Gregorio Barbarigo nel 1656 viene incaricato da Alessandro VII di coordinare i soccorsi agli appestati dell’Urbe. Il Papa ha grande fiducia in questo 31enne sacerdote veneziano, conosciuto anni prima in Germania. Nel 1667 lo nomina vescovo di Bergamo, poi lo crea cardinale. Gregorio agisce secondo lo stile del suo modello: Carlo Borromeo.
Passa poi a Padova dove dà grande slancio al seminario, puntando molto sul sapere teologico, biblico, ma anche delle lingue orientali. Si fa anche riformatore dei costumi del clero. «Mangia con la servitù e non lascia mai d’insegnare la dottrina cristiana, di fare missioni e assistenza a’ moribondi», narra un testimone. Muore nel 1697. Beato dal 1761 verrà proclamato santo da Giovanni XXIII nel 1960. (Avvenire)
Etimologia: Gregorio = colui che risveglia, dal greco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Padova, san Gregorio Barbarigo, vescovo, che istituì il seminario per i chierici, insegnò il catechismo ai fanciulli nel loro dialetto, celebrò un sinodo, tenne colloqui con il suo clero e aprì molte scuole, dimostrandosi generoso con tutti, severo con se stesso.
Nel maggio 1656 scoppia a Roma la peste bubbonica, che dura fino all’agosto 1657, facendo migliaia di vittime. Il papa Alessandro VII (Fabio Chigi), che era a Castelgandolfo, torna subito nell’Urbe e si fa vedere in giro anche a piedi, per incoraggiare i romani. A dirigere i soccorsi in Trastevere, epicentro del contagio, sceglie il prete trentunenne Gregorio Barbarigo, di famiglia veneziana. E sa quello che fa. Era nunzio papale a Münster (Germania) nel decennio precedente, per la pace dopo la Guerra dei Trent’anni; e lì ha conosciuto il giovane Barbarigo, allora segretario dell’ambasciatore di Venezia. Lo ha poi consigliato negli studi, fino al sacerdozio. Infine, eletto Papa nel 1655, lo ha chiamato a Roma. Se ne fida come di sé stesso, e perciò lo manda tra gli appestati di Trastevere.
Lui obbedisce, senza però nascondere la paura. Ne scrive anche a suo padre. Ma quando vede come vive e muore quella gente, sa farsi capo, guida, fratello; è prete, infermiere, seppellitore, è il padre dei trasteverini.
Sui costumi del clero, poi, davvero non scherza. Incaricato da papa Innocenzo XI di ispezionare un convento romano chiacchierato, dev’essere andato giù deciso, perché fulmineo “un timore salutare” coglie tutti i frati dell’Urbe (Pastor). Due volte è sul punto di diventare Papa, e dice sempre di no. Per lui, vivere è Padova, è lo studio, è la carità. E’ suonare la campana del catechismo ai bambini, preparando banchi e sedie da sé, per la gioia di educarli personalmente alla fede; come un tempo accudiva con le sue mani gli appestati di Trastevere.
Gregorio viene beatificato da Clemente XIII nel 1761. Poi tutto si ferma per 150 anni. Nel 1911 giungono a Pio X appelli per la sua canonizzazione, e uno di essi ha tra i firmatari anche il “prof. sac. Angelo Roncalli” di Bergamo. Il quale ancora non sa che deve passare un altro mezzo secolo ancora. E che infine sarà lui, col nome di Giovanni XXIII, a proclamare santo Gregorio, il 26 maggio 1960, in San Giovanni in Laterano, con un lieve, elegante accenno alla lunga attesa: “Noi amiamo felicitarci devotamente con lui scorgendolo elevato dalla Santa Chiesa al posto suo”.
Autore: Domenico Agasso
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