Martirologio Romano: A Cascia in Umbria, beata Maria Teresa (Maria Giovanna) Fasce, badessa del monastero dell’Ordine di Sant’Agostino, che con ogni cura unì l’ascesi e la contemplazione alle opere di carità verso i pellegrini e i bisognosi.
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Nasce nel 1881 a Torriglia, nell’entroterra genovese, in una famiglia borghese, dove si respira una religiosità intensa. Ben tre figlie (erano in 7 fratelli) avvertono in modo chiaro e distinto la vocazione alla vita consacrata. Ma per quell’incoerenza illogica di troppe famiglie cristiane, ogni vocazione trova una ferma opposizione. Riesce a spuntarla solo lei, forse più cocciuta, certamente con una vocazione così salda da superare tutti gli ostacoli. Perché a lei non va bene un monastero qualsiasi, ma solo uno agostiniano; e non in una città qualunque, ma unicamente a Cascia.
La famiglia, già contraria alla vocazione di per sé, tanto più ostacola la sua idea del monastero di Cascia, oscura cittadina che nessuno conosce e molto distante da Genova. Certamente più distante di Savona dove pure c’è un monastero agostiniano in cui la famiglia si adatterebbe a vederla entrare, ma di cui lei non vuole sapere. Il suo non è però un capriccio infantile, ma l’espressione della sua tenera devozione a Santa Rita, la quattrocentesca monaca agostiniana che Leone XIII ha proclamato santa nel 1900 e che appunto nel monastero di Cascia è vissuta ed è morta.
Quando la famiglia si è convinta a lasciarla partire, a complicare ulteriormente la tormentata storia della sua vocazione arriva il netto rifiuto del monastero, le cui monache proprio non riescono a capire come quella “signorina in cappellino” avrebbe potuto adattarsi alla povertà del monastero dell’insignificante paesino di Cascia.
Ancora una volta vince lei e nel 1906 entra nel monastero che ha sognato. Qui però non trova una situazione rosea, perché sette giovani monache provenienti da Macerata vi hanno portato un clima di aridità spirituale che la fa soffrire e la manda in crisi. Così nel 1910 si prende una pausa di riflessione e rientra in famiglia , ma torna a Cascia l’anno dopo, ben decisa, con la sua presenza e la sua opera, a risanare quel rilassato ambiente spirituale.
Viene eletta Abbadessa nel 1920 e tale resterà per 27 anni, cioè fino alla morte. Con fermezza, amorevolezza e tanta umiltà riesce nel suo intento, ridonando al monastero il suo giusto equilibrio spirituale e caritativo.
Innamorata di Santa Rita, allora conosciuta solo in Umbria o poco più, si fa propagatrice della sua devozione nel mondo, anche grazie al periodico “Dalle api alle rose” che fonda nel 1923. Promuove pellegrinaggi che a quell’epoca per Cascia rappresentavano un evento eccezionale. Realizza l’”Alveare di S. Rita” per accogliere le “Apette”, cioè le piccole orfane. Pensa di costruire un santuario, in grado di accogliere i tanti pellegrini che lei già intravede. Ci riesce a prezzo di sacrifici immensi, incomprensioni, amarezze, cause giudiziarie, ostacoli della Soprintendenza. Purtroppo non avrà la soddisfazione di vedere ultimato, perché sarà consacrato quattro mesi dopo la sua morte.
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Sul suo fisico si accumulano malanni a non finire. Il diabete si assomma all’asma, a problemi di cuore e di circolazione al punto da impedirle di camminare. Inoltre, convive per 27 anni con un tumore al seno (non per nulla adesso viene invocata da chi è assalito dal male del secolo).
Si spegne nella mattinata del 18 gennaio di 1947, circondata da una fama di santità.
Giovanni Paolo II lo ha proclamata beata il 12 ottobre 1997.
Fonte www.santiebeati.it – Autore: Gianpiero Pettiti
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