Bartolo Longo nacque a Latiano, in provincia di Brindisi, ma si trasferì a Napoli per studiarvi Giurisprudenza. Messo in crisi nella fede dalle idee atee e materialistiche, si lasciò coinvolgere nelle pratiche dello spiritismo. Aiutato da un gruppo di santi amici e da saggi consiglieri spirituali, riprese ad accostarsi ai Sacramenti.
Inviato dalla contessa Marianna Farnararo vedova De Fusco come amministratore dei suoi beni fondiari nella cittadina di Valle di Pompei, si diede alla diffusione della preghiera del Santo Rosario tra i contadini, bisognosi di riscatto morale e spirituale. Convinto che «chi propaga il Rosario è salvo», costruì non solo una chiesa più grande di quella preesistente, ma un vero e proprio Santuario, con opere caritative annesse. Sposò la contessa per mettere a tacere i pettegolezzi sul loro conto: con lei fu padre degli orfani e dei poveri. Fino all’ultimo scrisse, pregò, lavorò instancabile per la Madonna, la sua dolce Regina e Signora. Morì a Pompei il 5 ottobre 1926. È stato beatificato il 26 ottobre 1980. I suoi resti mortali sono venerati nella cappella a lui dedicata, annessa al Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei.
Etimologia: Bartolo = figlio del valoroso, dall’aramaico
Martirologio Romano: A Pompei presso Napoli, beato Bartolomeo Longo: avvocato dedito al culto mariano e all’istruzione cristiana dei contadini e dei fanciulli, fondò, con l’aiuto della pia moglie, il santuario del Rosario a Pompei e la Congregazione delle Suore che porta lo stesso titolo.
Golia fu vinto non da un uomo più forte di lui, ma da Davide, credente in Dio. La «fede muove le montagne». È esattamente ciò che accadde nella vita del Beato Bartolo Longo (1841-1926). Negli anni del liberalismo risorgimentale e dell’Unità d’Italia, a Napoli, in particolare in ambito accademico, imperava un forte anticlericalismo. Bartolo Longo, dopo la lettura del libro Le Vie de Jésus del filosofo francese Ernest Renan, aderì al più aggressivo anticlericalismo, seguendo anche le lezioni di Lettere e Filosofia di alcuni professori apertamente anticattolici come Augusto Vera, Bertrando Spaventa e Luigi Settembrini: i loro corsi erano improntati al positivismo dominante, dove veniva negata la realtà soprannaturale.
Contemporaneamente a quella cultura positivista si diffondeva lo spiritismo: la ragione doveva comprendere l’esistenza o meno di un mondo ultraterreno. Longo, affascinato da quelle curiosità dell’oltretomba, si avvicinò a un movimento spiritista di stampo satanico e per circa un anno e mezzo familiarizzò con il satanismo. Quella tragica scelta lo portò ad una crisi spaventosa che un suo amico risolse con il suicidio, mentre per Longo fu la salvezza.
L’amico Vincenzo Pepe, uomo molto religioso, lo inviò alla direzione spirituale del domenicano Padre Radente, il quale lo convertì e lo invitò ad entrare nel Terzo Ordine di San Domenico. Fu proprio attraverso i Domenicani che Longo scoprì la devozione per la Madonna del Rosario e trovando notevole giovamento spirituale proprio nel Rosario volle ritornare dai suoi ex-compagni satanisti nel tentativo di condurli a Cristo, ma il suo impegno fu vano e venne deriso.
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Nel 1864 si laureò in giurisprudenza e si prodigò in opere assistenziali. A Napoli conobbe il futuro santo Ludovico da Casoria e la futura santa Caterina Volpicelli. Nella Casa Centrale che quest’ultima aprì nel capoluogo campano, Longo conobbe la contessa Marianna Farnararo De Fusco (1836-1924), donna di grande fede e carità. Rimasta vedova, con 5 figli e a 27 anni, del conte Albenzio De Fusco di Lettere, ella necessitava di un abile e fidato amministratore per i suoi beni (i cui possedimenti si estendevano anche nella Valle di Pompei), nonché di un precettore per i suoi bambini e vide in Longo l’uomo giusto per assolvere quei compiti. Sia Bartolo che Marianna praticavano un instancabile soccorso verso il prossimo sofferente e quest’alacre attività veniva alimentata con i sacramenti e l’assidua preghiera.
La loro adamantina amicizia diede luogo ad invidie e maldicenze, per tale ragione, dopo un’udienza concessa da Papa Leone XIII, decisero di sposarsi nel 1885 con il proposito di continuare a vivere come buoni amici, amandosi in Dio, come avevano fatto fino ad allora. Proprio da questo legame cristiano sorse il Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei. Un giorno, vagando per i campi pompeiani, in contrada Arpaia, Bartolo sentì una voce misteriosa che gli diceva: «Se propaghi il Rosario, sarai salvo!»; subito dopo udì l’eco di una campana lontana, che suonava l’Angelus di mezzogiorno, egli si inginocchiò sulla nuda terra e pregò. Mai aveva sentito una pace interiore tanto grande. Ormai conosceva la sua missione in terra.
Nel 1877 Bartolo Longo scrisse e divulgò la pratica dei «Quindici Sabati». Due anni dopo guarì lui stesso da una grave malattia grazie alla recita della Novena da lui composta e della quale ci furono, immediatamente, novecento edizioni, in ventidue lingue. Il 14 ottobre 1883, ventimila pellegrini, riuniti a Pompei recitarono, per la prima volta, la Supplica alla Vergine del Rosario, scritta da Longo, che seguì le esortazioni dell’Enciclica Supremi Apostolatus Officio (1º settembre 1883), con la quale Leone XIII, di fronte ai mali della società, additava come rimedio la recita del Rosario.
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Nel 1925, un anno prima della morte, sarà insignito del titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Negli ultimi mesi di vita, Bartolo Longo poté godere dell’amicizia di san Giuseppe Moscati che spesso incontrava per consulti medici. Moscati stimava molto il fondatore del Santuario di Pompei e quando l’amico lasciò la terra, pur non essendo accanto a lui, egli avvertì la dipartita e l’annunciò: «Bartolo è passato in cielo». Le sue ultime parole erano state: «Il mio unico desiderio è quello di vedere Maria, che mi ha salvato e mi salverà dalle grinfie di Satana».
Autore: Cristina Siccardi