Il nome Lazzaro ha all’origine l’ebraico Eleazaro e significa “colui che è assistito da Dio”. Il Lazzaro di cui parliamo è il personaggio della parabola, raccontata da Gesù, del ricco epulone e del povero mendicante lebbroso. Questa parabola riportata solo nel Vangelo di san Luca (16, 19-31) è l’unica in cui un personaggio di fantasia abbia un nome: Lazzaro; ma come è avvenuto per vari personaggi minori, che compaiono nei racconti evangelici e che in seguito nella tradizione cristiana, hanno ricevuto un culto, un ricordo perenne, un titolo di santo, anche per Lazzaro pur essendo un personaggio protagonista di un racconto di fantasia, da non confondere con Lazzaro di Betania che fu resuscitato da Gesù, nel corso del tempo si è instaurata una devozione, come se fosse stato un personaggio realmente esistito.
È chiaro che la parabola di Gesù, contiene in sé un insegnamento universale e molto sentito, specie in quei tempi; essa è raccontata per mostrare ai farisei ed a tutti gli avari, dove portano le ricchezze usate per soddisfare il proprio egoismo.
Perciò il Signore, che vede l’animo, lo fa trasportare appena morto, in trionfo dagli angeli, nella beatitudine eterna. Ora questo rivela come egli sopportava il suo stato, con rassegnazione unita alla speranza del Paradiso, fiducioso in Dio, Padre di tutti, che premia i buoni, anche se poveri e mendicanti.
S. Giovanni Crisostomo, parlando di Lazzaro esclama: “Chiunque voi siate, o ricchi o poveri, l’avete visto disprezzato nel vestibolo dell’epulone, miratelo ora radiante nel seno di Abramo; l’avete visto quando giaceva attorniato da cani che gli leccavano le piaghe, contemplatelo ora circondato da angeli; l’avete visto nella fame, contemplatelo nell’abbondanza di ogni bene, l’avete visto nella lotta, osservatelo vincitore incoronato, avete visto i suoi travagli, miratene il premio”.
La parabola ci dà lo spunto per tante altre riflessioni, che non possiamo qui, per motivo di spazio, approfondire: la sepoltura splendida del ricco, similitudine del seno di Abramo con il Paradiso cristiano, l’esistenza del tormento infernale, l’impossibilità di passare dai morti ai vivi, dalle anime elette alle anime in tormento, private perciò della visione e della beatitudine di Dio, l’incitamento a seguire gli insegnamenti, provenienti da persone incaricate da Dio, di trasmettere le Sue volontà e leggi, senza aspettare prove straordinarie per credere.
La figura di Lazzaro e la scena del banchetto ha sempre ispirato la fantasia degli artisti, che in tutti i secoli lo hanno raffigurato, contribuendo così ad innalzarlo ad un simbolo della povertà e della sofferenza, premiata da Dio, quando accettate con rassegnazione e speranza nella Sua Divina Misericordia.
Per questo Lazzaro venne considerato come un santo, anche se la sua figura era in realtà fantasiosa ma simbolica; il moderno ‘Martirologio Romano’ non ne fa più menzione.
Egli è stato considerato il patrono dei lebbrosi, quando la lebbra era una malattia molto più diffusa di oggi in tante parti del mondo; dal suo nome scaturì la denominazione del ‘lazzaretto’, sorta di ricovero e cura per i lebbrosi o malati infettivi da tenere in isolamento, infatti il primo di questi ‘lazzaretti’ sorse a Venezia nell’isola di S. Lazzaro.
Il nome è oggi poco usato e comunque chi lo porta, si riferisce certamente ad altro s. Lazzaro; in Spagna poi ha finito per assumere un significato peggiorativo come: ‘pezzente’, da cui derivò a Napoli il termine ‘lazzarone’ introdotto al tempo dell’occupazione spagnola e di Masaniello, sempre indicante uno straccione, popolano, mascalzone, pezzente.
Autore: Antonio Borrelli
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