È stato il 157º papa della Chiesa cattolica dal 1073 alla morte avvenuta il 25 maggio 1085.
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Gregorio fu il più importante fra i papi che nell’XI secolo misero in atto una profonda Riforma della Chiesa, ma è noto soprattutto per il ruolo svolto nella lotta per le investiture, che lo pose in contrasto con re Enrico IV.
Il culto tributatogli sin dalla morte venne ratificato nel 1606 da papa Paolo V, che ne proclamò la santità. La memoria liturgica è il 25 maggio. Gregorio VII è famoso per la lotta con l’impero per il potere universale e per il documento conosciuto come Dictatus Papae .
Ildebrando di Soana è nato a Soana in provincia di Grosseto intorno al 1015. Pochi e insicuri sono i dati sulle origini e sulla condizione sociale; proveniva probabilmente da una famiglia di modesta estrazione. In giovane età venne inviato a studiare a Roma, dove un suo zio era abate del monastero di santa Maria sull’Aventino e lo avviò alla carriera ecclesiastica.
Tra i suoi maestri sembra vi fosse Giovanni Graziano, che divenne poi papa Gregorio VI. Di certo vi è che quando l’imperatore Enrico III depose Gregorio VI e lo esiliò in Germania (1047), Ildebrando lo seguì. Come egli stesso ammise in seguito, si recò oltre le Alpi controvoglia, ma la sua permanenza in Germania fu di grande valore formativo e risultò importante per la sua successiva attività ecclesiale.
A Colonia e, dopo la morte di Gregorio VI, nell’abbazia di Cluny (Francia) fu in grado di continuare gli studi. In questo periodo entrò in contatto con i circoli più vivi della riforma ecclesiastica. Fra gli altri, conobbe Brunone di Toul, che divenne poco dopo Leone IX.
Da questo Pontefice, che, in aggiunta ad altre importanti cariche lo nominò anche Cardinale, gli fu affidato, nel 1054, il delicato incarico di eliminare la tensione creatasi in Francia attorno alla dottrina eucaristica di Berengario di Tours.
Ildebrando godette di grande considerazione anche presso i successivi Pontefici (Vittore II, Stefano X, Niccolò II, Alessandro II), che egli spinse instancabilmente ad una sempre più intensa attività politica tesa a liberare la Chiesa da ogni soggezione al potere laico.
Alla morte di Papa Alessandro II, Ildebrando venne unanimamente eletto al Soglio Pontificio (22/4/1073) e prese il nome di Gregorio VII. Iniziò allora un crescendo impressionante di decreti, decisioni dogmatiche, disposizioni disciplinari, formulazioni teoriche, con le quali Gregorio, dapprima si liberò della corruzione interna dell’organismo ecclesiastico e della vincolante tutela imperiale, quindi passò risolutamente all’offensiva, proclamando esplicitamente la superiorità assoluta del potere spirituale su quello temporale.
Il suo vasto programma di rinnovamento, noto sotto il nome di Riforma Gregoriana, fu portato avanti con lucidità e risolutezza estreme; una ad una cadevano tutte le barriere dogmatiche limitative della suprema autorità spirituale. È nel «Dictatus Papae» che Gregorio affermò perentoriamente la superiorità del Pontefice su ogni altra autorità terrena; secondo la sua formulazione, il Papa veniva inoltre a disporre di una diretta superiorità sui Vescovi, e poteva giudicare e condannare senza poter mai essere a sua volta sottoposto al giudizio di alcuno.
Ai fautori del potere imperiale, che sostenevano la regola che «un Re non può essere scomunicato», Gregorio ribadiva, nella sua celebre lettera a Ermanno di Metz, il suo pieno diritto di ammonire, punire e deporre i sovrani colpevoli verso la Chiesa.
Il Pontefice, non certo pago delle sue elaborazioni teoriche, si servì di tutti i mezzi per renderle effettivamente operanti, cercando anche di far giungere la sua voce, tramite i suoi numerosi legati, in tutti i paesi della cristianità. È fin troppo evidente che un programma così radicalmente innovatore, abbia poi prodotto reazioni di vasta portata, peraltro diverse, per misura e per valutazione politica, a seconda dei vari stati.
Profondi furono i contrasti con Enrico IV, imperatore del Sacro Romano Impero.
Nel Concilio di Roma del 1074, in cui fu ripresa e continuata la lotta contro il clero simoniaco e concubinario; il successivo Concilio del 1075, oltre a confermare gli indirizzi del precedente, punì con fermezza i ribelli, e sancì, con clamorosa decisione, la proibizione di ricevere la dignità vescovile dalle autorità civili.
Il fatto sollevò le proteste di tutti i sovrani laici, ma soprattutto dell’Imperatore Enrico IV, il quale, ormai esasperato dall’intraprendenza del battagliero Pontefice, non intendeva più subire limitazioni di sorta al proprio potere; il contrasto ideale sfociò in lotta aperta.
Il Pontefice, lo scomunicò, sciogliendo i sudditi dal giuramento di obbedienza, e si ritirò nel castello di Canossa, ospite della Contessa Matilde di Toscana.
La scomunica fornì un comodo pretesto a molti Principi tedeschi per profittarne a proprio vantaggio, ribellandosi all’autorità dell’Imperatore, che fu messo in grave difficoltà. Enrico però, con abile mossa, si presentò in veste di penitente a Canossa (1077) per ottenere il perdono del Pontefice. Gregorio gli impose, prima di riceverlo, l’umiliazione di restare tre giorni e tre notti all’aperto, scalzo e in silenziosa attesa; poi lo ricevette, lo abbracciò benevolmente e gli tolse la scomunica, concedendogli la sua assoluzione, subordinando però la piena reintegrazione nei suoi poteri al consenso dei Grandi dell’Impero.
Enrico combattè contro quelli che gli si opposero con le armi, e li sconfisse più volte, ma desistette dalla lotta quando fu raggiunto da una nuova scomunica lanciatagli dal Papa nel Concilio di Roma del 1080.
L’Imperatore scese in Italia, trovando interessate alleanze anche all’interno della Chiesa, e si spinse fino a Roma, dove pose l’antipapa Clemente III e costrinse Gregorio a tenersi chiuso a Castel Sant’Angelo.
Tanta violenza permise però all’irriducibile Pontefice di ottenere, grazie ai buoni uffici della Contessa Matilde, l’alleanza di Roberto il Guiscardo (Normanno) che, preoccupato per la crescente potenza imperiale, ritenne conveniente allearsi col Papa, dal quale vide finalmente riconosciuta e accettata la sua politica antibizantina.
Furono così proprio i normanni a liberare Gregorio nel 1084, il quale, di fronte alla minacciosa ricomparsa di Enrico e dell’antipapa lasciò Roma per ritirarsi alla Corte normanna di Salerno, città dove morì, nell’amarezza della solitudine, il 22 Maggio 1085. Fu sepolto nella Chiesa di San Matteo in Salerno.
È a questo punto che, alla grandezza storica e all’umanità della sua figura si aggiunge una nota di tristezza romantica con la frase che la tradizione gli pone sulle labbra nel suo letto di morte: «Ho amato la giustizia, ho odiato l’iniquità, perciò muoio in esilio».
Gregorio VII fu proclamato Santo da Gregorio XIII nel 1583, ed è festeggiato dalla Chiesa il 25 maggio.
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