A Padova, san Gregorio Barbarigo, vescovo, che istituì il seminario per i chierici, insegnò il catechismo ai fanciulli nel loro dialetto, celebrò un sinodo, tenne colloqui con il suo clero e aprì molte scuole, dimostrandosi generoso con tutti, severo con se stesso.
Etimologia: Gregorio = colui che risveglia, dal greco
Emblema: Bastone pastorale
Nacque il 16 settembre 1625 in una ricca e influente famiglia veneziana. Sua madre, Chiara Lion, morì di peste quando Gregorio aveva appena due anni. Suo padre, Giovanni Francesco Barbarigo, era senatore della Repubblica di Venezia e fervente cattolico.
Il padre lo iniziò all’educazione nelle scienze belliche e nelle scienze naturali e gli fece completare un corso di diplomazia.
Nel 1643 accompagnò l’ambasciatore veneziano Alvise Contarini a Münster in Germania per le negoziazioni in preparazione della Pace di Vestfalia che pose termine alla Guerra dei trent’anni. A Münster conobbe l’arcivescovo Fabio Chigi, nunzio apostolico in Germania e futuro papa Alessandro VII, che partecipava alle negoziazioni. Dopo tre anni, nel 1646, tornò a Venezia, e continuò gli studi a Padova.
All’Università degli Studi di Padova studiò greco, matematica, storia, filosofia, e ottenne un dottorato in utroque iure il 25 settembre 1655.
Nei suoi progetti, desiderava diventare religioso, ma il suo direttore spirituale gli consigliò di intraprendere la via per diventare prete diocesano, perché vedeva in lui le doti del parroco. Fu ordinato presbitero il 21 dicembre 1655 all’età di trent’anni.
Il papa Alessandro VII lo chiamò poco tempo dopo a Roma nel 1656. Gli conferì l’incarico di “prelato domestico di sua santità” e gli affidò altri incarichi tra i quali la guida del Tribunale della Segnatura Apostolica.
Nel maggio 1656 scoppia a Roma la peste bubbonica, che dura fino all’agosto 1657, facendo migliaia di vittime. Il papa Alessandro VII (Fabio Chigi), che era a Castelgandolfo, torna subito nell’Urbe e si fa vedere in giro anche a piedi, per incoraggiare i romani. A dirigere i soccorsi in Trastevere, epicentro del contagio, sceglie il prete trentunenne Gregorio Barbarigo, di famiglia veneziana. E sa quello che fa. Era nunzio papale a Münster (Germania) nel decennio precedente, per la pace dopo la Guerra dei Trent’anni; e lì ha conosciuto il giovane Barbarigo, allora segretario dell’ambasciatore di Venezia. Lo ha poi consigliato negli studi, fino al sacerdozio. Infine, eletto Papa nel 1655, lo ha chiamato a Roma. Se ne fida come di sé stesso, e perciò lo manda tra gli appestati di Trastevere.
Lui obbedisce, senza però nascondere la paura. Ne scrive anche a suo padre. Ma quando vede come vive e muore quella gente, sa farsi capo, guida, fratello; è prete, infermiere, seppellitore, è il padre dei trasteverini.
Il Papa nel 1657 lo nomina vescovo di Bergamo e nel 1658 cardinale. In diocesi prende a modello Carlo Borromeo, con un appassionato accento personale nell’istruzione religiosa. Nominato vescovo di Padova (1664), nella città del grande Ateneo dà slancio al grande Seminario: stimola la formazione teologica e biblica e la vuole arricchita di sapere classico, di scienza e di familiarità con le lingue; dà ai chierici una ricchissima biblioteca e crea una tipografia anche con caratteri greci e orientali, gettando ponti culturali tra Europa e Asia. Al tempo stesso, dice un testimone, “mangia con la servitù e non lascia mai d’insegnare la dottrina cristiana, di fare missioni e assistenza a’ moribondi”.
Sui costumi del clero, poi, davvero non scherza. Incaricato da papa Innocenzo XI di ispezionare un convento romano chiacchierato, dev’essere andato giù deciso, perché fulmineo “un timore salutare” coglie tutti i frati dell’Urbe (Pastor). Due volte è sul punto di diventare Papa, e dice sempre di no. Per lui, vivere è Padova, è lo studio, è la carità. E’ suonare la campana del catechismo ai bambini, preparando banchi e sedie da sé, per la gioia di educarli personalmente alla fede; come un tempo accudiva con le sue mani gli appestati di Trastevere.
Morì il 17 giugno 1697 e fu esposto e sepolto nella cattedrale di Padova.
Gregorio viene beatificato da Clemente XIII nel 1761. Poi tutto si ferma per 150 anni. Nel 1911 giungono a Pio X appelli per la sua canonizzazione, e uno di essi ha tra i firmatari anche il “prof. sac. Angelo Roncalli” di Bergamo. Il quale ancora non sa che deve passare un altro mezzo secolo ancora. E che infine sarà lui, col nome di Giovanni XXIII, a proclamare santo Gregorio, il 26 maggio 1960, in San Giovanni in Laterano, con un lieve, elegante accenno alla lunga attesa: “Noi amiamo felicitarci devotamente con lui scorgendolo elevato dalla Santa Chiesa al posto suo“. Fonte www.santiebeati.it
Autore: Domenico Agasso
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