Aleksander Sirdani, detto Lek o Leke, nacque a Boga nel nord dell’Albania nel 1892. Rimasto orfano dei genitori quand’era ancora un bambino, fu educato prima da una zia e poi da un pio musulmano albanese.
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Aveva circa otto anni, quando fu accolto nel Collegio Saveriano di Scutari, retto dai Gesuiti, i quali gli diedero poi la possibilità di continuare gli studi in Austria, dove nel 1916, a 24 anni, fu ordinato sacerdote. Anche suo fratello Marin si era consacrato a Dio, tra i Frati Minori.
Tornato in Albania, fu parroco in vari paesini sulle montagne di Scutari. Nei momenti liberi dal ministero sacerdotale, prese a raccogliere dalla viva voce della sua gente le tradizioni, le fiabe, i canti della sua terra, insegnandoli ai ragazzi della parrocchia e pubblicandoli in alcune raccolte: «Il piccolo albanese », «Racconti popolari», «Parole d’oro», «La leggenda del foglio del porro», «Il giovane frate». Mise poi in poesia i dieci comandamenti, per renderne più agevole l’apprendimento, e compose «Il martire dell’Eucaristia», un’opera su san Tarcisio.
Intanto l’Albania, durante la seconda guerra mondiale, era rimasta coinvolta nelle politiche espansionistiche e militari dell’Italia alleata dei nazisti: veniva assunta come base delle operazioni belliche, contro Grecia, Montenegro, Jugoslavia e altri Paesi balcanici.
Nel 1942 comparve sulla scena politica il capo dei partigiani comunisti Enver Hoxha, legato a doppio filo con la politica sovietica e con i principi marxisti. Due anni dopo, diventato capo del Governo, mise in atto una politica antireligiosa, scatenando persecuzioni contro il clero e contro i fedeli, che non intendevano aderire al nuovo corso di un’Albania veramente atea.
Don Aleksander, a 56 anni, era parroco a Boga, suo paese natale, quando ormai si era scatenata la persecuzione contro i cattolici in particolare, con esecuzioni pubbliche di massa, deportazioni e torture, campi di concentramento, arresti sotto qualunque giustficazione di sacerdoti e religiosi, eliminazione di ogni forma di culto pubblico e privato.
La fede era considerata “oppio del popolo”, per cui ci fu una sistematica imposizione dell’ateismo di Stato, con la graduale distruzione di chiese e conventi. Si giunse a mettere in atto il meschino espediente di nascondere delle armi nei conventi e chiese, per poi accusare i religiosi di cospirare contro il regime.
Ad un giovane della parrocchia, che gli esternava le sue preoccupazioni a riguardo, don Aleksander rispose: «Tu abbi lunga vita, giovanotto, ma per me morire per Cristo significa rinascere».
Il 26 luglio 1948, in occasione della festa di sant’Anna, pronunciò un’omelia che faceva velatamente riferimento alla situazione politica. «Fratelli e sorelle, una nube nera ci ha coperti, ma non spaventatevi, perché questa passerà e una nube bianca verrà e noi risplenderemo come le pietre del fiume dopo la pioggia ». Un fedele prese nota di quelle parole, che il regime non tardò a prendere come pretesto per eliminarlo.
Il giorno seguente, infatti, fu arrestato in casa del cugino: venne malmenato con tale violenza da rimanere con una sola scarpa ai piedi e senza il Breviario, che gli erano sfuggiti mentre veniva trascinato via.
Spintonato e bastonato per circa trenta chilometri, esposto alla pubblica umiliazione, fino al carcere di Koplik, nei pressi di Scutari. Lì fu torturato in vari modi e a più riprese. Gli fu applicato del ferro rovente, subì scariche elettriche e venne quasi scorticato vivo, tanto da apparire irriconoscibile.
Nello stesso carcere erano rinchiusi altri sacerdoti, compresi padre Simon Cubani e padre Anton Luli, gesuita. Questi, la mattina del 29 luglio, non sentirono più le grida di dolore di don Aleksander. Per cui padre Anton domandò alla guardia dove fosse: era stato da poco gettato nel pozzo nero (praticamente, una buca molto grande) dei bagni dei detenuti.
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Il gesuita pregò allora la guardia di lasciarlo andare al bagno, anche se non era l’orario consentito; essendo trascorse le otto del mattino, avrebbe dovuto aspettare la sera.
La guardia comprese il motivo reale e, impietosita, lo accompagnò al pozzo: il liquame era ancora gorgogliante. Sconvolto, padre Anton si avvicinò, come se dovesse fare i bisogni. Rapidamente tracciò un segno di croce su quel povero prete, che moriva soffocato in quel modo orribile e disumano.
Don Cubani aggiunse che don Aleksander e un altro prigioniero, don Pjetër Çuni, furono soffocati nella fossa nera. Dopo aver pompato le loro budella con la pompa della macchina. Quando ai due sacerdoti, già immersi nel liquame, fu proposto di rinnegare la loro fede in cambio della vita, rifiutarono decisamente. A quel punto, uno dei persecutori spinse con un forcone le loro teste sotto la melma, mentre un altro sparava all’impazzata nella fogna.
Altre fonti hanno riferito che il martirio di don Aleksander sia avvenuto il 26 dicembre 1948. Quello di don Pjetër Çuni, molto probabilmente, risale al 31 luglio.
La chiesa parrocchiale di Boga è trasformata in un forno per il pane. I compaesani di don Aleksander lo hanno sempre venerato di nascosto, considerandolo un martire. A 54 anni dalla sua uccisione, nella chiesa ripristinata al culto, gli hanno eretto una statua.
Compreso nell’elenco di 38 martiri uccisi sotto il regime comunista in Albania, capeggiati dal vescovo Vincenzo Prennushi e comprendenti anche don Pjetër Çuni, è stato beatificato il 5 novembre 2016 nella piazza davanti alla cattedrale di Santo Stefano a Scutari.
Autore: Antonio Borrelli
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