Oggi la Chiesa ricorda Santa Giacinta Marescotti
Santa Giacinta Marescotti fu vergine del Terz’Ordine regolare di San Francesco. Dopo quindici anni di vita passati tra vani piaceri, abbracciò una vita durissima e istituì confraternite per l’assistenza degli anziani e per l’adorazione della santa Eucaristia.
Etimologia: Giacinta = dal nome del fiore
LEGGI: Oggi la Chiesa ricorda il Beato Sebastiano Valfrè. Un grande santo!
La vita
Giacinta (al secolo Clarice) Marescotti nasce a Vignanello (Viterbo), il 16 Marzo 1585. Era figlia del Conte Marcantonio Marescotti e di Ottavia Orsini, Contessa di Vignanello (il cui padre aveva realizzato il Parco dei Mostri di Bomarzo).
Studiò, assieme alle sue due sorelle Ginevra e Ortensia, al Convento di San Bernardino a Viterbo. Al termine degli studi Ginevra rimase in convento e prese il nome di Suor Immacolata.
Lei, invece, sogna un marito, non il monastero. È molto bella e si innamora del giovane marchese Capizucchi, ottimo partito per una figlia del principe Marcantonio Marescotti, alta aristocrazia romana.
E il principe, infatti, gli dà volentieri in moglie una figlia. Ma non è Clarice. È Ortensia, la più giovane.
Dopodiché Clarice diventa il flagello della casata, insopportabile per tutti. Una delusione simile può davvero inasprire chiunque, ma forse le accuse sono anche un po’ gonfiate per giustificare la reazione del padre, che nel 1605 la fa entrare nel monastero di San Bernardino a Viterbo, dalle Clarisse, dove c’è già sua sorella Ginevra.
Qui lei prende il nome di Giacinta, ma senza farsi monaca: sceglie lo stato di terziaria francescana, che non comporta clausura stretta. Vive in due camerette ben arredate con roba di casa sua e partecipa alle attività comuni. Ma non è come le altre. Lo sente, glielo fanno sentire: un brutto vivere. Per quindici anni si tira avanti così: una vita “di molte vanità et schiocchezze nella quale hero vissuta nella sacra religione” (parole da lei scritte successivamente).
La profonda trasformazione interiore
C’è un “dopo”, infatti. C’è una profonda trasformazione interiore, dopo una grave malattia di lei e alcune morti in famiglia. Per suor Giacinta cominciano ventiquattro anni straordinari e durissimi, in povertà totale. E di continue penitenze, con asprezze oggi poco comprensibili, ma che rivelano energie nuove e sorprendenti. Dalle due camerette raffinate lei passa a una cella derelitta per vivere di privazioni: ma al tempo stesso, di lì, compie un’opera singolare di “riconquista”.
Personaggi lontani dalla fede si convertono per opera sua, e si fanno suoi collaboratori nell’aiuto ad ammalati e poveri.
Questa mistica si fa organizzatrice di istituti assistenziali come quello detto dei “Sacconi” (dal sacco che i confratelli indossano nel loro servizio) che aiuta poveri, malati e detenuti, e che si perpetuerà fino al XX secolo. E come quello degli Oblati di Maria, chiamati a servire i vecchi.
Vive nella fede la sua pienezza
Nel monastero che l’ha vista entrare delusa, Giacinta si realizza con una totalità mai sognata, anche come stimolatrice della fede e maestra.
La vediamo infatti contrastare il giansenismo nelle sue terre, con incisivi stimoli all’amore e all’adorazione per il sacramento eucaristico. Non sono molti quelli che la conoscono di persona.
La morte e il culto
Muore a Viterbo il 30 Gennaio del 1640. Subito viene venerata come santa dalle consorelle e dai fedeli.
Ma subito dopo la sua morte, tutta Viterbo corre alla chiesa dov’è esposta la salma. E tutti si portano via un pezzetto del suo abito, sicché bisognerà rivestirla tre volte.
Il corpo è esposto nella chiesa del Monastero di San Bernardino, a Viterbo. Fu beatificata dal Papa Benedetto XIII nel 1726 e proclamata santa dal Papa Pio VII nel 1807.
La sua festa cade il 30 gennaio ed è compatrona di Vignanello insieme a San Biagio.
Fonte www.santiebeati.it – Autore: Domenico Agasso