Padre Alberico Crescitelli, missionario del Pime, fu martirizzato in Cina nel 1900, durante la rivolta dei Boxers. Nato ad Altavilla Irpina (Avellino) nel 1863, a 17 anni era entrato nell’allora Pontificio seminario dei Santi Pietro e Paolo per le missioni estere.
Nel 1887, poco prima di partire per la sua destinazione, lo Shensi meridionale, restò bloccato nel paese natale a causa di un’epidemia di colera, nella quale si prodigò. Raggiunta con un viaggio avventuroso la Cina, si dedicò ai cristiani del fiume Han e si spinse in altre località. Suscitò molte conversioni. Ma nel 1900 si abbatté la tempesta contro gli occidentali e, tra loro, i missionari. Dato che gestiva un asilo per ragazzi poveri, bisognosi di cibo, padre Alberico venne ingiustamente accusato di essere un artefice delle privazioni alimentari che la popolazione subiva. Il malcontento si sfogò contro di lui. Circondato dentro la dogana di Yentsepien, venne fatto uscire, torturato, ucciso, fatto a pezzi e gettato nel fiume. È santo dal 2000. (Avvenire)
Etimologia: Alberico = potente elfo, dallo scandinavo
Martirologio Romano: Presso Yanzibian vicino a Yangpingguan in Cina, sant’Alberico Crescitelli, sacerdote del Pontificio Istituto per le Missioni estere e martire, che, durante la persecuzione dei Boxer, crudelmente percosso quasi a morte, il giorno seguente fu trascinato lungo un selciato con i piedi legati fino al fiume, dove, fatto a pezzi e infine decapitato, ricevette la corona del martirio.
Sant’Alberico Crescitelli fa parte del numeroso gruppo di 120 beati martiri in Cina e Vietnam (Tonchino), canonizzati tutti insieme il 1° ottobre 2000 da papa Giovanni Paolo II in Piazza S. Pietro.
Essi arrivarono al martirio per strade diverse, sia per luoghi che come date, inoltre facevano parte di svariate Congregazioni religiose missionarie e di nazionalità diverse unitamente ad un cospicuo numero di catechisti, collaboratori, e catecumeni cinesi; perlopiù vittime dell’odio fanatico anticristiano dei ‘Boxers’ o dei loro fiancheggiatori.
Alberico Crescitelli nacque il 30 giugno 1863 ad Altavilla Irpina (Avellino) da famiglia profondamente cristiana; il paese era già noto per il culto del glorioso martire s. Pellegrino, le cui reliquie ritrovate nel cimitero di S. Ciriaca a Roma, furono poi ricomposte e messe in un’urna di legno dorato e trasportate ad Altavilla nella chiesa maggiore, il 15 luglio 1780; per la presenza di queste reliquie e per il succedersi di miracoli attribuiti al santo martire, si instaurò un grande culto rendendo celebre il paese in tutta la Campania.
Da ragazzo il padre lo incaricò di controllare dei fondi agricoli di loro proprietà, questa attività giornaliera occupava molto del suo tempo, essendo i fondi distanti fra loro e se da un lato contribuì a dargli una competenza in cose agricole e una disposizione alle scienze naturali, dall’altra gli impedì di dare un approfondimento ai suoi studi elementari.
Il padre resosi conto di ciò, lo mandò a scuola dal cappellano don Fischetti, che con il poco tempo disponibile, si dedicò ad istruire Alberico, il quale da questo contatto giornaliero e con la sua guida spirituale, maturò la vocazione sacerdotale e così l’8 novembre 1880 a 17 anni e dopo matura riflessione, entrò nel Pontificio Seminario dei SS. Pietro e Paolo per le Missioni Estere (attuale Pontificio Istituto Missioni Estere) in Roma.
In tutta la Cina, a seguito della politica antioccidentale di cui i missionari e la Chiesa erano l’espressione più lampante e radicata nel territorio, iniziarono persecuzioni, eccidi, ferimenti, omicidi di missionari e fedeli cristiani cinesi, con distruzione di chiese ed edifici collegati; un editto imperiale del 28 settembre 1899, sconfessava altri due precedentemente emessi a favore dell’opera missionaria, diventando una indiretta proscrizione della religione cattolica.
Inoltre comparve sulla scena la società segreta dei ‘Boxers’, presentata all’imperatrice come fedele alla dinastia e decisa a salvarla ad ogni costo dall’oppressione straniera, essi erano comandati da Yuhsien, viceré dello Shantung, uomo rozzo, crudele e nemico degli stranieri e quando uscì il decreto imperiale del luglio 1900 di espulsione o uccisione dei missionari stranieri, scatenarono una carneficina, cominciando con 29 fra suore, frati, sacerdoti missionari, vescovi, catechisti cinesi, uccisi in una orribile carneficina a colpi dì arma da taglio nel cortile del tribunale dove erano stati radunati con l’inganno.
Molti eccidi vennero perpetrati nei mesi seguenti, anche se la corte imperiale era fuggita a Sianfu, dopo l’intervento militare delle Potenze alleate, finché non venne firmato il protocollo di pace del 7 settembre 1901. E in questo periodo maturò il sacrificio estremo di padre Alberico Crescitelli, sempre attivo nell’apostolato nel distretto di Ningkiang; sollecitato a mettersi in salvo nella vicina provincia dello Sechwan, sia dai fedeli che dal Vicario; altri missionari erano già stati rimpatriati, quindi il missionario si avviò verso Yan-pin-kwan, un mercato sul fiume Kia-lin-kiang e attraversato un affluente che divideva Tsin-kan-ping dove abitava dal mercato, e salendo una stradina che costeggiava il fiume entrò nel mercato e nell’attraversarlo passò davanti all’edificio della dogana, dove si riscuotevano le tasse per l’attraversamento dei fiumi sui confini.
Qui il doganiere di nome Jao che l’aveva riconosciuto, con fare gentile e premuroso lo convinse a rimanere al sicuro nel piccolo edificio, perché la strada non era sicura e certamente sarebbe stato assalito; padre Alberico prima accondiscese, poi ebbe la sensazione di un tradimento e voleva allontanarsi, ma il doganiere ancora con insistenza lo fece rimanere.
Verso le undici di notte mentre pregava in un angolo, una plebaglia accerchiò l’isolato edificio, il doganiere facendo finta di essere rammaricato, gli indicò come unica possibile via di fuga la porta sul retro, dalla quale lo fa uscire, richiudendola alle sue spalle; bisogna dire che la dogana essendo ufficio pubblico non poteva essere violato da nessuno secondo le severe leggi; ma la porta di cui si parla, finiva verso la parte del monte così ripida che nessuno scalatore avrebbe potuto salirci, figurarci il padre missionario per niente allenato.
Padre Alberico fu preso subito da un gruppo di malfattori e mentre pregava in ginocchio e parlava loro chiedendo perché facevano questo a lui, che aveva fatto solo del bene, fu colpito da vari fendenti, uno sulla fronte la cui pelle staccatasi ricadde sugli occhi, un altro gli staccò quasi un braccio e un altro lo ferì al naso e alle labbra; poi tutti insieme la plebaglia prese a percuoterlo con bastoni e coltelli, lanciando grandi urla.
Non contenti di averlo ridotto così sanguinante e quasi incosciente, lo presero come una bestia, attaccato con le mani ed i piedi ad una grossa canna e a spalle lo portarono su un banco del mercato, dove poi proseguì il tormento del padre, a cui vennero bruciati barba e baffi; i pagani partecipavano a questi oltraggi considerandolo erroneamente responsabile della riduzione dei sussidi alimentari, come prima accennato.
Nonostante l’intervento di un mandarino militare, venuto dalla città ma con pochi soldati, in un momentaneo allontanarsi di costui per predisporre una barella per trasportarlo via; i capi della plebaglia pagana, forse anche mezzo ubriachi, gli legarono le caviglie con una corda e lo trascinarono ormai morente verso un luogo vicino al fiume, dove dopo alcuni tentativi di decapitarlo ma non riusciti, usarono una lunga lama (un attrezzo agricolo) come fosse una sega e così in due alla fine ci riuscirono.
Moriva così in questo modo, che definire barbaro è niente, il 21 luglio 1900 a Yentsepien, il grande missionario del P.I.M.E. padre Alberico Crescitelli, dopo dodici anni spesi per il bene materiale e spirituale dei cinesi; il suo corpo fatto a pezzi fu gettato nel vicino fiume.
Questo autentico martire della Chiesa e del grande movimento missionario che si ebbe in Cina in quei tempi, venne beatificato da papa Pio XII il 18 febbraio 1951 e come detto all’inizio di questo testo, è stato proclamato santo il 1° ottobre 2000 da papa Giovanni Paolo II.
Autore: Antonio Borrelli
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