«Ad Antananarivo in Madagascar, beata Vittoria Rasoamanarivo, che, rimasta vedova dopo il matrimonio con un uomo violento, quando i missionari furono espulsi dall’isola, aiutò con ogni mezzo i cristiani e difese la Chiesa presso i pubblici magistrati.»
Rasoamanarivo nasce nel 1848 a Tananarive (Madagascar), apparteneva ad una delle più potenti famiglie del paese. Secondo le usanze del paese, fu adottata dal fratello maggiore di suo padre, Rainimaharavo, comandante in capo dell’esercito malgascio.
La piccola ricevette, specialmente dalla madre, un’ottima educazione morale. Nella sua gioventù seguì la religione indigena dei suoi antenati. Arrivati però alcuni missionari francesi della Compagnia di Gesù seguiti dalle suore della Congregazione di San Giuseppe di Cluny, Rasoamanarivo fu tra le prime ragazze ad essere iscritte alla scuola aperta dalla Missione.
L’insegnamento della religione cattolica e l’esempio della vita dei Padri e delle Suore fecero un’impressione cosi profonda sulla fanciulla, allora tredicenne, che chiese di essere ricevuta nella Chiesa.
Viene battezzata il 1 novembre 1863, ricevette in questa occasione il nome di Vittoria, presagio delle molte lotte che essa avrebbe dovuto sostenere a causa della sua fede e del suo amore per la Chiesa cattolica.
Il 17 gennaio 1864, con una ventina di compagne, ricevette la Prima Comunione.
Nello stesso anno sposò Radriaka, figlio maggiore di suo zio Rainilaiarivony, come detto capo dell’esercito, che successivamente divenne anche primo ministro. La cerimonia si svolse il 13 maggio 1864, alla presenza di un sacerdote cattolico.
Il Madagascar a quell’epoca subiva l’influenza coloniale della Francia, che provocava scontento e tumulti. Quando il re Radama II, ritenuto troppo amico della Francia, fu assassinato, salì al trono Rasoherina, sua moglie, che si comportò in maniera neutrale verso i cristiani.
Nel 1868 divenne regina Ranavalona II, la quale scatenò una persecuzione più o meno aperta contro la missione cattolica.
Victoire dovette subire le insistenze del suo padre adottivo, che cercava di convincerla a lasciare la fede cattolica e ritornare alla religione degli antenati. Fu minacciata di essere privata dell’eredità, di essere considerata come una schiava e, infine, di essere esclusa dalla tomba di famiglia, ma non cedette.
Non si vergognava della sua fede e di esprimerla in pubblico. S’inginocchiava per strada, al momento di recitare l’Angelus. Faceva lo stesso se si trovava a corte, anche in mezzo a qualche conversazione. Alcuni cortigiani imitavano per scherzo il suo modo di pregare, ma il primo ministro non tollerò a lungo quel comportamento.
La sua vita matrimoniale non fu felice: il marito era un uomo dissoluto, schiavo dell’alcool e delle passioni. Dava così grande scandalo che suo padre, d’accordo con la regina, offrì a Victorire di divorziare. Lei, invece, si gettò ai piedi della sovrana, dichiarandosi certa dell’indissolubilità del matrimonio.
Radriaka insidiava anche le schiave di casa, quando la moglie sembrava non accorgersene. Lei pregava e faceva pregare per lui, cercando in pari tempo di coinvolgerlo nelle sue iniziative di carità. Spesso era un’adesione solo di facciata, ma per lei era sufficiente. La sua fedeltà divenne proverbiale, tanto che alle giovani spose in crisi veniva presentata come esempio, ma in negativo.
Col tempo acquistò agli occhi della corte e di tutto il popolo una stima incondizionata per la sua vita cristiana. Trascorreva in chiesa anche sei o sette ore al giorno, a volte fino a notte inoltrata. Viveva la carità in maniera discreta, inviando allo scopo tre suoi attendenti per indagare le povertà nascoste di Antananarivo. Sosteneva in modo speciale i prigionieri e i lebbrosi.
Aveva parecchi schiavi, secondo i costumi del Paese, ma non badava a spese se questi si ammalavano. Lasciava poi i proventi delle sue risaie a quanti di loro le coltivavano. Gli schiavi preferivano non essere liberati, perché sicuri che non sarebbero mai stati bene come nella sua casa.
Per l’autorità morale che si era conquistata, Victoire divenne il sostegno della Chiesa cattolica in Madagascar. Il 25 maggio 1883, infatti, scoppiò una nuova persecuzione, in seguito alla prima guerra franco-malgascia.
Tutti i missionari francesi furono espulsi, mentre i fedeli cattolici vennero accusati come traditori delle usanze della loro patria.
Victoire si fece protettrice della Chiesa cattolica, difendendola continuamente presso la regina. Fece in modo che le chiese della capitale restassero aperte, organizzando la preghiera domenicale. Ottenne che anche le scuole cattoliche non chiudessero. In questo fu aiutata dai membri dell’Unione Cattolica, l’associazione che riuniva i laici più impegnati.
Al termine della prima riunione organizzativa, il segretario definì Victoire, nel suo verbale, «il fondamento, la colonna, il padre e la madre di tutti i cristiani, come lo fu la Santa Vergine, dopo la partenza di Gesù per il cielo».
Victoire intervenne spesso per impedire i contrasti tra i membri dell’Unione, specie per non farli cadere nei tranelli che la regina voleva tendere loro. «I missionari sono francesi e sono dovuti partire perché francesi, non perché missionari cattolici. Ma noi siamo malgasci e non smettiamo di essere malgasci per il fatto che siamo cattolici»», spiegava.
Nel 1886 i missionari poterono ritornare. Non trovarono rovine, ma una comunità cattolica fiorente e vigorosa. Quando il primo vescovo del Madagascar, nella Pasqua di quell’anno, volle incontrare Victoire, lei decise di mettersi da parte, perché non aveva voluto prendersi il merito. Alla fine accettò di presentarsi, poi tornò alle sue opere di carità.
Nella notte del 9 marzo 1888, Victoire fu avvisata che Radriaka era caduto ubriaco dal balcone di una sua amante e si era ferito gravemente. Il primo ministro, indignato, minacciò di non concedergli la sepoltura nella tomba di famiglia, ma questo fu impedito grazie alla moglie.
L’uomo fu curato ancora più amorevolmente da lei e accettò di ricevere il Battesimo. Fu Victoire stessa ad impartirglielo, il 14 marzo, perché lui era sul punto di morire e il sacerdote tardava ad arrivare.
A partire dal 1890 ebbe varie malattie, sopportate con grande pazienza. Lo zio le chiese di scegliere tra i parenti un erede, ma lei, forse perché preoccupata per i suoi schiavi, domandò di poterci pensare ancora.
Nella notte del 21 agosto 1894, Victoire ebbe la crisi finale.
Alzò le mani verso il cielo, tenendo intrecciato il suo Rosario, e gridò: «Madre, madre, madre!». Aveva circa quarantasei anni.
Tre giorni dopo si celebrarono i suoi funerali, nella cattedrale di Antananarivo. Per volere del primo ministro, fu sepolta nel mausoleo dei suoi antenati a Isotry.
San Giovanni Paolo II la beatificò il 29 aprile 1989 ad Antananarivo, nel corso del suo viaggio apostolico in Madagascar. (Fonte santiebeati.it – Emilia Flocchini)
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