Clelia Merloni è stata una religiosa italiana, fondatrice dell’Istituto delle Suore Apostole del Sacro Cuore di Gesù.
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Clelia Merloni nasce a Forlì il 10 marzo 1861, ultima e unica sopravvissuta delle tre figlie di Gioacchino Merloni e Maria Teresa Brandinelli. Fu battezzata nella cattedrale di Forlì lo stesso giorno della nascita, coi nomi di Clelia Cleopatra Maria.
Il 2 luglio 1864, Clelia perse la madre. Affidata alla nonna materna perché il padre, già operaio ferroviere, si era trasferito a Sanremo in cerca di un’occupazione migliore. Una volta migliorata la propria posizione, Gioacchino si fece raggiungere dalla figlia.
Si risposò con Maria Giovanna Boeri, che volle molto bene alla piccola Clelia e la bambina ricambiava il suo affetto e ascoltava con attenzione i suoi insegnamenti, improntati ai principi religiosi.
Tuttavia, il padre iniziò una relazione con una delle domestiche di casa, Bianca, che cominciò a comportarsi come se fosse la padrona. Clelia soffrì parecchio per la situazione che si era venuta a creare, tanto più che Maria Giovanna decise di lasciare il tetto coniugale.
Il 23 ottobre 1872 riceve la Cresima nella basilica di San Siro a Sanremo, per le mani di monsignor Lorenzo Biale, vescovo di Ventimiglia. Non esistono documenti relativi, invece, al giorno della Prima Comunione.
Gioacchino, intanto, era diventato tanto ricco da poter fornire a Clelia la miglior educazione possibile. Per alcuni mesi, la ragazza fu allieva interna dell’istituto delle Suore della Purificazione a Savona, precisamente dall’11 ottobre 1876 al 18 gennaio 1877, quando uscì per motivi di salute. Tornata in famiglia, arricchì la propria formazione con lezioni private di francese e inglese e imparò anche a suonare il pianoforte.
Tuttavia, provava un certo disagio di fronte a quelle lezioni, giudicate necessarie perché diventasse una buona padrona di casa e una donna da sposare. Piuttosto che nei salotti e nei ricevimenti cui era obbligata a partecipare, si sentiva meglio quando riusciva ad andare a pregare in qualche chiesa.
Inoltre, si era accorta che il padre era diventato particolarmente attaccato al denaro e in più, pur non condividendone alcune posizioni anticlericali, si era avvicinato alla massoneria. Anche per questa ragione, ossia per riparare le colpe paterne, Clelia comprese di dover consacrare tutta sé stessa a Dio.
Manifestò quindi al padre il suo desiderio: in tutta risposta, si vide presentare un ricco giovane amico di famiglia. Quando l’uomo si rese conto che la figlia s’intristiva e restava chiusa alle sue proposte, le concesse di partire, assegnandole anche un contributo fisso mensile in denaro.
Il 19 novembre 1883, Clelia è accolta fra le Figlie di Nostra Signora della Neve, una congregazione fondata appena quarant’anni prima dal canonico Giovanni Battista Becchi. Il 7 settembre 1884, con la vestizione religiosa, ricevette il nome di suor Albina.
Pronta a vivere l’indirizzo specifico dell’istituto, che puntava all’educazione dell’infanzia e viveva con particolare intensità la devozione al Sacro Cuore di Gesù, suor Albina dovette però fare i conti con la sua salute cagionevole.
Fu trasferita nella casa che le suore avevano a Diano Marina, ma il 23 febbraio 1887 la zona fu colpita da un terremoto. Così, dato che l’edificio era inagibile, dovette tornare in famiglia.
Clelia, che aveva quindi ripreso il suo nome di Battesimo, mise a frutto quanto aveva imparato nei suoi primi passi nella vita consacrata. Si trasferì a Nervi, all’epoca comune autonomo nei pressi di Genova: insieme a Giuseppina Coen e a una suora, Vittoria Bruzzo. Aprì un piccolo orfanotrofio nell’agosto 1888.
Tuttavia, l’orfanotrofio fu costretto a chiudere dopo meno di un anno. Una delle insegnanti, esercitava punizioni corporali troppo severe sulle bambine, in particolare su Natalina Berretta.
Clelia, che era la dirigente della struttura, dovette affrontare tre processi penali: lei fu riconosciuta innocente, ma dovette ugualmente pagare di tasca propria la multa ordinata dal tribunale.
A quel punto, Clelia cominciò a domandarsi se davvero Dio volesse la sua consacrazione. Entrata a contatto con le suore Figlie della Divina Provvidenza, si sentì rispondere che, per farsi aiutare meglio, doveva rivolgersi direttamente al fondatore, don Luigi Guanella, che risiedeva a Como.
Il 14 agosto 1892 fu ricevuta dal futuro Santo (è stato canonizzato nel 2011), il quale notò subito che in lei c’era qualcosa di particolare.
Così, Clelia cominciò a vivere le opere tipiche della congregazione: insegnava a leggere e a far di conto alle piccole orfane, le istruiva nel canto per la liturgia e dormiva in una cameretta vicina al loro dormitorio. In più, spesso andava alla questua, con la quale coinvolgeva molte persone nell’opera di don Guanella.
Mentre era nel pieno della sua nuova vita, Clelia ebbe un altro crollo fisico: la tubercolosi, di cui aveva già sofferto, si ripresentò nel 1893. Il medico della congregazione la giudicò in fin di vita: fu quindi ordinato che le venissero amministrati i Sacramenti dei moribondi.
Il confessore della comunità, don Pietro Uboldi, venne al capezzale di Clelia, ma si sentì rivolgere una confidenza: lei sentiva di dover fondare un’opera dedicata al Cuore di Gesù. Certo che non stesse delirando, il confessore invitò le suore e le orfane a compiere una novena alla Madonna. Se fosse stato volere di Dio che l’opera sorgesse, la malata si sarebbe ripresa.
Terminata la novena, Clelia risultò perfettamente guarita. Aiutata dai superiori, comprese di dover dare corpo a quel progetto. Lo stesso don Guanella acconsentì alla sua partenza, in modo che potesse dedicarsi pienamente alla sua nuova missione, e le lasciò una lettera come garanzia.
Seguendo un’ispirazione avuta in sogno, Clelia partì, insieme a Elisa Pederzini, verso Viareggio. Non sapeva neppure dove fosse: dovette cercarla sulla carta geografica.
Il 30 maggio 1894, nella Chiesa di San Francesco in Viareggio, Clelia le sue due compagne furono presentate come le prime Apostole del Sacro Cuore di Gesù, inaugurando così il nascente Istituto.
Il fine delle apostole del Sacro Cuore è quello di propagare la devozione al Sacro Cuore di Gesù attraverso la catechesi, l’istruzione dei giovani e dei fanciulli e l’assistenza agli anziani e agli ammalati.
La fioritura non si fece aspettare: ben presto si aprì una scuola, un asilo, un orfanotrofio e subito dopo una casa dove accolse anche persone anziane, tutto grazie al generoso sostegno finanziario di suo padre.
Insieme al numero delle suore che cresceva si moltiplicarono le opere anche fuori Viareggio. In aggiunta alle molte benedizioni di Dio sulla nuova Congregazione, Clelia fu l’unica beneficiaria d’un cospicuo patrimonio, alla morte del padre, che avvenne a San Remo il 27 giugno 1895. La sua conversione sul letto di morte fu il frutto delle preghiere e sacrifici di molti anni della figlia.
Purtroppo, la risultante espansione delle opere si concluse bruscamente dopo appena tre anni, perché il sacerdote amministratore dei beni del padre, dopo aver sperperato tutta la proprietà con manovre finanziarie azzardate, scappò in Francia con il resto dei soldi.
Il fallimento costrinse le Apostole ad abbandonare le loro numerose opere ed anche la città di Viareggio.
Per Divina Provvidenza, Madre Clelia incontrò Mons. Giovanni Battista Scalabrini, Vescovo di Piacenza, che accettò il piccolo gruppo nella sua Diocesi, e aiutò le suore ad uscire dal dissesto finanziario.
Nel 1900, il Vescovo mandò le Apostole nelle Missioni tra gli immigrati Italiani nell’America del Sud (Brasile) e poi nell’America del Nord (Boston, U.S.A.).
Madre Clelia con 18 Suore fece la vestizione religiosa nel Noviziato di Castelnuovo Fogliani, frazione di Alseno, in provincia di Piacenza l’11 giugno del 1900. Nove di loro, inclusa la fondatrice, emisero anche la professione. Nonostante la gioia della loro consacrazione e del successo ministeriale avuto con la collaborazione di Mons. Scalabrini, dei conflitti interni stavano crescendo tra le Suore.
Sono veramente tante le ingiustizie e le sofferenze vissute dalla beata che cerchiamo, per questioni di spazio, riportare in sintesi.
Si formarono due distinti gruppi nella stessa congregazione: quelle che volevano rimanere nel carisma della fondatrice e quelle che propendevano per la sottomissione ai religiosi della congregazione Scalabriniana. In più Madre Clelia, già dopo il fallimento e gli ulteriori processi giudiziari, era divenuta vittima di calunnie. Non volendo accusare pubblicamente il sacerdote che aveva in precedenza mal gestito e rubato i soldi della Congregazione, aveva assunto su di sé la colpa di tutta la situazione, aprendo la strada ad un indicibile malinteso.
Il 28 febbraio del 1904 venne promulgato il decreto di destituzione di Madre Clelia con il passaggio del governo a Madre Marcellina Viganò.
Dopo un anno Madre Clelia venne reintegrata, ma seguirono tre visite apostoliche al termine delle quali, con un decreto della Sacra Congregazione dei Religiosi del 13 settembre 1911, Madre Clelia venne nuovamente rimossa dall’ufficio di Superiora Generale.
Le numerose richieste di Madre Clelia di rivedere il suo caso rimasero senza risposta, mentre la discordia in seno alla Congregazione crebbe e le suore a lei fedeli vennero espulse dall’Istituto.
Sola, considerando la sua persona un ostacolo alla pace della comunità, decise di lasciare l’Istituto da lei stessa fondato, piuttosto che vederlo dilaniato dalla discordia.
Nel luglio 1916 per lei cominciò il periodo del difficile esilio: Torino, Roccagiovine, Marcellina furono i passi del lungo cammino per il Calvario.
Il suo nome divenne sconosciuto per le successive generazioni di Apostole. Fu proibito tenere corrispondenza con lei o inviarle qualsiasi aiuto.
Il 16 agosto 1920 Madre Clelia scrisse al Papa, implorando il permesso di rientrare nella Congregazione che lei aveva fondato. Soltanto il 7 marzo 1928 fu concesso a Madre Clelia di rientrare nell’istituto. Trascorse l’ultimo periodo di vita a Roma.
Questi anni furono segnati da intensa preghiera e tenera carità per tutti coloro che ella conobbe, da un’offerta piena e totale di sé al Cuore Eucaristico di Gesù per la salvezza delle anime.
Il segno più certo della sua squisita carità era lo spirito di perdono: purificata dal fuoco dell’amore, brillava come una perla di straordinaria bellezza, specialmente quando fu oggetto di gravi ingiustizie e calunnie infondate.
Nel novembre 1930 la salute di madre Clelia si aggravò: le era stato diagnosticato un tumore all’intestino. Nonostante i dolori, era serena e li offriva per i peccatori e per le sue suore. Ricevette dal cappellano della casa, monsignor Raffaele Fulin, la Comunione e l’assoluzione.
Verso l’una di notte del 21 novembre, perse i sensi: si riebbe dopo aver ricevuto l’Unzione degli Infermi. Rispose alle preghiere suggerite dal cappellano e continuò a chiedere perdono delle proprie colpe. Qualche istante dopo, morì.
Venne sepolta nel cimitero Campo Verano, poi bombardato durante la seconda guerra mondiale.
Il 19 luglio 1943 durante la seconda guerra mondiale, gli arei alleati bombardarono la vicina stazione ferroviaria di San Lorenzo, colpendo anche il Cimitero del Verano, ci furono molti danni e tante tombe vennero distrutte. Si dovette aspettare la fine della guerra nel 1945 per cominciare le ricerche e trovare i resti della Fondatrice, in mezzo a tutta quella devastazione. Dopo alcuni giorni di lavoro gli operai trovarono la bara di Madre Clelia, ancora sigillata; venne portata alla presenza della Superiora generale per essere aperta.
Il corpo della Madre Fondatrice era intatto.
Il 20 maggio 1945, solennità di Pentecoste, il corpo di Madre Clelia fu trasferito con una solenne processione funebre dal cimitero del Verano nella cappella della casa Generalizia dedicata a Santa Margherita Maria Alacoque a Roma.
I resti mortali della Fondatrice furono collocati nella parete destra della Cappella. Sulla lapide marmorea fu posta la seguente iscrizione:
“MADRE CLELIA MERLONI FONDATRICE DELL’ISTITUTO DELLE APOSTOLE DEL SACRO CUORE DI GESÙ. IL DIVIN CUORE DI GESÙ FU LA LUCE DELLA SUA ESISTENZA. I POVERI, GLI OPPRESSI, GLI INFELICI IL PALPITO SUO PIÙ TENERO. VISSE DI PUREZZA, SEMPLICITÀ, CARITÀ.
Sulla lastra tombale fu definita, per la prima volta dopo anni, come Fondatrice. Fu il primo passo per una riscoperta del suo ruolo effettivo, promossa dalla quarta superiora generale, suor Hildegarde Campodonico. Seguirono le prime ricerche storiche, compendiate in alcune biografie, e la pubblicazione delle lettere.
Il 2 febbraio 1968, a seguito della richiesta formulata dall’assemblea generale straordinaria, le Zelatrici del Sacro Cuore tornarono al nome originario, come voluto da madre Clelia stessa.
La sua fama di santità riemerse a partire dalla sua congregazione, dove, dal 1969, cominciò a essere recitata una preghiera per chiedere la sua intercessione.
Il processo informativo diocesano per l’accertamento delle sue virtù eroiche si è svolto dal 18 giugno 1990 al 1 aprile 1998, presso il Vicariato di Roma. La Congregazione delle Cause dei Santi ha convalidato gli atti del processo il 21 maggio 1999.
La “Positio super virtutibus”, trasmessa nel 2014, è stata esaminata il 20 ottobre 2015 dai Consultori Teologi della Congregazione delle Cause dei Santi. Il 13 dicembre 2016, anche i cardinali e i vescovi membri della stessa Congregazione si espressero a favore dell’esercizio in grado eroico delle virtù.
Infine, il 21 dicembre 2016, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui madre Clelia Merloni veniva dichiarata Venerabile.
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Come possibile miracolo per ottenere la sua beatificazione è stato preso in esame quanto avvenuto a Pedro Ângelo de Oliveira Filho, medico brasiliano. Il 14 marzo 1951 è colpito da una paralisi ai quattro arti. Dopo il trasferimento all’ospedale Santa Casa della Misericordia di Ribeirao Preto, gli è diagnosticata più precisamente come paralisi ascendente progressiva. Dovuta alla sindrome di Landry o di Guillain-Barré.
Nel giro di poche settimane, la paralisi raggiunse la gola, in modo tale che il malato non poteva neppure deglutire. Il 20 marzo, i medici riferirono ai familiari del malato di prepararsi al peggio. La sera stessa, Angelina Oliva, moglie del malato, incontrò un’Apostola del Sacro Cuore, suor Adelina Alves Barbosa, infermiera presso l’ospedale. La suora prese un’immaginetta con la novena a madre Clelia, a cui era attaccata una reliquia “ex indumentis”, tratta dal suo velo. Dal frammento di stoffa prese un filo sottile, che mise in un cucchiaino con un po’ d’acqua. Lo diede al malato, mentre la moglie e i figli pregavano per lui.
Dopo qualche minuto, visto che l’acqua era ingerita, la suora gli passò due dita d’acqua in un bicchiere, che bevve completamente. Subito dopo gli diede del latte e, infine, una crema di latte e mais. Nel giro di venti giorni, Pedro Ângelo è dimesso in completa salute. Morì il 25 settembre 1976 per arresto cardiaco, quindi per cause estranee alla precedente malattia.
La beatificazione di Clelia Merloni è stata celebrata il 3 novembre 2018 a Roma, nella basilica di San Giovanni in Laterano. A presiedere il rito, come delegato del Santo Padre, il cardinal Giovanni Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.
Le Apostole del Sacro Cuore sono circa un migliaio con comunità in quindici paesi del mondo: Svizzera, Brasile, Argentina, Cile, Uruguay, Stati Uniti, Mozambico, Benin, Albania, Taiwan e Filippine.
Portano avanti gli insegnamenti di madre Clelia prevalentemente in istituti scolastici, ma anche in case-famiglia, ospedali e case di cura. All’istituto è aggregata la Grande Famiglia del Sacro Cuore, formata da famiglie e da singoli fedeli laici.
(Fonte www.santiebeati.it – Emilia Flocchini)
Ti rendo lode, o Padre misericordioso, perché hai rivelato ai piccoli i tesori infiniti del Cuore del Tuo Figlio.
Ti prego che, per intercessione della Beata Clelia Merloni, fiduciosa nel Cuore di Gesù, operosa nella carità, paziente nelle avversità ed eroica nel perdono, io possa ottenere la grazia che ora Ti chiedo.
Sacro Cuore di Gesù, confido in Te.
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