Sant’Eusebio, primo vescovo di Vercelli, che consolidò la Chiesa in tutta la regione subalpina e per aver confessato la fede di Nicea fu relegato dall’imperatore Costanzo a Scitopoli e poi in Cappadocia e nella Tebaide. Ritornato otto anni più tardi nella sua sede, si adoperò strenuamente per ristabilire la fede contro l’eresia ariana.
Arriva in gioventù dalla nativa Sardegna a Roma, segue gli studi ecclesiastici e si fa apprezzare da papa Giulio I, che verso il 345 lo nomina vescovo di Vercelli: è il primo vescovo del Piemonte. Qui stabilisce per sé e per i suoi preti l’obbligo della vita in comune, collegando l’evangelizzazione con lo stile monastico. Ora i cristiani, non più perseguitati, cominciano a litigare tra loro: da una parte, quelli che seguono la dottrina del concilio di Nicea (325) sul Figlio di Dio, “generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”; dall’altra, i seguaci dell’arianesimo, che nel Figlio vede una creatura, per quanto eminente. Con l’appoggio della corte imperiale, gli ariani hanno il sopravvento in molte regioni, e faranno esiliare per cinque volte il più energico sostenitore della dottrina nicena: Atanasio, vescovo di Alessandria d’Egitto, ammirato da Eusebio che l’ha conosciuto a Roma.
Annullato il secondo suo esilio, un concilio ad Arles (Francia), con decisione illegale, condanna Atanasio per la terza volta. Allora il papa Liberio manda all’imperatore Costanzo (figlio di Costanzo il Grande) appunto Eusebio, già suo compagno di studi, con Lucifero, vescovo di Cagliari. Ed essi ottengono di rimettere la questione a un nuovo concilio, che si riunisce nel 355 a Milano, dove viene anche il sovrano. E subito si riparla di condannare ed esiliare Atanasio. Replica lucidamente Eusebio: prima di esaminare i casi personali, mettiamoci piuttosto tutti d’accordo sui problemi generali di fede, firmando uno per uno il Credo di Nicea. Una proposta ragionevole, che però scatena il tumulto tra i vescovi e un altro tumulto dei fedeli contro i vescovi. Costanzo fa proseguire i lavori nella residenza imperiale (senza i fedeli) e tutti approvano la ri-condanna di Atanasio. Tutti meno tre: Eusebio, Lucifero, e Dionigi, vescovo di Milano. Questi non cedono, e Costanzo li esilia.
Eusebio viene mandato a Scitopoli di Palestina, e di lì scrive ai suoi vercellesi una lettera giunta fino a noi. Poi è trasferito in Cappadocia (Asia Minore) e poi nella Tebaide egiziana. Nel 361, morto l’imperatore Costanzo, si revocano le condanne: Atanasio torna ad Alessandria e indice un concilio, presente anche Eusebio, che poi però non torna subito a Vercelli: lo chiamano ad Antiochia di Siria, dove l’estremismo del vescovo Lucifero fa litigare i cattolici tra di loro. Ritrova infine Vercelli nel 362. Studia, scrive, riprende l’evangelizzazione delle campagne, istituisce la diocesi di Tortona. Ma si spinge anche in Gallia, insediando un vescovo a Embrun. La tradizione lo considera pure fondatore di due illustri santuari: quello di Oropa (Biella) e di Crea (Alessandria). La morte lo coglie nella sua città episcopale, che ne custodisce tuttora le reliquie nel Duomo, ricordandolo anche a fine XX secolo col nome del giornale della diocesi: L’Eusebiano.
Di Domenico Agasso