Etimologia: Gaudenzio = allegro, gaudente, dal latino
Emblema: Bastone pastorale
Quello che sappiamo di lui si ricava in parte dai suoi scritti, da lettere di contemporanei e dalle vicende che lo hanno coinvolto. È bresciano di origine, ma non si sa niente della famiglia, della nascita e della gioventù. Lo troviamo, forse già sacerdote, al fianco del settimo vescovo bresciano, Filastrio. Di sicuro ha fatto buoni studi e gode di largo prestigio tra i concittadini. Infatti, quando Filastrio muore (nel 387 o 388), clero e fedeli designano lui come successore.
Ma Gaudenzio in quel momento sta percorrendo come pellegrino i luoghi santi; è anzi uno dei pionieri di questi pellegrinaggi. I bresciani allora mandano in Palestina una delegazione per farlo rientrare al più presto. Lui accetta con qualche difficoltà, perché si considera scarso come scrittore di teologia, mentre questo all’epoca è compito fondamentale di ogni vescovo, con tanti punti di fede da precisare, con la varietà di dottrine e di dottrinari che ci sono in giro. (Il vescovo Filastrio ha scritto molto su eresie ed eretici).
Ma infine si convince ad accettare, anche perché la sua nomina è sostenuta da Ambrogio, vescovo di Milano. Così, intorno all’anno 390 viene consacrato vescovo, alla presenza di Sant’Ambrogio venuto da Milano, che poi lo chiama nella sua città per una serie di prediche. (Milano è capitale dell’Impero romano d’Occidente: vi risiedono la famiglia imperiale, il governo e i comandi militari).
Non si ritiene degno di stendere trattati, e non crede che le sue omelie meritino di essere trascritte. E invece proprio questo accade: da un lato, le trascrivono molti preti per servirsene nella loro predicazione; dall’altro, c’è chi gli richiede più larghe spiegazioni di cose dette da lui in chiesa; e allora gli tocca scrivere. Uno dei più vivaci intellettuali del tempo, Tirannio Rufino di Aquileia, gli scrive: «Il tuo è un ingegno così vivo che bisogna proprio scrivere e pubblicare quello che dici nelle prediche e nelle conversazioni ».
Tutta questa attenzione alle parole “parlate” si spiega con la loro novità nei tempi e nelle sedi: niente accanimenti pignoli sull’aggettivo o sul participio in greco, ma raffronti immediati e chiarissimi tra la fede che si professa e i comportamenti. Il vescovo denuncia ingiustizie e ipocrisie, dà voce a quelli che nessuno ascolta. C’è la vita del tempo, nelle sue parole; e per molti esse sono anche un aiuto per conoscersi meglio.
La sua esperienza dell’Oriente gli procura un’importante missione nel 406. A Costantinopoli, il patriarca Giovanni Crisostomo è stato mandato in esilio per la seconda volta, a opera di Eudossia, moglie dell’imperatore Arcadio. Papa Innocenzo I manda Gaudenzio e altri quattro vescovi a Costantinopoli per incontrare Arcadio, promuovere un concilio e ottenere la libertà per il patriarca. Ma l’impresa fallisce: i vescovi vengono bloccati e rimandati indietro prima di arrivare a Costantinopoli.
E Gaudenzio ritorna a Brescia, dove fa sorgere una chiesa dal nome insolito: Concilium Sanctorum. «Il nome voleva dire: qui c’è una collezione di santi; e i santi sono le reliquie degli apostoli che aveva portato san Gaudenzio nel suo ritorno dalla Terrasanta»: così ha spiegato questo nome Paolo VI, bresciano, parlando a un pellegrinaggio di suoi concittadini nel 1970.
Gaudenzio è stato sepolto in quella chiesa nel 411 o 412, già venerato come santo dal popolo.
Fonte santiebeati.it/ Domenico Agasso
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