Desterà forse un po’ di sorpresa il fatto che il santo oggi in questione non solo non sia cristiano, ma neppure ebreo come i patriarchi ed i profeti biblici. Analogo caso è però costituito dal re-sacerdote San Melchisedech.
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Il patriarca Noè è infatti una figura nota, seppur sotto diversi nomi, ad altri popoli mesopotamici e la storia del diluvio a lui connessa è narrata anche da vari antichissimi testi babilonesi, quali per esempio l’Epopea di Ghilgamesh ed il Poema di Atrakhasis.
Il fatto storico che probabilmente ispirò questo racconto leggendario sta in un catastrofico evento verificatosi forse nell’area dei due maestosi fiumi Tigri ed Eufrate. Le cui loro inondazioni opportunamente incanalate si rivelarono sempre fonti di benessere, ma con le loro piene eccessive furono talvolta causa di devastazioni.
La figura di Noè è così nota da rendere incompleto ogni possibile tentativo di riproporre così in breve la sua vicenda, narrata per esteso nei capitoli 6-9 del libro della Genesi, pur con qualche incongruenza, dovuta all’intrecciarsi di due differenti tradizioni.
L’arca tratteggiata nel racconto biblico con misure esorbitanti, lunga 156 metri, alto 30, larga 26, con la capacità di 65/70.000 metri cubi, desta da secoli lo stupore degli artisti, che cercano di raffigurarla, e degli archeologi, che invano tentano di scovarne eventuali resti, nonostante le discordanze sulla suo possibile collocazione. Noè costituisce comunque un emblema dei giusti presenti indubbiamente anche nel mondo pagano: Abramo verrà infatti parecchi secoli dopo. Dio stabilì già con Noè un’alleanza anticipatrice di quella che stipulò poi con Israele sul monte Sinai.
Questo è dunque l’atto culminante del racconto del diluvio. Cioè il Signore che nella sua giustizia irrompe per colpire il male dilagante con le acque impetuose. Simbolo per l’antico Vicino Oriente del nulla e del caos.
Ma Dio si fa portatore di salvezza nei confronti di tutti i giusti, incarnati in Noè. Lui “uomo giusto e integro” in una “terra corrotta e piena di violenza” (Gn 6,9.11). L’arcobaleno sfolgorante nel cielo divenne segno non solo del giudizio divino ormai ottemperato, ma anche della nuova alleanza cosmica intersorsa tra Dio e l’intera creazione.
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Tuttavia il male non fu così del tutto estirpato. Riaffiorando infatti nel finale del racconto della storia di Noè, più precisamente nella mancanza di rispetto che Cam. Era uno dei tre figli di Noè, ebbe nei confronti di suo padre, qualora “vide il padre scoperto e raccontò la cosa ai due fratelli” (Gn 9,22).
Fu così evidente che purtroppo, anche nell’umanità appena rinnovata, il germe del male era già pronto a risorgere tra gli uomini e trovare nuovo vigore.
Autore: Fabio Arduino
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