Arsenio era nato a Roma intorno al 354 da nobile famiglia senatoria. Nel 383 l’imperatore Teodosio lo volle a Costantinopoli per affidargli l’educazione dei figli Arcadio e Onorio. Vi restò undici anni, fino al 394, quando in seguito a una profonda crisi spirituale ottenne l’esonero da quell’incarico per ritirarsi nel deserto egiziano.
Il nobile incedere gli veniva dall’essere romano, di famiglia senatoriale. Nel Palazzo imperiale aveva ricoperto cariche assai alte, e sembra addirittura che Teodosio l’avesse scelto come precettore dei propri figli, Arcadio e Onorio, che si divisero poi l’Impero paterno. Quando Roma fu conquistata dal Re barbaro Alarico; quando l’Impero costruito dai Cesari cominciò a crollare, Arsenio comprese come la sua opera nel mondo fosse inutile. Si sentì chiamato verso un nuovo Impero, che non avrebbe temuto le orde dei barbari. Una voce gli disse: «Fuggi gli uomini, e ti salverai!». Fuggiti gli uomini, Arsenio condusse, nel deserto egiziano, una vita di continua preghiera, quasi sopprimendo il sonno. Al tramonto, volgeva le spalle al sole calante e per tutta la notte, con gli occhi fissi al levante, aspettava l’aurora del nuovo giorno. Soltanto allora, per brevissimo tempo, si assopiva.
Pregava e piangeva, con gli occhi senza più ciglia, per le lacrime e per lo sforzo di non dormire. Pregava per l’Impero caduto, ma anche di più piangeva sull’infelicità del mondo, sulla sorte di tanti infelici, sul sacrificio divino, dimenticato e negletto dagli uomini.
«Beato te, abate Arsenio – disse di lui un altro eremita – Tu ti sei pianto in questa vita! Chi non si piange in questa vita, piange eternamente nell’altra».
Il pianto di Sant’Arsenio fu assai lungo: durò per 53 anni, prima del giorno in cui passò, con la morte, alla gioia dell’altra vita. Morì a Troe presso Menfi.
La sua esistenza era stata l’adempimento di una preghiera che si legge ancora nel Messale, e che chiede proprio il dono delle lacrime, quelle lacrime che la maggioranza degli uomini vorrebbero evitare, perché espressione di sofferenza. Dice: «Dio onnipotente e pieno di dolcezza, che in favore del popolo assetato facesti zampillare dalla roccia una fonte d’acqua viva, estrai dal nostro cuore di pietra le lacrime della compunzione, affinché possiamo piangere i nostri peccati, meritando così di esserne perdonati nella Tua misericordia». Fonte santodelgiorno.it
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