San Raffaele Guízar Valencia, vescovo di Vera Cruz in Messico, che in tempo di persecuzione, benché esule e clandestino, esercitò con coraggio l’ufficio episcopale.
Rafael Guízar Valencia nasce il 26 aprile 1878 a Michoacán,in Messico. Era figlio una donna facoltosa, discendente da una delle famiglie più distinte della città, che, oltre ad allevare 11 figli, trovò il tempo di andare nei bassifondi e lavare gli indumenti dei lebbrosi. Questa donna gli insegnò la carità, quella non fatta di parole ma di gesti concreti; morirà quando lui ha soltanto nove anni.
A 13 anni entra in seminario, credendo di sentire la vocazione al sacerdozio. Ma arriva una grossa crisi e torna a casa, a lavorare nelle varie fattorie di papà. Dove però resta poco perché, passata la crisi e tornato il sereno, riaffiora e si rafforza la vocazione e Rafael torna in seminario.
Si dedicò alla predicazione e alle missioni popolari, quest’ultimo è un settore in cui riesce ad esprimere davvero il meglio di sé. Il 3 giugno 1903 fondò la Congregazione di Nostra Signora della Speranza , diretta da suo fratello don Antonio, con lo scopo di offrire gratuitamente le missioni al popolo, nelle diocesi più povere di mezzi e di clero.
Sono anni di lavoro intenso, di abbondanti frutti spirituali e di grosse umiliazioni. Il suo vescovo, infatti, lo sospende per due anni dalla predicazione e padre Rafael accetta questa prova con umiltà e ubbidienza, aspettando pazientemente che la bufera passi.
Riabilitato alla morte del vescovo, vive lo scoppio della Rivoluzione Messicana, che vuole imbavagliare la Chiesa, scagliandole contro una violenta campagna di stampa.
Don Rafael reagisce come sa e come può, impiantando a Città del Messico una moderna tipografia per stampare un combattivo giornale cattolico «La Nación». Che però ha vita breve, perché i Rivoluzionari lo soffocano quasi subito. Allora predica, incoraggia i fedeli, accompagna i moribondi, per lo più agendo in incognito, travestendosi ora da venditore ambulante, ora da medico o da musicante, pur di riuscire a continuare ad amministrare di nascosto i sacramenti.
Condannato a morte, per due volte riesce a scampare alla fucilazione addirittura davanti al plotone già schierato, ma deve fuggire prima negli Stati Uniti, poi in Guatemala, infine a Cuba, dove svolge una intensa attività missionaria e dove lo raggiunge l’inaspettata notizia che Benedetto XV lo ha nominato vescovo.
Gli affidano la diocesi messicana di Veracruz: 46.000 chilometri quadrati da visitare, incoraggiare, sostenere, evangelizzare. Può lavorare in pace solo pochi anni, perché contro di lui nuovamente si scatena la persecuzione.
Viene mandato in esilio negli Stati Uniti, dove continua a predicare, non mancando di seguire e incoraggiare tramite lettera la sua diocesi. In essa può tornare solo pochi mesi prima della morte.
Nel dicembre 1937, mentre predicava una missione a Cordoba, fu colpito da un attacco cardiaco, che lo costrinse definitivamente a letto.
Morì il 6 giugno 1938 a Città del Messico, dov’era ricoverato.
La sua salma fu portata a Xalapa (poi diocesi e capitale dello Stato di Veracruz), dove si svolsero i trionfali funerali. La sua tomba nella cattedrale della città divenne meta di migliaia di pellegrini.
Giovanni Paolo II nel 1995 lo ha proclamato beato, mentre Benedetto XVI lo ha canonizzato nel 2006.
I miracoli attribuiti alla sua intercessione che lo hanno portato sugli altari riguardano entrambi i bambini: un concepimento “impossibile” per la scienza medica e la nascita di un bambino, prodigiosamente sano malgrado una diagnosi prenatale terribile.
(Fonte santiebeati.it – Autore: Gianpiero Pettiti)
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