Testimonium

Il Santo di oggi 21 Settembre 2019 San Matteo, Apostolo ed Evangelista

Oggi, sabato 21 Settembre 2019 la Chiesa ricorda San Matteo, Apostolo ed Evangelista

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Patronato: Banchieri, Contabili, Tasse

Etimologia: Matteo = uomo di Dio, dall’ebraico

Emblema: Angelo, Spada, Portamonete, Libro dei conti

Martirologio Romano: Festa di san Matteo, Apostolo ed Evangelista, che, detto Levi, chiamato da Gesù a seguirlo, lasciò l’ufficio di pubblicano o esattore delle imposte . Eletto tra gli Apostoli, scrisse un Vangelo, in cui si proclama che Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo, ha portato a compimento la promessa dell’Antico Testamento.


La vita

L’apostolo ed evangelista Matteo incarna in modo paradigmatico la figura del conoscitore della Scrittura che ha imparato ciò che riguarda il Regno di Dio, ed «è come un padrone di casa che trae fuori dal suo deposito cose nuove e cose vecchie» (Mt 13,52). Egli era uomo di una certa cultura, esattore delle imposte (pubblicano) a Cafarnao. Aveva una formazione ellenistica, pare che abbia grecizzato il suo nome, Levi, di origine ebraica (Mc 2,14; Lc 5,27).

Il compito svolto da questo discepolo di Gesù nella trasmissione del vangelo è di capitale importanza. Dopo la risurrezione si erano raccolti alcuni episodi della vita del Signore, e organizzati dei «discorsi» (raccolta di parole del Signore) attorno ad alcune parole-chiave. Questi elementi di «lieto annuncio» del Cristo, potevano servire ai primi cristiani, a «compimento» delle letture dell’Antico Testamento che ascoltavano ancora nelle sinagoghe. Matteo, anche in base a queste prime redazioni, scrisse in aramaico un’ampia sintesi di «parole» e di «fatti» di Gesù mettendo in rilievo la sua «messianità» e la posizione dei cristiani. Cioè della Chiesa di fronte alla legge e al culto dell’Antica Alleanza.

Matteo o Levi?

Originario di Cafarnao, pubblicano e esattore delle tasse, poi convertito da Gesù. Il suo nome simbolicamente vuol dire “Dono di Dio”. Alcuni suppongono che abbia cambiato il nome come una forma tipica dell’epoca, per indicare il cambiamento di vita, analogamente a Simone diventato Pietro, e Saulo divenuto Paolo. Gesù passò vicino al pubblicano Levi e gli disse semplicemente Seguimi (Marco 2,14). Ed egli, alzandosi, lo seguì. Immediatamente tenne un banchetto a cui invitò, oltre a Gesù, un gran numero di pubblicani e altri pubblici peccatori. Il riferimento a un esattore di imposte a Cafarnao, di nome Levi, compare anche in Luca 5,27. Lo stesso episodio è riportato in Matteo 9,9, dove però il pubblicano viene chiamato Matteo. Levi e Matteo vengono generalmente ritenuti la stessa persona.

Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi»

Il capitolo 9 nel versetto 9 del suo vangelo, ci presente la chiamata di Matteo e ne disegna un profilo suggestivo ed emblematico per ogni chiamata alla conversione. Gesù gli disse «Seguimi», cioè imitami. Seguimi, disse, non tanto col movimento dei piedi, quanto con la pratica della vita.

«Ed egli si alzò, prosegue, e lo seguì» (Mt 9, 9). Come scrive San Beda il Venerabile, non c’è da meravigliarsi che un pubblicano alla prima parola del Signore, che lo invitava, abbia abbandonato i guadagni della terra e abbia accettato di seguire colui che vedeva non avere ricchezza alcuna. Infatti lo stesso Signore che lo chiamò esternamente con la parola, lo istruì all’interno con un’invisibile spinta a seguirlo.

Infuse nella sua mente la luce della grazia spirituale con cui potesse comprendere come colui che sulla terra lo strappava alle cose temporali era capace di dargli in cielo tesori incorruttibili. Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli» (9, 10). Ecco dunque che la conversione di un solo pubblicano servì di stimolo a quella di molti pubblicani e peccatori. La remissione dei suoi peccati fu modello a quella di tutti costoro.

San Marco invece nel suo vangelo ci presenta Matteo così: Gesù «Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi”. Egli alzatosi, lo seguì.» (Mc 2,14).

Matteo tenne un banchetto: «Mentre Gesù stava a mensa in casa di lui, molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi della setta dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: “Come mai egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e dei peccatori?” Avendo udito questo, Gesù disse loro: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori”.» (Mc 2,15-17)

La sua figura nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli

Gesù lo scelse come membro del gruppo dei dodici apostoli. Come tale appare nelle tre liste che ci hanno tramandato i tre vangeli sinottici: Matteo 10,3; Marco 3,18; Luca 6,15. Tutti e tre i vangeli sinottici ci descrivono la sua chiamata mentre ero nell’esercizio del suo discusso lavoro di esattore delle tasse per conto dei romani.

Il suo nome appare anche negli Atti dove si menzionano gli apostoli che costituiscono la timorosa comunità sopravvissuta alla morte di Gesù. «Entrati in città salirono al piano superiore dove abitavano. C’erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo di Alfeo e Simone lo Zelòta e Giuda di Giacomo.» (At 1,13). Ancora dagli Atti, Matteo risulta presente con gli altri Apostoli all’elezione di Mattia, che prende il posto di Giuda Iscariota. Ed è in piedi con gli altri undici, quando Pietro, nel giorno della Pentecoste, parla alla folla, annunciando che Gesù è “Signore e Cristo”.

Matteo il pubblicano

Matteo è identificato con l’appellativo “ pubblicano”, termine carico di conseguenze negative e socialmente rilevanti. Il disprezzo per i pubblicani, ai tempi di Gesù, era molto ben radicato. Erano esattori di tasse, e non si detesta qualcuno soltanto perché lavora in quella che oggi chiameremmo intendenza di finanza. Ma gli ebrei, all’epoca, non pagavano le tasse a un loro Stato sovrano e libero, bensì agli occupanti Romani. In pratica, si trattava di finanziare chi li opprimeva. E guardavano all’esattore come a un detestabile collaborazionista. Matteo fa questo mestiere in Cafarnao di Galilea. Col suo banco lì all’aperto. Gesù lo vede poco dopo aver guarito un paralitico. Lo chiama. Lui si alza di colpo, lascia tutto e lo segue. Da quel momento cessano di esistere i tributi, le finanze, i Romani. Tutto cancellato da quella parola di Gesù: “Seguimi”.

La predicazione e il martirio in Etiopia

Secondo la tradizione Matteo dopo la pentecoste predicò prima in Giudea e poi portò il Vangelo nell’Africa, in Etiopia. Si sa per testimonianza di Clemente Alessandrino, che praticava l’esercizio della contemplazione e conduceva vita austera. Non mangiava altro che erbe, radici e frutta selvatica. Fu trucidato da una squadra di feroci pagani, mentre celebrava il santo sacrificio.

Un’altra ipotesi del martirio

Secondo altre Passiones apocrife, attestate nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, avrebbe portato alla conversione il re Egippo e la terra su cui regnava, l’Etiopia, dopo aver fatto risorgere miracolosamente la figlia Ifigenia. La tradizione racconta anche che, alla morte del sovrano, gli sarebbe succeduto sul trono il re Irtaco, fratello di Egippo, che avrebbe voluto sposare la figlia del re defunto, Ifigenia, che però aveva consacrato la sua verginità al Signore.

Dal momento che la sua proposta di matrimonio era stata rifiutata dalla giovane, Irtaco chiese a Matteo di persuaderla a concedersi a lui. Il santo in risposta lo invitò ad ascoltare una sua predica che avrebbe tenuto il sabato successivo nel tempio al cospetto di tutta la popolazione.

Quel sabato l’apostolo proclamò solennemente che il voto di matrimonio di Ifigenia con il re celeste non sarebbe potuto essere infranto per il matrimonio con un re terreno perché se un servo usurpasse la moglie del suo re sarebbe giustamente arso vivo. Il santo sarebbe stato ucciso sull’altare mentre celebrava la messa, trafitto a colpi di spada da un sicario inviato dal re.

Viene raffigurato anziano e barbuto, ha come emblema un angelo che lo ispira o gli guida la mano mentre scrive il Vangelo. Spesso ha accanto una spada, simbolo del suo martirio.

L’autore del primo Vangelo

San Matteo è considerato l’autore del primo Vangelo canonico, non il più antico ma il primo nell’elenco del Canone. Di un Vangelo secondo Matteo vi era traccia già tra la fine del I secolo e l’inizio del secondo. Se ne ha, infatti, notizia da riferimenti contenuti in vari autori del tempo. Lo citano Clemente Romano nel 95 d.C., nonché Ignazio d’Antiochia nel 115 d.C. Allusioni sono anche contenute nell’Epistola di Barnaba tra il 100 e il 130 d.C. e nella Didaché(100 d.C.). Per quanto non fosse indicato il nome di Matteo come autore, è indubbia la considerazione che il Vangelo avesse nella chiesa primitiva. Solo dalla metà del II secolo si cominciò a indicare tale Vangelo come “secondo Matteo”, attribuendolo all’apostolo di Gesù.

La tradizione antica identificava senz’altro l’autore del Vangelo di Matteo con il pubblicano Matteo chiamato da Gesù a seguirlo. La tradizione, comunque, ritiene il pubblicano Matteo l’autore del relativo vangelo. E tale attribuzione richiama un passo di Papia di Gerapoli dei primi decenni del II secolo, riportato da Eusebio di Cesarea: “Matteo raccolse i logia in lingua ebraica, e ciascuno li interpretò come poteva”. Sembrerebbe, dunque, stante la testimonianza di Papia, che Matteo avesse scritto il suo vangelo in ebraico, raccogliendo detti e narrazioni (la c.d. fonte “Q”) precedenti. In realtà, quando Papia parla di “lingua ebraica” non si riferisce alla lingua ebraica vera e propria perché l’ebraico dei tempi di Gesù, ma anche di quelli di Matteo, non è la lingua del Vecchio Testamento, ormai entrata in disuso, bensì l’aramaico.

Matteo avrebbe, perciò, scritto il suo Vangelo in aramaico (forse composto da 5 libri), tant’è che il testo greco di quello che è considerato il primo Vangelo contiene numerosi elementi aramaici, sia nello stile che nel vocabolario, poi passati al testo greco. Vi era, dunque, un testo aramaico del primo Vangelo, andato perduto per le diverse vicende, anche belliche, dell’epoca. A che data risale, dunque, il testo greco? L’ambiente politico e sociale descritto, la conflittualità tra Gesù e i farisei, sembrerebbero indicare che la stesura in greco sia avvenuta prima della distruzione di Gerusalemme da parte dei romani, cioè prima del 70 d.C.

Nel Vangelo secondo Matteo, inoltre, sono presenti elementi provenienti dal Vangelo secondo Marco, scritto intorno al 62 d.C. Per cui il testo greco si collocherebbe tra il 62 e il 70 d.C. sulla scia di Papia, comunque, anche gli altri autori cristiani riportano la stessa notizia sul Vangelo di Matteo. Così Ireneo di Lione il quale, intorno al 180, riferisce che «Matteo pubblicò presso gli Ebrei, nella loro lingua, uno scritto di Vangelo, mentre Pietro e Paolo predicavano a Roma e fondavano la Chiesa».

Per Origene, quello di Matteo è il primo dei quattro Vangeli. Così, infatti, scrive nel 233: Come ho appreso dalla tradizione riguardo ai quattro Vangeli, che sono anche i soli accettati dalla Chiesa di Dio che è sotto il cielo, per primo è stato scritto quello secondo Matteo, che prima era un pubblicano, poi apostolo di Gesù Cristo. Egli l’ha redatto per i credenti provenienti dal giudaismo, e composto in lingua ebraica.

Ed Eusebio di Cesarea conferma, ancora una volta, la notizia: Matteo infatti, che predicò in un primo tempo agli Ebrei, quando dovette andare anche presso altri mise per iscritto nella lingua dei suoi antenati il suo Vangelo per i fedeli che lasciava, sostituendo così con lo scritto alla sua presenza. Nel IV secolo l’attribuzione a Matteo è ormai un fatto acclarato, come si evince dalle citazioni contenute in diversi autori cristiani.

Le Reliquie conservate a Salerno

Le reliquie di San Matteo sarebbero giunte a Velia, in Lucania, intorno al V secolo, dove rimasero sepolte per circa quattro secoli. Il corpo del Santo è rinvenuto dal monaco Atanasio nei pressi di una fonte termale dell’antica città di Parmenide. Le spoglie furono portate dallo stesso Atanasio presso l’attuale chiesetta di San Matteo a Casal Velino. Il modesto edificio dalla semplice facciata a capanna presenta, alla destra dell’altare, l’arcosolio, dove secondo tradizione furono depositate le sacre reliquie del Santo.

Un’iscrizione latina piuttosto tarda (XVIII sec.), incastonata sul lato corto dell’arcosolio, ricorda l’episodio della traslazione. Successivamente le ossa furono portate presso il Santuario della Madonna del Granato in Capaccio-Paestum. Ritrovate in epoca longobarda, furono portate il 6 maggio 954 a Salerno, dove sono attualmente conservate nella cripta della cattedrale. Il Santo è patrono della città.

Patronati

San Matteo è considerato il patrono di banchieri, bancari, doganieri, della Guardia di finanza, cambiavalute, ragionieri, commercialisti, contabili ed esattori. Il documento papale che attesta il riconosciuto patrocinio, reca la data del 10 aprile 1934 ed è firmato dal cardinale Eugenio Pacelli, futuro papa Pio XII. Il Pontefice che accolse l’istanza avanzata dal Comandante Generale e sostenuta dall’Ordinario Militare del tempo era Pio XI. Il “Breve Pontificio”, nel dichiarare San Matteo Patrono della Guardia di Finanza auspica che tutti gli appartenenti al Corpo possano, sul suo esempio, unire l’esercizio fedele del dovere verso lo Stato con la fedele sequela di Cristo. Fonte santiebeati.it – Autore: Don Luca Roveda

Redazione Papaboys

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