Etimologia: Elisabetta = Dio è il mio giuramento, dall’ebraico
Elisabetta Vendramini nasce a Bassano del Grappa il 9 aprile 1790. Da bambina fu educata in un convento agostiniano; da entrambi i genitore ricevette la sua educazione religiosa.
Nel 1811 si fidanzò, nonostante l’obiezione dei genitori, con un uomo ferrarese di umili origini. Ruppe questo fidanzamento la sera prima del suo matrimonio nel 1817 perché sentiva una forte chiamata alla vita religiosa in modo da potersi dedicare ai bisogni dei poveri.
Resta in casa fino ai 30, poi va a fare la maestra nell’orfanotrofio locale, tenuto dalle Terziarie francescane (una branca del Terz’Ordine, con vita comunitaria e impegno regolare verso i poveri).
Ma l’Istituto è un disastro, e se ne dà colpa a una superiora dispotica, che subito vede in Elisabetta un’avversaria e le infligge umiliazioni insopportabili. Lei passa allora all’istituto degli “Esposti” in Padova, che accoglie bambini abbandonati. Ma dura poco anche qui: fino al novembre 1828. E non perché la trattino male. Anzi, cercano di farla restare, perché è un’educatrice valida. Lei però lascia, perché non condivide l’impostazione pedagogica: troppo aristocratica, a suo giudizio. Va a finire, sempre a Padova, in un luogo dal nome deprimente: “Casa degli sbirri”.
E così ne parla: “Nel novembre 1828 fui posta da Dio con una compagna […] in una splendida reggia della santa povertà, priva persino del letto“.
In due aprono una scuola gratuita lì, tra bambini abbandonati e vecchi infermi, cosicché devono farsi bambinaie, maestre, infermiere. E la situazione ispira a Elisabetta il disegno di un istituto nuovo, diverso; religiose addestrate all’intervento su più fronti. Comincia a raccogliere le prime giovani e il 10 novembre 1830, con l’aiuto di don Luigi Maran (1794-1859), istituì a Padova le suore terziarie francescane elisabettine (in onore di santa Elisabetta d’Ungheria, fondatrice di comunità femminili nel Duecento).
Saranno educatrici, ma pronte anche a operare in ogni situazione di sofferenza. Un’agile istituzione che si modella su necessità e situazioni diverse, agganciata ai bisogni di ciascun momento.
Dal 1835 in poi, le Elisabettine si moltiplicano, aprono scuole, vanno a servire emarginati, vecchi, infermi. Fronteggiano un’epidemia di colera, creano asili d’infanzia. Tante necessità, tanti interventi.
Struttura e stile dell’Istituto si rivelano adatti ai tempi: le Elisabettine otterranno via via i riconoscimenti canonici, alla fine del XX secolo saranno 1.500, attive in Europa, Africa, Medio Oriente e America latina.
Elisabetta muore il 2 aprile 1860.
Di lei non esiste sepolcro; il corpo è scomparso dopo il 1872, nel corso dei lavori di ristrutturazione del cimitero di Padova.
Giovanni Paolo II l’ha beatificata il 4 novembre 1990.
Autore: Domenico Agasso
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