Etimologia: Filippo = che ama i cavalli, dal greco
Emblema: Croce, Pani e pesci
Ricordato il giorno tre maggio insieme a Giacomo il minore, in quanto le loro reliquie furono deposte insieme nella chiesa dei Dodici apostoli a Roma. L’apostolo Filippo, sin dai primi secoli gode di una particolare attenzione sia per quanto dice o si intuisce di lui nei Vangeli canonici. Anche per le molteplici fonti apocrife che lo menzionano e le leggende che man mano lo hanno avvolto.
Filippo, pescatore di Betsaida, in Galilea, è fra i primi ad essere chiamato da Gesù vicino a sé. Conosciamo la sua immediata risposta alla chiamata di Gesù dall’entusiasmo con il quale comunica subito l’incontro a Natanaele: “Vieni e vedi”, così lo invita, rispondendo alla sua incredula reazione (Gv 1, 43 ss.).
Prima della moltiplicazione dei pani, quando Gesù “per metterlo alla prova” chiede a Filippo dove poter provvedere il pane per sfamare tanta gente (Gv 6, 5-6).
Dopo l’ingresso messianico a Gerusalemme è a Filippo che si rivolgono alcuni greci che vogliono vedere Gesù (Gv 12, 20-22).
Proprio Filippo stesso che durante l’Ultima Cena chiede al Maestro di mostrare loro il Padre (Gv 14, 8). Questo a testimonianza che solo per il dono dello Spirito dopo la Risurrezione gli apostoli comprenderanno la verità di Gesù, Cristo, Figlio di Dio e la missione loro affidata.
Le altre notizie che si hanno di Filippo sono avvolte dalla leggenda ma sono degne di considerazione per il grande interesse che da subito si ebbe verso di lui.
È comunque probabile che, dopo la Pentecoste, Filippo abbia attraversato l’Asia Minore spingendosi fino alla Scizia (dalle parti dell’attuale Ucraina) e poi nella Frigia (nell’attuale Turchia asiatica), nella cui capitale, Gerapoli, sarebbe stato martirizzato su una croce decussata, cioè a forma di X e con la testa all’ingiù, ma qui le fonte divergono alquanto.
Secondo alcune fonti apocrife, poi riprese nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, Filippo ha probabilmente evangelizzato per vent’anni la Scizia. A a fianco delle sue due figlie vergini che portava sempre con sé. Un giorno l’apostolo venne catturato da alcuni pagani, i quali lo trascinarono nel tempio di Marte e lo costrinsero a sacrificare alla statua del dio. In quello stesso istante il piedistallo della statua si sgretolò e dalla cavità uscì un drago che si avventò sul figlio del sacerdote che stava preparando il fuoco per il sacrificio e lo uccise con il suo alito venefico, e insieme a lui anche due tribuni, avvelenando molti degli astanti con il suo alito pestilenziale. Allora Filippo scacciò il drago e resuscitò coloro che erano stati uccisi dal demonio, guarendo infine gli ammalati a causa delle sue esalazioni pestifere.
Filippo giunse a Hierapolis, città sacra ad Apollo e sede di un oracolo molto importante nell’antichità, nella regione della Frigia. Qui convertì molti al cristianesimo, perfino la moglie del proconsole. Il quale, adirato, lo fece inchiodare a un albero a testa in giù, come rappresentato nell’iconografia tradizionale. Dopo la sua morte fu lì seppellito.
Molti viaggiatori e religiosi dei secoli successivi, tra i quali Eusebio di Cesarea, citano nei loro scritti la tomba dell’apostolo guaritore. Policrate di Efeso, vescovo di Efeso nella seconda metà del II secolo, scrisse, in una lettera indirizzata a papa Vittore I, il seguente passo: «Filippo, uno dei dodici apostoli, riposa a Hierapolis con due sue figlie che si serbarono vergini tutta la vita, mentre la terza, vissuta nello Spirito Santo, è sepolta a Efeso».
La dimora eterna dell’apostolo divenne meta di venerazione. A un certo punto le spoglie di Filippo furono traslate a Costantinopoli e poi a Roma; benché la città di Hierapolis, sconvolta da più terremoti, finisse per esser abbandonata, il pellegrinaggio si mantenne per tutto il Medioevo. Nel 1190 Federico Barbarossa fece sfilare l’armata dei crociati all’interno della città in rovina per celebrare la memoria dell’apostolo.
Papa Benedetto XVI nell’udienza del 6 settembre 2006 in cui parla di San Filippo, cosi termina: “Vogliamo concludere la nostra riflessione richiamando lo scopo cui deve tendere la nostra vita: incontrare Gesù come lo incontrò Filippo, cercando di vedere in lui Dio stesso, il Padre celeste. Se questo impegno mancasse, verremmo rimandati sempre solo a noi come in uno specchio, e saremmo sempre più soli! Filippo invece ci insegna a lasciarci conquistare da Gesù, a stare con lui, e a invitare anche altri a condividere questa indispensabile compagnia. E vedendo, trovando Dio, trovare la vera vita“. (fonte santiebeati.it)
Autore: Don Luca Roveda
Redazione Papaboys
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