Giacinta Marescotti: è stata una religiosa italiana appartenente al Terzo Ordine francescano. È stata proclamata santa da papa Pio VII nel 1807.
(Domenico Agasso/santiebeati.it) Giacinta (al secolo Clarice) Marescotti è nata a Vignanello (Viterbo), il 16 Marzo 1585; era figlia del Conte Marcantonio Marescotti e di Ottavia Orsini, Contessa di Vignanello (il cui padre aveva realizzato il famoso Parco dei Mostri di Bomarzo).
Studiò, assieme alle sue due sorelle Ginevra e Ortensia, al Convento di San Bernardino a Viterbo. Al termine degli studi Ginevra rimase in convento e prese il nome di Suor Immacolata.
Lei, invece, sognava un marito, non il monastero. È molto bella e si innamora del giovane marchese Capizucchi. Il principe Marcantonio Marescotti dà volentieri in moglie una figlia al marchesa ma non è Clarice, è Ortensia, la più giovane.
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Clarice diventa il flagello della casata, insopportabile per tutti. Una delusione simile può davvero inasprire chiunque, ma forse le accuse sono anche un po’ gonfiate per giustificare la reazione del padre, che nel 1605 la fa entrare nel monastero di San Bernardino a Viterbo, dalle Clarisse, dove c’è già sua sorella Ginevra.
Qui lei prende il nome di Giacinta, ma senza farsi monaca: sceglie lo stato di terziaria francescana, che non comporta clausura stretta. Vive in due camerette ben arredate con roba di casa sua e partecipa alle attività comuni. Ma non è come le altre.
Per quindici anni si tira avanti così: una vita “di molte vanità et schiocchezze nella quale hero vissuta nella sacra religione” (parole da lei scritte successivamente).
Dopo una grave malattia e alcune morti in famiglia, in lei avviene una profonda trasformazione interiore. Per suor Giacinta cominciano ventiquattro anni straordinari e durissimi, in povertà totale. E di continue penitenze, con asprezze oggi poco comprensibili, ma che rivelano energie nuove e sorprendenti. Dalle due camerette raffinate lei passa a una cella derelitta per vivere di privazioni: ma al tempo stesso, di lì, compie un’opera singolare di “riconquista”.
Personaggi lontani dalla fede si convertono per opera sua, e si fanno suoi collaboratori nell’aiuto ad ammalati e poveri.
Questa mistica si fa organizzatrice di istituti assistenziali come quello detto dei “Sacconi” (dal sacco che i confratelli indossano nel loro servizio) che aiuta poveri, malati e detenuti, e che si perpetuerà fino al XX secolo. E come quello degli Oblati di Maria, chiamati a servire i vecchi.
Nel monastero che l’ha vista entrare delusa, Giacinta si realizza con una incredibile totalità.
Diventa stimolatrice della fede e maestra. La vediamo inoltre contrastare il giansenismo nelle sue terre e dare incisivi stimoli all’amore e all’adorazione per il sacramento eucaristico.
Muore a Viterbo il 30 Gennaio del 1640. Subito viene venerata come santa dalle consorelle e dai fedeli. Alla sua morte tutta Viterbo corre alla chiesa dov’è esposta la salma e tutti si portano via un pezzetto del suo abito, sicché bisognerà rivestirla tre volte.
Il corpo è esposto nella chiesa del Monastero di San Bernardino, a Viterbo.
Fu beatificata dal Papa Benedetto XIII nel 1726 e proclamata santa dal Papa Pio VII nel 1807. La sua festa cade il 30 gennaio ed è compatrona di Vignanello insieme a San Biagio.
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O Dio, nel tuo amore misericordioso, hai voluto che la vergine Santa Giacinta fosse vittima di penitenza e strumento di carità operosa, concedi a noi di imitare il suo esempio e di sentire il dolore delle nostre colpe, per seguire Cristo sulla via della croce e dell’amore verso il prossimo.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen. (Padre Nostro, Ave Maria, Gloria)
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