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Francesco Saverio Bianchi nacque ad Arpino in provincia di Frosinone il 2 dicembre 1743, da Carlo Antonio Bianchi e Faustina Morelli. Battezzato il giorno dopo la nascita nella chiesa collegiata di San Michele, coi nomi di Francesco Saverio Filippo Giustiniano. Il 1° dicembre 1748 ricevette la Cresima per le mani di monsignor Antonio Correale, vescovo di Sora.
Cresce in un’atmosfera di vita fervorosa e di carità verso il prossimo. Sua madre aveva trasformato parte della casa in un piccolo ospedale di sedici letti, per ammalati poveri e senza assistenza. Trascorse l’adolescenza con i pregi e i difetti tipici dell’età: lui stesso si confessò goloso e dichiarò anche di aver commesso piccoli furti di denaro in casa.
Compì i suoi primi studi nel Collegio dei Santi Carlo e Filippo ad Arpino, retto dai Chierici Regolari di San Paolo, detti anche Barnabiti, fondati nel 1530 a Milano da padre Antonio Maria Zaccaria (canonizzato nel 1897).
Sentendosi orientato alla vita consacrata, in un primo tempo pensò di entrare nella Compagnia di Gesù, ma poi scelse l’Ordine a cui appartenevano i suoi maestri. I genitori, invece, avrebbero preferito vederlo sacerdote diocesano. Mentre proseguiva gli studi, il 2 marzo 1757 vestì la talare; ventiquattro giorni dopo, invece, gli fu praticata la prima tonsura dal vescovo di Nola.
La vocazione si faceva sempre più forte, insieme ai contrasti con i genitori, i quali colsero il fatto che Francesco Saverio fosse nipote di un sacerdote per inviarlo a studiare presso il Seminario di Nola. Lì, intorno al 1758, conobbe don Alfonso Maria de’ Liguori, fondatore dei Redentoristi (canonizzato nel 1839). Il 20 maggio 1759 ricevette gli Ordini Minori.
Nel 1760, per volere del padre, tornò ad Arpino e fu iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Napoli. Nel settembre 1762 rientrò in famiglia, ma respinse i tentativi di distoglierlo dalla vocazione, che compresero anche una proposta di matrimonio.
Così, nell’ottobre dello stesso anno, Francesco Saverio ottenne di entrare tra i Barnabiti. La sua domanda di ammissione, presentata due volte (il 9 e il 15 novembre 1762), fu accettata il 19 novembre. Il 25 dello stesso mese giunse al collegio della SS. Annunziata di Zagarolo per il noviziato. Il 27 dicembre vestì l’abito religioso, aggiungendo il nome di Maria a quello ricevuto nel Battesimo, come d’uso tra i discepoli dello Zaccaria.
Continuò gli studi filosofici trasferendosi nel 1764 al collegio di San Paolo a Macerata, dove rimase fono al 16 ottobre 1765. Dopo un breve soggiorno ad Arpino, terminato il 3 novembre, si trasferì a Roma per gli studi di Teologia.
Tornò di nuovo a casa per problemi di salute, trattenendosi dal 29 aprile al 28 ottobre 1766; in quella data divenne membro della comunità barnabitica di San Carlo alle Mortelle a Napoli. Nella cappella del collegio venne ordinato suddiacono l’11 gennaio 1767, diacono il 18 gennaio e sacerdote il 25 gennaio.
Subito dopo l’ordinazione, insegnò Retorica ad Arpino, dal 15 ottobre 1767 al 18 ottobre 1769. Poi venne destinato di nuovo a San Carlo alle Mortelle, come professore di filosofia e matematica. Il 20 novembre 1772 divenne vice-maestro dei novizi. In quell’incarico conobbe il giovane Francesco Maria Castelli, che morì in fama di santità prima ancora di ricevere gli ordini sacri (per lui è in corso la causa di beatificazione e canonizzazione).
La sua fama gli ottenne vari incarichi di responsabilità, che espletò con grande capacità. Dal 3 aprile 1773 fu vicario del Collegio di Santa Maria in Cosmedin o di Portanova, poi, dal maggio successivo, preposito, ossia superiore, della stessa comunità, fino al 1785.
Il 15 settembre 1778 fu nominato professore straordinario di Teologia Dogmatica nella Regia Università di Napoli. Le Costituzioni dei Barnabiti, infatti, non permettevano la docenza nelle università pubbliche. Il 19 marzo 1779 divenne socio della Reale Accademia delle Scienze e di Lettere del Regno di Napoli.
Ben presto fu conosciuto come un santo, perché sempre più in lui avveniva la sostituzione degli studi e della frequentazione dei circoli degli eruditi con le opere di carità, la contemplazione e l’apostolato, specie fra gli umili del suo quartiere.
Il cambiamento di vita fu progressivo, ma ebbe il suo culmine il 1° giugno 1800, Domenica di Pentecoste di quell’anno.
Padre Francesco Saverio si era recato a pregare nella chiesa del Divino Amore, annessa a un monastero di clausura: davanti al Santissimo Sacramento solennemente esposto, gli parve che un raggio di luce partisse dall’ostensorio e lo raggiungesse al cuore.
Da quel giorno inasprì le sue penitenze. Il suo impegno nell’apostolato divenne totale, tanto da portarlo ad abbandonare l’insegnamento. Fu anche proposto per due volte come vescovo per altrettante diocesi, ma rifiutò per dedicarsi ancora di più alla preghiera e a una vita ritirata.
Nel 1776 conobbe una Terziaria francescana alcantarina, Maria Francesca delle Cinque Piaghe (al secolo Anna Maria Rosa Nicoletta Gallo, canonizzata nel 1867), alla quale erano attribuiti doni sovrannaturali. Fu suo direttore spirituale fino alla morte di lei, avvenuta il 6 ottobre 1791.
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Tra i suoi discepoli per i quali sono state aperte le cause di beatificazione e canonizzazione, oltre al già citato Francesco Maria Castelli, si contano don Mariano Arciero (beatificato nel 2012), don Placido Baccher, don Agnello Coppola e Giovanni Battista Jossa.
Ebbero relazioni spirituali con lui anche don Vincenzo Romano (canonizzato nel 2018) e la regina Maria Clotilde di Savoia, in esilio a Napoli con il marito Carlo Emanuele IV, oltre a molti cardinali e vescovi.
Padre Francesco Saverio rimase nel suo convento anche quando le leggi eversive del 1809 soppressero il suo Ordine. Ebbe il dono della profezia e visioni di avvenimenti lontani nel tempo e nello spazio. Miracoli e doni carismatici aumentarono la sua fama di santità. Uno tra i tanti, l’arresto, con un segno di croce, della lava eruttata dal Vesuvio nel 1804 e nel 1805.
Simile nella giocondità a san Filippo Neri, aveva come lui misteriosi tremiti e palpitazioni di cuore durante la preghiera e la celebrazione della Messa, che officiava con un fervore da far stupire chi assisteva. Maria Francesca delle Cinque Piaghe diceva: «Due Filippo abbiamo, uno nero e uno bianco», riferendosi alle qualità spirituali simili e anche ai due cognomi “Neri” e “Bianchi”.
Quando una malattia alle gambe, inspiegabile per l’epoca, lo immobilizzò per gli ultimi tredici anni della sua vita, padre Francesco Saverio si dedicò ancora di più alla confessione e alla direzione spirituale.
Negli ultimi tre anni, la celebrazione della Messa era l’unica azione che riusciva a fare, reggendosi in piedi sulle gambe orribilmente gonfie e piagate. Morì a Napoli, nel collegio di Santa Maria di Portanova, il 31 gennaio 1815.
Il processo ordinario informativo per la sua causa di beatificazione iniziò il 4 settembre 1817 e terminò il 31 ottobre 1820, presso la diocesi di Napoli. Papa Leone XIII lo beatificò il 22 gennaio 1893, definendolo «Apostolo di Napoli».
Papa Pio XII, invece, lo canonizzò il 21 ottobre 1951. Erano trascorsi centotrentasei anni dalla sua morte, relativamente pochi rispetto a quelli passati dalla morte del fondatore (trecentocinquantotto) o a quelli dal transito di Alessandro Sauli (trecentododici).
Autore: Antonio Borrelli
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