Testimonium

Il Santo di oggi – 15 ottobre – Santa Teresa d’Avila (Vergine e dottore della Chiesa)

Nata nel 1515, fu donna di eccezionali talenti di mente e di cuore. Fuggendo da casa, entrò a vent’anni nel Carmelo di Avila, in Spagna. Faticò prima di arrivare a quella che lei chiama la sua «conversione», a 39 anni. Ma l’incontro con alcuni direttori spirituali la lanciò a grandi passi verso la perfezione.

Nel Carmelo concepì e attuò la riforma che prese il suo nome. Unì alla più alta contemplazione un’intensa attività come riformatrice dell’Ordine carmelitano. Dopo il monastero di San Giuseppe in Avila, con l’autorizzazione del generale dell’Ordine si dedicò ad altre fondazioni e poté estendere la riforma anche al ramo maschile. Fedele alla Chiesa, nello spirito del Concilio di Trento, contribuì al rinnovamento dell’intera comunità ecclesiale. Morì a Alba de Tormes (Salamanca) nel 1582. Beatificata nel 1614, venne canonizzata nel 1622. Paolo VI, nel 1970, la proclamò Dottore della Chiesa.

Uno degli stereotipi antifemminili più conosciuti e più duri a morire è quello della chiacchiera come caratteristica peculiare della donna. Lo scrittore Oscar Wilde, con il suo fine umorismo, disse che queste chiacchiere sono anche vuote: “Le donne non hanno niente da dire, ma lo sanno dire molto bene”.

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Ma una donna che ha ancora tanto da dire e molto bene a tutta la Chiesa è Santa Teresa d’Avila, vissuta nel 1500 ma oggi viva più che mai in primo luogo attraverso la sua santità così originale e coinvolgente, poi come Riformatrice del Carmelo e come scrittrice di opere di vita spirituale. Era stata canonizzata già nel 1622 insieme a Ignazio di Loyola, Francesco Saverio e Filippo Neri (come si vede in buona e santa compagnia!) ma il titolo di Dottore della Chiesa, prima donna nella storia, le arrivò solo nel 1970 quando Paolo VI la dichiarava “Maestra” per tutti i cristiani. È una donna che bisogna lasciar parlare e che bisogna ascoltare con attenzione: nel nostro rapporto con Dio e nel nostro cammino verso di Lui (orazione) Teresa è una vera maestra, esperta e credibile perché parla per esperienza vissuta.

Un grande riconoscimento le è venuto anche da Giovanni Paolo II nella sua famosa Lettera alle Donne (1995).

Andando al di là di ogni stereotipo antifemminile il Papa ha scritto: “La storia della Chiesa, in questi due millenni, nonostante tanti condizionamenti, ha conosciuto «il genio della donna», avendo visto emergere nel suo seno donne di prima grandezza (…)” e cita Santa Caterina da Siena e Santa Teresa d’Avila. E Teresa è stata veramente oltre che una grande santa, una donna geniale per quello che ha fatto e per come e quando lo ha fatto.

Io desidero tutto con passione

Teresa de Ahumada y Cepeda nasce ad Avila nel 1515 in una famiglia numerosa, ricca di fede cristiana e di mezzi materiali. L’infanzia fu pia e felice (“ero la più amata da mio padre”) piena di buoni esempi e di pie letture. Ancora bambina, insieme al fratello Rodrigo, era affascinata dall’idea di eternità del Paradiso (e dell’inferno) e i due amavano ripetere, quasi come un gioco: “C’è una vita che è per sempre, per sempre, per sempre”. Quel brivido di eternità che dava loro la ripetizione della parola “sempre” fece venire a Teresa l’idea della rapida conquista del Paradiso eterno attraverso il martirio, fino a convincere il fratellino a “fuggire” di casa per andare nella “la terra dei Mori”.

La prospettiva del Paradiso

La prospettiva del Paradiso dura solo pochi chilometri perché uno zio li riconosce per strada e riporta a casa i due giovanissimi aspiranti martiri.

La “scusa” (e quasi la sfida) di Teresa davanti ai genitori fu: “Io volevo andare a vedere Dio”. Già questo piccolo episodio ci fa capire un po’ della sua personalità: agirà sempre in tutto con profonda convinzione (“Quello che io desidero lo desidero con passione”) e nella vita avrà sempre un grande ascendente sugli altri fino ad essere una vera trascinatrice di persone. Oggi si direbbe che era una vera “leader”. A 12 anni perse la sua cara mamma terrena, Beatrice, e cercò rifugio e conforto, come lei scrisse, nella mamma celeste, la Madonna.

Teresa adolescente era una ragazza carina e affascinante, dotata, come lei stessa confessò, della grazia di piacere alla gente. Andava matta per i bei vestiti (oggi si direbbe gli abiti firmati), i gioielli, i profumi, le letture di romanzi cavallereschi ed il contorno di amici adoranti. Coltivò insomma le normali frivolezze e vanità adolescenziali, condite con una buona dose di romanticismo.

Arrivata a 20 anni, diede una prima grande svolta alla propria vita: dopo grave malattia e lungo travaglio spirituale decise di entrare nel convento dell’Incarnazione ad Avila. Il padre si oppose al progetto ed allora Teresa decise di scappare di casa (1535). Nel convento carmelitano dell’Incarnazione le monache conducevano una vita religiosa piuttosto tranquilla e rilassante: le parole come disciplina, penitenza, rinuncia non godevano molta fortuna, anche perché ciascuna in convento conservava lo stato sociale che aveva fuori, per cui se una era ricca… E le monache di famiglie nobili e ricche erano più di una. Anche Teresa visse in una relativa comodità questa prima esperienza religiosa.

Superare la depressione

Poco dopo dovette affrontare un altro lungo periodo di malattia che la portò ad una forma di paralisi grave. Durante questo tempo lesse uno libro famoso dal titolo “La terza parte dell’alfabeto spirituale”. Fu per lei una vera introduzione e una guida alla preghiera mentale e contemplativa.

Superata la lunga malattia, Teresa ritornò gradualmente alla vita di prima comoda, rilassata, un po’ mondana e piena di distrazioni. Arrivò anche ad abbandonare la pratica della preghiera mentale. Motivo? Si sentiva indegna davanti a Dio, e poi avvertiva un certo senso di frustrazione.

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In seguito, dietro consiglio del confessore, ha ripreso la pratica della preghiera, anche se per alcuni anni è rimasta per lei ancora difficile e pesante. Ecco le sue parole:

“Avrei fatto più volentieri una qualsiasi pur dura penitenza (…) piuttosto che praticare il raccoglimento come atto preliminare della preghiera (…). Mi sentivo così depressa che dovevo raccogliere tutto il mio coraggio per costringermi a pregare”.

Teresa questa volta perseverò, nonostante gli apparenti insuccessi.
Fu un altro confessore (la maggior parte però non la capirono) a suggerirle, nell’esame di coscienza, a puntare più che sui peccati o sulle distrazioni avute, sul bene che questa sua resistenza alle grazie di Dio le impediva di fare. Teresa aveva cominciato a capire che Dio le chiedeva tutto, non il primo posto nei suoi affetti e interessi ma l’unico, (“con tutto il cuore” dice il Vangelo).

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