Etimologia: Eriberto = guerriero illustre, dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale
Fa carriera molto presto. Anzi, in carriera ci nasce, perché figlio di una casata che è un vivaio di capi per lo Stato, per l’esercito e, purtroppo, anche per la Chiesa. Eriberto fa buoni studi nella scuola della cattedrale a Worms, fucina di ecclesiastici, e poi tra i severi monaci di Gorze presso Metz, nell’attuale Francia. Destinato al sacerdozio, prima di essere ordinato è già cancelliere dell’imperatore Ottone III per gli affari italiani, e non ha ancora 25 anni. Ma l’imperatore ne ha 14, e per lui governa sua madre Teofano.
Sacerdote nel 995, quattro anni dopo ecco Eriberto già arcivescovo di Colonia. Al momento della nomina è in Italia insieme all’imperatore, che ora governa a pieno titolo e ama vivere a Roma, come i sovrani dell’antico Impero.
Ricevuta la consacrazione episcopale a Colonia nel 999, tre anni dopo lo ritroviamo ancora in Italia, accanto a Ottone III che è fuggito da una Roma in rivolta, e che sta morendo ventiduenne presso Viterbo, forse di malaria. Eriberto lo assiste nell’agonia e lo accompagna morto nel lungo viaggio verso la Germania – Aquisgrana – con l’esercito imperiale che a volte deve aprirsi la strada con le armi. E finisce a questo punto la sua carriera politica. Ad Aquisgrana lo arrestano su ordine del principe di Baviera, che diventerà poi l’imperatore Enrico II. Una volta rimesso in libertà, Eriberto perde le cariche di Stato, e ben di rado lo consulteranno ancora. Così, per la prima volta, lo ritroviamo a tempo pieno in Colonia.
La disgrazia politica gli ha fatto bene. Impara a essere vescovo sul serio. Scopre la vita dei poveri, e i doveri di ogni uomo di Chiesa verso di loro. Sta in diocesi, ne percorre ogni città e paese, e ben di rado se ne allontana. Non c’è notizia di lui come predicatore o come scrittore, ma si parla sempre più della vita severa che si impone.
Eriberto lo statista diventa il soccorritore e l’amico, l’alleato dei poveri. E accade poi che la riconoscenza della gente gli attribuisca miracoli già da vivo. Quando arriva la pioggia, dopo una tremenda siccità che ha messo la gente alla fame, tutti in Colonia gridano: «Le preghiere di Eriberto ci hanno salvati». Il suo cappellano scampa a una grave malattia, una donna cieca recupera la vista: e riecco ogni volta le voci sul “miracolo del vescovo”. Questa fama persiste lungamente dopo la sua morte, e per secoli si invocherà la sua intercessione per avere la pioggia.
Muore a Colonia il 16 Marzo 1021. Viene sepolto nella chiesa del monastero da lui fondato a Deutz, nell’attuale area urbana di Colonia. Non c’è un atto ufficiale di canonizzazione per Eriberto: il culto nei suoi confronti è nato spontaneamente, durando nel tempo.
Ora il Martirologio romano lo elenca tra i santi, ricordando che egli «ha illuminato il clero e il popolo praticando le virtù che predicava».
Autore: Domenico Agasso
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