Bagnoregio.
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Bonaventura è considerato uno dei pensatori maggiori della tradizione francescana, che anche grazie a lui si avviò a diventare una vera e propria scuola di pensiero, sia dal punto di vista teologico che da quello filosofico.
Difese e ripropose la tradizione patristica (dei Padri della Chiesa), in particolare il pensiero e l’impostazione di sant’Agostino. Egli combatté apertamente l’aristotelismo, anche se ne acquisì alcuni concetti, fondamentali per il suo pensiero. Inoltre valorizzò alcune tesi della filosofia arabo-ebraica, in particolare quelle di Avicenna e di Avicebron, ispirate al neoplatonismo. Nelle sue opere ricorre continuamente l’idea del primato della sapienza, come alternativa ad una razionalità filosofica isolata dalle altre facoltà dell’uomo. Egli sostiene, infatti, che:
«(…) la scienza filosofica è una via verso altre scienze. Chi si ferma resta immerso nelle tenebre.»
Secondo Bonaventura è il Cristo la via a tutte le scienze, sia per la filosofia che per la teologia.
Sempre di derivazione agostiniana, molto importante è anche l’elaborazione della teologia trinitaria di San Bonaventura. In pratica egli evidenzia come il mondo sia una sorta di libro in cui emerge la Trinità da cui è stato creato. Dio, quindi, uno e trino, è presente come “vestigia”, o impronta, in tutti gli esseri animati e inanimati; come “immagine” nelle creature dotate d’intelletto come l’uomo; come “similitudine” nelle creature giuste e sante, toccate dalla Grazia e animate dalle virtù di fede, speranza e carità che le rendono figlie di Dio. Fonte it.cathopedia.org
Trafiggi, o dolcissimo Gesù, le profondità della mia anima con la soavissima e salutare ferita del tuo amore, infondendovi un’autentica, serena, apostolica carità, di modo che arda e si sciolga solo e sempre per amore e desiderio di Te;
Te desideri e quasi muoia nelle tue dimore, non cerchi altro che dissolversi ed essere con Te. Concedi che la mia anima sia assetata di Te, del pane degli angeli, della refezione dei santi, del nostro pane quotidiano, soprasostanziale, che ha in se ogni dolcezza;
che il mio cuore abbia sempre sete e si nutra di Te, dove gli angeli desiderano fissare lo sguardo, e i reconditi della mia anima siano ricolmati dalla dolcezza della tua percezione; sia il mio cuore sempre assetato di Te, fonte della vita, fonte della sapienza e della scienza, fonte della eterna luce, rigoglio della casa di Dio.
Te sempre ambisca, Te cerchi, Te trovi, a Te protenda, a Te sopraggiunga, Te mediti, di Te parli, e tutto operi a lode e gloria del tuo nome, con umiltà e discrezione, con amore e consolazione, con facilità e affetto, con perseveranza sino alla fine;
perché Tu solo sia sempre la mia speranza, la mia fiducia, la mia ricchezza, il mio diletto, la mia allegrezza, la mia gioia, il mio riposo e la mia tranquillità, la mia pace, la mia soavità, la mia dolcezza, il mio cibo, la mia refezione, il mio rifugio, il mio aiuto, la mia sapienza, la mia parte di eredità, il mio possesso, il mio tesoro, a cui siano sempre fissati, saldi ed inamovibili, la mai anima e il mio cuore. Amen.
Padre Nostro, Ave Maria, Gloria
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