Donna di contemplazione e di azione
L’episodio decisivo per la sua seconda e definitiva conversione fu davanti ad un Crocifisso piagato. Ecco Teresa stessa: “Appena lo guardai… fu così grande il dolore che provai, la pena dell’ingratitudine con la quale rispondevo al suo amore che mi parve che il cuore mi si spezzasse. Mi gettai ai suoi piedi tutta in lacrime e lo supplicai di farmi la grazia di non offenderlo più”. Era la svolta decisiva e definitiva, profonda e duratura: Cristo al centro di tutto, dei suoi affetti e pensieri, del suo tempo di preghiera e di azione, del suo vivere e morire. Teresa aveva allora 39 anni (1554). Conquistata da Lui, come Maria Maddalena, come San Paolo e Sant’Agostino, santi che le erano molto cari.
Proprio in questi anni (e in seguito) Teresa comincia ad avere numerose visioni, esperienze soprannaturali, voci, estasi e fenomeni mistici esaltanti e travolgenti, che l’hanno resa celebre già in vita, e sono state la sorgente della sua forza indistruttibile dispiegata negli anni seguenti durante la grande impresa della riforma del Carmelo (primo convento riformato nel 1562).
Questa riforma l’attuò con coraggio e con intelligenza, con molto buon senso e con tanta santa furbizia, nonostante innumerevoli difficoltà frapposte dalle monache che doveva riformare, dai Carmelitani Calzati che non ne volevano sapere (farsi riformare da una donna!), dai superiori dell’Ordine (fu definita “donna inquieta e vagabonda”) e da parte della gerarchia ecclesiastica.
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Inutile ricordare e nessuno si meraviglia che anche il diavolo, come suo mestiere, ha sempre remato contro di lei e la sua opera. Soffrì tantissimo (non solo per le proprie malattie) per questa sua opera di fondatrice o riformatrice del Carmelo, ma in tutto era sostenuta dal Cristo, che era la sua guida e il suo conforto, la sua forza e la sua garanzia. Quando le tolsero alcuni libri di devozione (si percepiva l’ombra lunga e minacciosa dell’Inquisizione) Cristo stesso le disse: “Non aver paura, Teresa. Io sarò il tuo libro vivente”. Gesù le era sempre presente, in ogni azione e pensiero, in convento e durante i viaggi, sempre e dovunque. Gesù era tutta la sua vita, la riempiva completamente:
Ancora Teresa:
“Mi sembrava che Gesù mi camminasse sempre a fianco… Sentivo chiaramente che mi stava sempre al lato destro, testimone di ciò che facevo e mai potevo dimenticare, se appena mi raccoglievo un pochino o non ero molto distratta, che Lui era accanto a me”.
Queste esperienze soprannaturali di cui Cristo la fece partecipe, sono state anche la fonte e l’ispirazione costante e originale delle opere che scrisse. Ma a differenza di Giovanni della Croce, (anch’egli Dottore della Chiesa, amico, confessore, direttore spirituale e suo sostenitore nella riforma dei Carmelitani, dal 1567 in poi) che aveva studiato filosofia e teologia all’Università di Salamanca, Teresa non voleva scrivere, perché non si sentiva all’altezza.
Fu il confessore, saggiamente, ad ordinarglielo. Non senza resistenza ella obbedì. Disse infatti: “Perché vogliono che io scriva? Lo facciano i dotti, quelli che hanno studiato: io sono ignorante…”. Quindi il suo è un magistero frutto non di studi universitari o di approfondite e faticose ricerche in biblioteca, ma è di chiara provenienza trascendente, grazie ai lunghi e continui “input” dall’alto attraverso le esperienze soprannaturali. Scrivendo metteva in pratica il Contemplata aliis tradere della tradizione medievale: aveva contemplato in profondità il mistero di Dio ora ne faceva dono agli altri.
“Dov’è Teresa il discorso sulla preghiera è inevitabile. La preghiera in lei diventa storia, narrativa, racconto, esperienza. Ed è questa la caratteristica più tipica del suo magistero” (Card. Anastasio Ballestrero, carmelitano).
La prima caratteristica della orazione, secondo Teresa, è di essere una realtà dinamica: pregare è iniziare una lunga avventura alla ricerca di Dio, un lungo cammino di comprensione dell’amore inesauribile del Cristo per ciascuno di noi (l’accettare di essere amati da Lui e di sentirlo al nostro fianco giorno e notte) e di amore al Cristo nei fratelli e nelle sorelle della Chiesa. Per cui pregare seriamente ogni giorno equivale a incominciare e a progredire nel cammino della santità, alla sequela di Cristo per la salvezza della Chiesa e del mondo.
La preghiera, inoltre, deve essere affettiva: più che di pensiero deve essere sostanziata di amore, più che da idee partorite dall’intelletto deve essere vivificata da mozioni zampillanti dal cuore. È questo il significato della più famosa definizione della preghiera che lei ci ha lasciato: è un dialogo “un intimo rapporto di amicizia, un frequente trattenimento da solo a solo con Colui da cui sappiamo di essere amati”.
Nella prospettiva di Teresa la preghiera deve essere bibliocentrica, cristocentrica ed ecclesiocentrica. Per nutrire il tempo della nostra orazione non c’è pane più nutriente che quello dalla Parola di Dio specialmente dei Vangeli dove il protagonista è Cristo, sospiro e desiderio dell’anima.
Una delle sue frasi celebri recita: “L’amore vuole le opere”. Teresa non fu estranea al grande movimento di riforma della Chiesa del 1500 (ricordiamo Lutero e Calvino). A spronare la sua azione fu il Concilio di Trento e l’aver conosciuto ben tre santi: il gesuita Francesco Borgia, il riformatore francescano Pietro d’Alcantara che la consigliò e diresse nella riforma del Carmelo, e Giovanni della Croce.
Questa arrivò verso le nove di sera del 4 ottobre del 1582: il suo volto diventò luminosissimo, Teresa mentre stringeva forte il Crocifisso, mormorò “Signore, mio Amore, è giunta l’ora che ho tanto desiderato. È ormai tempo che ci vediamo”, così finì il suo cammino terreno parlando e sorridendo a Qualcuno che lei aveva sentito accanto a sé per tanti anni: Gesù Cristo, il suo Amore.
Di Mario Scudu articolo originale su www.donbosco-torino.it
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