Guglielmo da Vercelli, o di Montevergine, fu monaco ed abate, fondatore di monasteri, tra cui quello di Montevergine; è venerato come santo dalla Chiesa cattolica. È il patrono dell’Irpinia.
La sua statua in San Pietro a Roma ha un lupo accovacciato ai piedi, in ricordo di un prodigio che gli attribuisce la tradizione. Quando viveva da eremita sui monti, l’asino che era il suo prezioso mezzo di trasporto fu sbranato da un lupo, che poi Guglielmo prodigiosamente trasformò in mansueto animale da soma.
Nasce a Vercelli nel 1085 all’interno di una nobile famiglia. Lo incontriamo quindicenne, già vestito da monaco e in viaggio come pellegrino. Cammina per mesi e per anni: fece un pellegrinaggio a Santiago di Compostela , pratica molto diffusa all’epoca, poi si reca a Roma ed infine si avvia verso la Puglia per imbarcarsi per la Terra Santa.
In Puglia fu malmenato da alcuni ladri e il santo considerò la disavventura un segno della volontà di Dio di farlo restare nel Sud Italia per diffondere il messaggio di Cristo. Per questo motivo decise di non partire più per Gerusalemme. Inoltre, incontrò un futuro santo, Giovanni da Matera, che lo dissuase nel partire e gli disse: “Non è lì che ti vuole il Signore“.
Decide allora di andare a vivere da eremita sulla catena montuosa che domina Avellino stabilendosi in una delle sue vette, in un luogo disabitato chiamato Partenio o Monte Virgiliano (Montevergine).
Successivamente arrivarono altri uomini (e alcuni sacerdoti) attratti dalla vita eremitica, che intorno a lui formano una comunità; costruirono le celle e parteciparono alla costruzione di una chiesa dedicata alla Vergine nel 1124. Poi saliranno anche i pellegrini, i “fedeli”, a cui bisognava predicare e amministrare i sacramenti.
Da qui ebbe origine la Congregazione verginiana dell’Ordine di San Benedetto. Guglielmo adotta la Regola benedettina con marcata accentuazione eremitica, ma quest’affluenza di gente rende necessaria anche un’attività pastorale, una “cura d’anime”.
Nel 1128 egli affida la comunità al futuro beato Alberto e va a stabilirsi in Lucania sul monte Cognato, dove presto nasce un monastero.
Quando è ben stabilito, ecco che Guglielmo riparte fermandosi a Goleto, ancora nell’Avellinese. Qui nasce un doppio monastero, ossia con una comunità maschile e una femminile, ognuna con propria sede e propria chiesa.
Altri monasteri egli fa nascere in Irpinia e in Puglia: “moltissimi”, dice la sua prima biografia del XII secolo. Così si forma quella che sarà chiamata Congregazione Benedettina di Montevergine, e che avrà vita plurisecolare. Nel 1879 si fonderà poi con la Congregazione Cassinese.
Guglielmo muore nel monastero del Goleto il 24 Giugno 1142, e nelle sue comunità s’incomincia subito a venerarlo come santo. Alcuni vescovi autorizzano anche il culto pubblico, che sarà poi esteso a tutta la Chiesa nel 1785.
Il suo corpo verrà traslato nel 1807 dal Goleto a Montevergine, dove si trova tuttora. E lo stesso monastero, per tutta la durata della seconda guerra mondiale, sarà il rifugio segreto e sicuro della Santa Sindone di Torino.
Secondo la tradizione cattolica, ha compiuto una serie di miracoli, dei quali il più noto è stato in passato (1591) ed è tuttora il “Miracolo del Lupo”, ragion per cui il santo viene spesso rappresentato in compagnia di un lupo “addomesticato”, persino nel monastero di Montevergine. Un giorno un lupo avrebbe sbranato l’asinello del quale il santo si serviva per il traino e altre mansioni.
Il santo si sarebbe allora rivolto al lupo e gli avrebbe intimato di prestarsi, da allora in poi, a tutte le mansioni alle quali l’asino si prestava. La feroce bestia sarebbe da allora divenuta mansueta e le genti che il santo incontrava sarebbero rimaste colpite dall’inusuale docilità dell’animale. (Fonte santiebeati.it – Domenico Agasso)
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