Patronato: Italia, Ecologisti, Animali, Uccelli, Commercianti, Lupetti/Coccin. AGESCI
Etimologia: Francesco = libero, dall’antico tedesco
Emblema: Lupo, Uccelli
Francesco nasce ad Assisi (Umbria) nel 1182 (ma secondo altri la nascita potrebbe però datarsi all’estate o all’autunno 1181). Era figlio da Pietro di Bernardone, agiato mercante di panni, e da Giovanna detta Pica, nobile di origine forse provenzale.
Secondo la tradizione, sembra che anche il santo sia nato in una stalla, improvvisata al pianterreno della casa paterna. In seguito detta “Stalletta” o “Oratorio di San Francesco piccolino”. Ubicata presso la piazza principale della città umbra. La madre, in assenza del marito Pietro, impegnato in un viaggio di affari in Provenza, lo battezzò con il nome di Giovanni, in onore del Battista. Tuttavia, al suo ritorno, il padre volle aggiungergli il nome di Francesco, che prevarrà poi sul primo.
Questo aggettivo corrisponde all’attuale “francese”. La motivazione potrebbe essere sia un omaggio alla Francia, meta dei suoi frequenti viaggi, sia dovuto al fatto che la madre fosse francese.
Francesco crebbe tra gli agi della sua famiglia. Come tutti i ricchi assisiati godeva dei tanti privilegi imperiali, concessi loro dal governatore della città, il duca di Spoleto Corrado di Lützen.
Aveva appreso le nozioni essenziali di scrittura e di latino presso la scuola parrocchiale di San Giorgio e le sue cognizioni letterarie erano limitate. Ad ogni modo, conosceva il provenzale, lingua materna. Era abile nel mercanteggiare le stoffe dietro gli insegnamenti del padre, che vedeva in lui un valido collaboratore e l’erede dell’attività di famiglia.
Era estroso ed elegante: primeggiava fra i giovani, amava le allegre brigate e spendeva con una certa prodigalità il denaro paterno, tanto da essere acclamato “rex iuvenum” (re dei giovani), titolo che lo poneva alla direzione delle feste.
Con la morte dell’imperatore di Germania Enrico IV (1165-1197) e l’elezione a papa del cardinal Lotario di Segni, che prese il nome di Innocenzo III (1198-1216), gli scenari politici cambiarono. Il nuovo Papa, sostenitore del potere universale della Chiesa, prese sotto la sua sovranità il ducato di Spoleto, compresa Assisi, togliendolo al duca Corrado di Lützen.
Ciò portò ad una rivolta del popolo contro i nobili della città, asserviti all’imperatore e sfruttatori dei loro concittadini. Furono cacciati dalla rocca di Assisi e si rifugiarono a Perugia, poi, con l’aiuto dei perugini, mossero guerra ad Assisi (1202-1203). Francesco, infiammato di spirito d’avventura, si buttò nella lotta fra le due città così vicine e così nemiche. Dopo la disfatta subita dagli assisiati a Ponte San Giovanni, fu fatto prigioniero dai perugini a fine 1203 e restò in carcere per un anno.
Dopo che i suoi familiari ebbero pagato un consistente riscatto, Francesco ritornò in famiglia, con la salute ormai compromessa. La madre lo curò amorevolmente durante la lunga malattia.
Una volta guarito, tuttavia, il giovane non era più quello di prima. La sofferenza aveva scavato nel suo animo un’indelebile solco. Non sentiva più nessuna attrattiva per la vita spensierata e i suoi antichi amici non potevano più stimolarlo.
Pensò allora di arruolarsi nella cavalleria del conte Gualtiero di Brienne, che in Puglia combatteva per il papa. Quando però fu giunto a Spoleto, cadde in preda ad uno strano malessere. La notte ebbe un sogno in cui una voce misteriosa che lo invitava a “servire il padrone invece che il servo” e a ritornare ad Assisi.
Colpito dalla rivelazione, tornò alla sua città. Accolto con preoccupazione dal padre e con una certa disapprovazione di buona parte dei concittadini. Lasciò definitivamente le allegre brigate per dedicarsi ad una vita d’intensa meditazione e pietà, avvertendo nel suo cuore il desiderio di servire il Signore , ma non sapendo come. Andò anche in pellegrinaggio a San Pietro in Roma, con la speranza di trovare chiarezza.
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Ritornato deluso ad Assisi, continuò nelle opere di carità verso i poveri ed i lebbrosi. Ma fu solo nell’autunno 1205 che Dio gli parlò. Era assorto in preghiera nella chiesetta campestre di San Damiano, mentre fissava un crocifisso bizantino. Ad un tratto, udì per tre volte questo invito: «Francesco va’ e ripara la mia chiesa, che come vedi, cade tutta in rovina».
Pieno di stupore, Francesco interpretò il comando in riferimento alla cadente chiesetta di San Damiano, pertanto si mise a ripararla con il lavoro delle sue mani; utilizzò anche il denaro paterno.
A questo punto il padre, considerandolo ormai irrecuperabile, anzi pericoloso per sé e per gli altri, lo denunziò al tribunale del vescovo Guido II come dilapidatore dei beni di famiglia. Francesco si spogliò dei vestiti, restituendoli al padre. Il vescovo nel mentro lo copriva con il proprio mantello, anche a significare la sua protezione.
Il giovane fu affidato ai benedettini, con la speranza che potesse trovare nel loro monastero la soddisfazione alle sue esigenze spirituali. I rapporti con i monaci furono buoni, ma riconobbe non era quella la sua strada. Ben presto riprese la sua vita di “araldo di Gesù re”: indossò i panni del penitente e prese a girare per le strade di Assisi e dei paesi vicini, pregando, servendo i più poveri, consolando i lebbrosi e ricostruendo, oltre San Damiano, le chiesette diroccate di San Pietro alla Spira e di Santa Maria degli Angeli.
Nell’aprile del 1208, durante la celebrazione della Messa a Santa Maria degli Angeli, Francesco ascoltò dal celebrante la lettura del Vangelo di Matteo sulla missione degli Apostoli. In breve tempo, riconobbe che quelle parole di Gesù costituivano la risposta alle sue preghiere e alle sue domande. L’invito del Crocifisso a San Damiano non si riferiva quindi alla ricostruzione del piccolo tempio, ma al rinnovamento della Chiesa nei suoi membri.
Depose allora i panni del penitente: indossò un abito di tela ruvida, si cinse i fianchi con una rude corda e si coprì il capo con il cappuccio in uso presso i contadini del tempo. Camminava a piedi scalzi.
Iniziò così la sua nuova vita. Rendendosi interprete di sentimenti diffusi nel suo tempo, prese a predicare la pace, l’uguaglianza fra gli uomini, il distacco dalle ricchezze e la dignità della povertà, l’amore per tutte le creature di Dio e al disopra di ogni cosa e la venuta del regno di Dio.
Ben presto, attirati dalla sua predicazione, si affiancarono a Francesco quelli che sarebbero diventati suoi inseparabili compagni: Bernardo di Quintavalle, un ricco mercante; Pietro Cattani, dottore in legge; Egidio, contadino. A loro si aggiunsero poco dopo anche Leone, Rufino, Elia, Ginepro e altri, fino al numero di dodici, proprio come gli Apostoli.
Il loro impegno era vivere alla lettera il Vangelo. Senza preoccupazioni teologiche e senza ambizioni riformatrici o contestazioni morali e in obbedienza alle autorità religiose: indicavano così un nuovo stile a chi voleva vivere in carità e povertà all’interno della Chiesa. Il vescovo di Assisi li seguiva con interesse e permise loro di predicare.
Ai primi del 1209 il gruppo si riunì in una capanna nella località di Rivotorto, nella pianura sottostante la città di Assisi, presso la chiesa di Santa Maria degli Angeli, detta “Porziuncola”. Durante un intero anno Francesco trasmise ai compagni i suoi insegnamenti, alternando preghiera, assistenza ai lebbrosi e questua per sostenersi e per riparare le chiese danneggiate.
Poiché ormai essi sconfinavano fuori dalla competenza della diocesi, e ciò poteva procurare problemi, il vescovo Guido consigliò Francesco e il suo gruppo di recarsi a Roma dal papa Innocenzo III. Il loro sodalizio fu approvato oralmente dal Papa. Il quale rimase molto colpito da Francesco, dopo un incontro con lui e i suoi compagni.
Tutta Assisi parlava delle “bizzarrie” di frate Francesco, che viveva in povertà con i compagni laggiù nella pianura e che spesso saliva in città a predicare il Vangelo. Nella primavera del 1209 aveva predicato perfino nella cattedrale di San Rufino. Tra coloro che lo ascoltavano c’era Chiara degli Offreducci, figlia di una nobile famiglia. Colpita dalle sue parole, prese ad innamorarsi dei suoi ideali di povertà evangelica.
Nella notte seguente la Domenica delle Palme del 1211, abbandonò di nascosto la casa paterna e giunse fino alla Porziuncola. Francesco, davanti all’altare della Vergine, le tagliò la bionda e lunga capigliatura, poi l’accompagnò al monastero delle benedettine a Bastia. Solo dopo che Chiara ebbe mostrato ai parenti il segno della sua consacrazione, essi si convinsero a lasciarla stare.
Successivamente Chiara e le compagne che l’avevano raggiunta si spostarono nel piccolo convento annesso alla chiesetta di San Damiano. Nel 1215, a 22 anni, Chiara fu nominata badessa delle “Povere Dame di San Damiano” (poi dette Clarisse). Francesco dettò loro una prima Regola di vita, sostituita più tardi da quella composta dalla stessa Chiara.
Francesco desiderava non solo ricondurre il mondo cristiano agli originari principi evangelici, ma anche raggiungere i non credenti, specie i saraceni. Se in quell’epoca i rapporti fra il mondo cristiano e quello islamico erano sostanzialmente di lotta. Francesco volle capovolgere questa mentalità: nei saraceni vedeva anzitutto dei fratelli a cui annunciare il Vangelo, non con le armi, ma offrendolo con amore: se fosse il caso, dovendo subire anche il martirio.
Mandò per questo i suoi frati anzitutto in Spagna, dove vennero condannati a morte e poi graziati dal Sultano. Un secondo invio fu in Marocco, dove il rischio del martirio si concretizzò: i frati Berardo, Pietro, Accursio, Adiuto e Ottone, mentre predicavano, furono arrestati. Vennero imprigionati, flagellati e infine decapitati il 16 gennaio 1220.
Il ritorno in Portogallo dei corpi dei protomartiri, suscitò la vocazione francescana in un canonico regolare di Sant’Agostino, Ferdinando: divenne quindi frate Antonio, detto di Padova, anche lui destinato agli onori degli altari.
Francesco non si scoraggiò: nel 1219-1220 volle tentare personalmente l’impresa missionaria diretto in Marocco, ma una tempesta spinse la nave sulla costa dalmata. Il secondo tentativo lo fece arrivare in Spagna, ma si ammalò e dovette tornare indietro.
Infine, un terzo tentativo, lo fece approdare in Palestina. Si presentò al sultano egiziano Al-Malik al Kamil, che lo ricevette con onore, ascoltandolo con interesse, pur non convertendosi.
Verso la metà del 1220, Francesco dovette ritornare in Italia per rimettere ordine fra i suoi frati, cresciuti ormai in numero considerevole. Appariva necessario risolvere alcuni problemi di organizzazione, di formazione, di studio, di adattamento alle necessità dell’apostolato in un mondo sempre in evoluzione. Il “Poverello d’Assisi”, come divenne noto, non aveva infatti inteso fondare dei conventi, ma solo delle “fraternità”, piccoli gruppi di fratelli che vivessero in mezzo al mondo, mostrando come la felicità non risiedesse nel possedere i beni materiali, ma nel vivere in perfetta armonia secondo i comandamenti di Dio.
Nell’affollato “capitolo delle stuoie”, tenutosi ad Assisi nel 1221, Francesco autorizzò frate Antonio, venuto da Lisbona, d’insegnare la sacra teologia ai frati, specie a quelli addetti alla predicazione e alle confessioni.
La nuova Regola, dettata da Francesco a frate Leone, fu accolta con soddisfazione dal cardinale protettore dell’Ordine, Ugolino de’ Conti (futuro papa Gregorio IX) e da tutti i frati. Venne approvata il 29 novembre 1223 da papa Onorio III con la bolla “Solet Annuere”: è infatti conosciuta come “Regola bollata”.
In essa si ribadivano la povertà, il lavoro manuale, la predicazione, la missione tra gli infedeli e l’equilibrio tra azione e contemplazione. Si permetteva ai frati di avere delle Case di formazione per i novizi e si stemperò il concetto di divieto della proprietà privata. Di fatto, i seguaci di Francesco erano venuti a costituire un Ordine mendicante, quello dei Frati Minori.
La notte del 24 dicembre 1223, Francesco si sentì invadere il cuore di tenerezza e di slancio. Volle rivivere nella selva di Greccio, vicino Rieti, l’umile nascita di Gesù Bambino. Nacque così la tradizione del Presepio nel mondo cristiano, che fu ripresa dall’arte e dalla devozione popolare lungo i secoli successivi.
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Nell’estate del 1224 Francesco si ritirò sul monte della Verna nel Casentino, insieme ad alcuni dei suoi primi compagni, per prepararsi con un digiuno di quaranta giorni alla festa di san Michele arcangelo. La mattina del 14 settembre, festa della Esaltazione della Santa Croce, mentre pregava su un fianco del monte, vide scendere dal cielo un serafino con sei ali di fiamma e di luce, che gli si avvicinò in volo rimanendo sospeso nell’aria.
Fra le ali del serafino, Francesco vide lampeggiare la figura di un uomo con mani e piedi distesi e inchiodati ad una croce. Quando la visione scomparve, lasciò nel cuore del frate un ammirabile ardore e nella carne i segni della crocifissione.
Per la prima volta nella storia della santità cattolica si era verificato il prodigio delle stimmate.
Disceso dalla Verna, visibilmente dolorante e trasformato, volle ritornare ad Assisi. Era anche prostrato da varie malattie, allo stomaco, alla milza e al fegato, con frequenti emottisi. Inoltre la vista lo stava lasciando, a causa di un tracoma contratto durante il suo viaggio in Oriente.
Dopo le ultime prediche all’inizio del 1225, Francesco si rifugiò a San Damiano, nel piccolo convento annesso alla chiesetta da lui restaurata tanti anni prima, dove vivevano Chiara e le sue sorelle.
In quel luogo compose il “Cantico di frate Sole” o “Cantico delle Creature”, dal quale si comprende quanto Francesco fosse penetrato nella più intima realtà della natura, contemplando in ogni creatura la presenza di Dio. In seguito, ospite per un certo tempo nel palazzo vescovile, dettò anche il suo famoso «Testamento», l’ultimo messaggio ai suoi figli, affinché rimanessero fedeli a “madonna Povertà”. In esso affermò: «Nessuno mi insegnava quel che io dovevo fare; ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo il Santo Vangelo».
Per l’interessamento del cardinale Ugolino e di frate Elia, Francesco accettò di sottoporsi alle cure dei medici della corte papale a Rieti, poi ancora a Fabriano, Siena e Cortona. Nell’estate del 1226 non solo non era migliorato, ma si fece sempre più evidente il sorgere di un’altra grave malattia: l’idropisia.
Dopo un’altra sosta a Bagnara, sulle montagne vicino a Nocera Umbra, perché potesse avere un po’ di refrigerio, i frati visto l’aggravarsi delle sue condizioni, decisero di trasportarlo ad Assisi e su sua richiesta all’amata Porziuncola.
Francesco morì in quel luogo la sera del 3 ottobre 1226, adagiato sulla nuda terra.
Secondo la leggenda le allodole, amanti della luce e timorose del buio, nonostante che fosse già sera, vennero a roteare sul tetto dell’infermeria. Appariva quasi un ultimo saluto a colui che un giorno, fra Camara e Bevagna, aveva invitato gli uccelli a cantare lodando il Signore, e che in un’altra occasione, in un campo verso Montefalco, aveva tenuto loro una predica.
La mattina del 4 ottobre, il suo corpo di Francesco fu traslato con una solenne processione dalla Porziuncola alla chiesa parrocchiale di San Giorgio ad Assisi, dove era stato battezzato e dove aveva cominciato, nel 1208, la sua predicazione. Lungo il percorso il corteo si fermò a San Damiano, dove la cassa fu aperta, affinché santa Chiara e le sue compagne potessero vedere un’ultima volta il suo viso.
Il 16 luglio 1228, papa Gregorio IX, a meno di due anni dalla morte, lo proclamò santo, fissandone la memoria liturgica al 4 ottobre. I suoi resti mortali rimasero nella chiesa di San Giorgio rimase tumulato fino al 1230, quando venne portato nella Basilica a lui dedicata, precisamente nella Basilica Inferiore, fatta costruire da frate Elia.
Gli episodi della sua vita e dei suoi primi seguaci, furono raccolti e narrati nei «Fioretti di San Francesco», opera di un anonimo trecentesco, che contribuì nel tempo alla larga diffusione del suo culto, unitamente alla prima e seconda «Vita», scritte dal suo discepolo Tommaso da Celano (1190-1260), su richiesta di papa Gregorio IX.
Alcuni episodi sono entrati nell’iconografia del santo e riprodotti dall’arte, come la predica agli uccelli, il roseto in cui si rotolò per sfuggire alla tentazione, il lupo che ammansì a Gubbio, l’impressione delle Stimmate.
San Francesco è patrono dell’Umbria e di molte città, fra le quali San Francisco negli USA che da lui prese il nome. Innumerevoli sono le chiese, le parrocchie, i conventi, i luoghi pubblici che portano il suo nome. Tanti altri santi e beati, venuti dopo di lui, ebbero al battesimo o adottarono nella vita religiosa il suo nome.
Papa Pio XII, con il Breve pontificio «La sollecita cura» del 18 giugno 1939, proclamò Patroni Primari d’Italia lui e santa Caterina da Siena. Anche i Lupetti e le Coccinelle dell’AGESCI (Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani) lo considerano loro patrono.
L’Ordine dei Frati Minori si propagò rapidamente: vivente ancora il fondatore, annoverava già 13 Province. Il suo massimo responsabile prese il titolo di Ministro Generale. Le Costituzioni furono redatte da fra Bonaventura da Bagnoregio, anche lui canonizzato.
Mentre ancora l’organizzazione si stava consolidando, scoppiarono i primi contrasti. I membri dell’Ordine si divisero in due fazioni: la prima intendeva adottare forme meno severe di vita comunitaria e prescindere dall’obbligo assoluto della povertà, al fine di rendere meno difficile lo sviluppo dell’Ordine stesso. La seconda, al contrario, si proponeva di uniformarsi alla lettera e allo spirito delle norme lasciate dal fondatore.
I numerosi tentativi per placare i dissensi non ebbero effetto, anzi questi si acuirono di più quando Gregorio IX, con la bolla «Quo elongati» (1230), concesse ai frati di ricevere beni e di amministrarli per le loro esigenze.
Nel campo opposto, le correnti degli “Spirituali” e dei “Fraticelli”, portavano avanti un programma di rinnovamento religioso misto a una rinascita politico-sociale, che sarebbe dovuto sfociare nell’avvento del regno dello Spirito; tuttavia, si attirarono scomuniche e persecuzioni dalle autorità ecclesiastiche e feudali. La divisione tra Frati Minori Osservanti e Conventuali fu sancita ufficialmente nel 1517 da papa Leone X.
Nel 1525 papa Clemente VII approvò il nuovo ramo dei frati Cappuccini: guidati dal frate Matteo da Bascio della Marca d’Ancona, Osservante, erano dediti ad una più austera disciplina, alla povertà assoluta e alla vita eremitica.
Altre famiglie francescane riformate sorsero nei secoli (Alcantarini, Riformati, Amadeiti), in seno o a fianco degli Osservanti, ma tutte obbedivano al Ministro Generale dell’Osservanza. Ai membri delle varie famiglie dell’Osservanza papa Leone XIII, nel 1897, ingiunse di prendere il nome comune di Frati Minori.
L’Ordine francescano comprende quindi tre rami: il Primo Ordine, ossia i frati (sacerdoti e non), il Secondo Ordine, rappresentato dalle monache Clarisse, e il Terz’Ordine, fondato dallo stesso san Francesco nel 1221 per raccogliere i numerosi seguaci già sposati o comunque laici.
Oltre alle pratiche religiose e ascetiche, i Frati Minori sono tuttora dediti alla predicazione, all’apostolato e all’opera missionaria. Fonte santiebeati.it/Antonio Borrelli
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