Giustino de Jacobis divenne Abuna Jacob per le popolazioni etiopi. E quando Paolo VI lo proclamò santo nel 1975, l’episcopato di quel Paese lo definì «il padre della Chiesa d’Etiopia». Nato a San Fele (Potenza) nel 1800, nel 1824 divenne prete nella Congregazione della missione di san Vincenzo de’ Paoli.
Curò i colerosi a Napoli nel 1836-37 e due anni dopo partì per il Tigrè, operando ad Adua e Adi Kwala. Qui eresse un seminario per preti locali, il Collegio dell’Immacolata. Ma non fu la sua unica intuizione in anticipo sui tempi. Entrò, infatti, in dialogo con i cristiani copti. Uno di essi, Ghebrè Michail, passò al cattolicesimo e aiutò il missionario nell’opera di inculturazione della fede. Ma quando Abuna Jacob venne ordinato vescovo – da Guglielmo Massaia – ne sorse un contrasto con il vescovo copto. E una persecuzione: Ghebrè Michail morì in carcere, mentre Giustino, espulso, si spense a Zula (Eritrea) il 31 luglio 1860. (Avvenire)
Etimologia: Giustino = onesto, probo (sign. Intuitivo)
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Nella valle di Alighede in Etiopia, san Giustino De Iacobis, vescovo della Congregazione della Missione, che, mite e pieno di carità, si impegnò nelle opere di apostolato e nella formazione del clero locale, patendo poi la fame, la sete, le tribolazioni e il carcere.
San Giustino de Jacobis nasce in San Fele (Potenza) il 9 ottobre 1800 da Giovanni Battista e Giuseppina Muccia. Intorno al 1812, la famiglia, forse per motivi economici, si trasferisce a Napoli. Nel 1818, il padre carmelitano Mariano Cacace, intuita la vocazione del giovane, lo indirizza verso la comunità dei missionari vincenziani; proseguendo i suoi studi, Giustino de Jacobis si sposta in Puglia e proprio in questa terra, il 18 giugno 1824, a Brindisi, nella cattedrale, è ordinato sacerdote dall’arcivescovo Giuseppe Maria Tedeschi (1819 – 1825). Nella stessa Puglia il de Jacobis trascorre i suoi primi anni di sacerdozio e tra il 1824 ed il 1836 è a Monopoli e Lecce. Nel 1836 rientra a Napoli dove imperversa un’epidemia di colera; il sacerdote sanfelese ha modo allora di dimostrare il suo spirito di dedizione verso i tantissimi malati che i vincenziani curano. In coincidenza della processione dell’Immacolata, l’epidemia è completamente sconfitta; a Napoli, nella chiesa di San Nicola, si conserva tuttora la statua della Vergine che anche Giustino de Jacobis trasportò a spalla.
Nel 1838, il padre vincenziano Giuseppe Sapeto avvia una missione ad Adua che viene rafforzata con l’arrivo, il 13 ottobre 1839, su sollecitazione di Propaganda Fide, di Giustino de Jacobis, allora superiore alla napoletana casa dei Vergini, che assume la responsabilità della regione del Tigrè erigendosi così la prima vera missione col titolo di vicariato d’Abissinia. Nel 1841 è affiancato da due confratelli italiani: padre Lorenzo Bianchieri e Giuseppe Abbatini. Altri risultati della missione giungeranno più avanti con la conversione al cattolicesimo del monaco etiopico Gebre Mikael e circa 5.000 indigeni Si fondano altri centri missionari a Gondar, Enticciò, Guala, con annesso seminario da cui nel 1852 usciranno 15 sacerdoti, Alitiena, Halai, Hebo, Cheren. Tra tutti i luoghi attraversati, nella vita missionaria di Giustino de Jacobis, ricopre una notevole importanza la città di Hebo dove le sue spoglie sono conservate e venerate.
Il vescovo cappuccino mons. Guglielmo Massaia lo consacra vescovo titolare di Nilopoli l’8 gennaio 1849. Col martirio del primo sacerdote indigeno, l’abba Gebre Mikael, nel 1855, l’esilio del de Jacobis e la sua morte il 31 luglio 1860, ad Eidale, nella valle Alighedé, lungo il sentiero che da Massaua porta all’altopiano, in seguito alla persecuzione del negus Teodoro II (1855 – 68), si chiude questa prima esperienza missionaria.
Fa le sue prime esperienze e corre i suoi primi rischi nel 1836-37 curando i colerosi di Napoli, nell’epidemia che provoca quindicimila morti in città, dopo aver colpito il Nord e il Centro Italia (e farà altre stragi in Sicilia). Giustino De Jacobis appartiene alla “Congregazione della Missione” di san Vincenzo de’ Paoli.
Settimo dei 14 figli di una famiglia lucana, Giustino è stato ordinato sacerdote a Brindisi nel 1824. Nel 1839 arriva come missionario in Etiopia e il suo campo di lavoro è il Tigré: principalmente Adua, e poi Guala (Adi Kwala) dove pensa subito a formare preti etiopici, dando vita a un seminario chiamato “Collegio dell’Immacolata”.
Questo è già territorio cristiano (con una presenza di islamici): c’è la Chiesa copta, che non è stata mai unita a Roma, e la cui dottrina monofisita non ammette in Cristo una natura umana insieme a quella divina. Giustino De Jacobis avvicina i copti con rispetto e amicizia; ne porta alcuni con sé in un viaggio a Roma e in Terrasanta, senza chiedere conversioni. Uno di essi, però, Ghebré Michaïl, nato nel Goggiam, si fa cattolico, diventa sacerdote e maestro del seminario, pubblicando una grammatica e un dizionario della lingua locale. Valorizzare le culture che incontra: anche questo fa parte della “linea De Jacobis” in missione.
Nella regione cresce la popolarità di Abuna (padre) Jacob, come lo chiamano, e si sviluppa la comunità cattolica, che entra però in conflitto col vescovo copto Abuna Salama, specie quando De Jacobis viene nominato vescovo e vicario apostolico (lo consacra il grande Guglielmo Massaia, vescovo dei Galla sull’altopiano etiopico, nel 1849).
Il contrasto diviene persecuzione quando un piccolo capo della zona di Gondar, Kasa, sottomette i ras proclamandosi imperatore col nome di Teodoro II. Spinto dall’Abuna Salama, fa poi imprigionare De Jacobis con i suoi sacerdoti; e uno di essi, il dotto Ghebré Michaïl, muore di stenti in catene (sarà beatificato nel 1926). A questo punto Salama scrive a Teodoro: “Devi cacciare l’Abuna Jacob. Ma non lo uccidere: è un santo!”. Così il vescovo Giustino viene espulso con un gruppetto dei suoi fedelissimi, e muore di sfinimento nella zona più torrida dell’Eritrea, presso Zula, mentre cerca di raggiungere il porto di Massaua.
“Giustino De Jacobis è stato padre per la Chiesa d’Etiopia”, scrivono i vescovi etiopici nell’Anno santo 1975 al papa Paolo VI, che lo ha proclamato santo il 26 ottobre. In quell’occasione, ricordando l’anticipatrice visione ecumenica di Giustino, il Pontefice affermava: “Volle accostare i Copti etiopici, e anche i fedeli musulmani; e, pur se per questo andò incontro a gravi ostilità e incomprensioni, intese dare incremento ai valori cristiani ivi esistenti, mirando all’unità e all’integrità della fede”. E ha poi aggiunto: “Ha un solo torto, quello d’essere troppo poco conosciuto”.
Le sue ultime parole furono di raccomandazione e di affetto verso i suoi discepoli:
“Figli miei, tutti voi avrete parte del mio affetto, voglio benedirvi!”
“Non piangete, non piangete, continuò Giustino, non abbiate timore perché se vi conformerete alle raccomandazioni che vi ho fatto, nessuna cosa potrà nuocervi. Trasmettete questi avvisi a quelli che sono ad Hebo, Alitiena, Halai, Moncullo. Che tutti si ricordino di me nelle preghiere”.
Autore: Domenico Agasso
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