San Vincenzo, diacono di Saragozza e martire, che dopo aver patito nella persecuzione dell’imperatore Diocleziano il carcere, la fame, il cavalletto e le lame incandescenti, a Valencia in Spagna volò invitto in cielo al premio per il suo martirio.
La vita
Oggi San Vincenzo è il martire più popolare della Spagna. Doveva già esserlo 1700 anni fa se ben tre città, Valencia, Saragozza e Huesca, si contendono l’onore di avergli dato i natali. In questa disputa noi non vogliamo entrare, limitandoci ai dati essenziali che ci vengono forniti dagli Atti del suo martirio, che avviene durante la persecuzione di Diocleziano.
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Nel clima di terrore che si instaura e che vede la distruzione degli edifici e degli arredi sacri, la destituzione dei cristiani che ricoprono cariche pubbliche, l’obbligo per tutti di sacrificare agli dei, il vescovo Valerio e il diacono Vincenzo continuano imperterriti nell’annuncio del Vangelo: formano un connubio indissolubile, nel quale il primo con la sua presenza e con l’autorità che gli deriva dal ministero episcopale si fa garante di quello che il secondo annuncia con forza, convinzione e facilità di parola.
L’arresto
Così il governatore di Valencia, Daciano, li fa arrestare entrambi, ma quando se li trova davanti capisce che il vero nemico da combattere è il diacono Vincenzo. Manda così il vescovo in esilio e concentra tutte le sue arti persecutorie su Vincenzo, che oltre ad essere un gran oratore è anche un uomo che non si piega facilmente. Lo dice in faccia al governatore: “Vi stancherete prima voi a tormentarci che noi a soffrire”, e questo manda in bestia il persecutore, che vede così anche messa in crisi la sua autorità e il suo prestigio. Perché Vincenzo è una di quelle persone che si piegano ma non si spezzano.
Il martirio e la morte
Prima lo fa fustigare e torturare; poi lo condanna alla pena del cavalletto, da cui esce con le ossa slogate. Infine lo fa arpionare con uncini di ferro.
Così tumefatto e slogato lo fa gettare in una cella buia, interamente cosparsa di cocci taglienti. La testimonianza di Vincenzo continua ad essere limpida e ferma. “Tu mi fai proprio un servizio da amico, perché ho sempre desiderato suggellare con il sangue la mia fede in Cristo. Vi è un altro in me che soffre, ma che tu non potrai mai piegare. Questo che ti affatichi a distruggere con le torture è un debole vaso di argilla che deve ad ogni modo spezzarsi. Non riuscirai mai a lacerare quello che resta dentro e che domani sarà il tuo giudice”.
Lo sentono addirittura, anche così piagato, cantare dalla cella e Daciano si rende conto che quella è una voce da far zittire in fretta, visto che qualcuno si è già convertito vedendolo così forte nella fede. Muore il 22 gennaio dell’anno 304 ed anche per sbarazzarsi del cadavere Daciano deve sudare: gettato in pasto alle bestie selvatiche, il suo corpo viene alacramente difeso da un corvo; gettato nel fiume, legato in un sacco insieme ad un grosso macigno, il suo corpo galleggia e torna a riva, dove finalmente i cristiani lo raccolgono per dargli onorata sepoltura.
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Sant’Agostino dice di lui
Da una delle omelie che Sant’Agostino ogni anno, il 22 gennaio, dedicava al martire Vincenzo ricaviamo questo pensiero: “il diacono Vincenzo….. aveva coraggio nel parlare, aveva forza nel soffrire. Nessuno presuma di se stesso quando parla. Nessuno confidi nelle sue forze quando sopporta una tentazione, perché, per parlare bene, la sapienza viene da Dio e, per sopportare i mali, da lui viene la fortezza”.
Autore: Gianpiero Pettiti