Etimologia: Vincenzo = vittorioso, dal latino
Vincenzo Grossi nasce a Pizzighettone, in provincia di Cremona, il 9 marzo 1845 e fu subito battezzato nella chiesa parrocchiale di San Bassiano. Era il penultimo dei dieci figli di Baldassarre Grossi e Maddalena Cappellini, proprietari di un mulino. Da loro imparò la mitezza e la laboriosità, unite a un sincero amore per Dio. Trascorse l’infanzia aiutando i genitori e iniziando a coltivare, nella preghiera, il desiderio di assomigliare a suo fratello Giuseppe, che frequentava il Seminario diocesano. Il 23 marzo 1854 ricevette la Cresima e, due anni dopo, la Prima Comunione.
È allora che manifestò al suo parroco, don Giuseppe Favenza, e ai genitori di aver capito di dover diventare sacerdote. Da parte dei familiari non ci fu opposizione, ma si limitarono a fargli presente che potevano ancora aver bisogno di lui; inoltre, avendo già l’altro figlio che studiava da prete, non potevano permettersi le spese per entrambi. Così, mentre lavorava col padre nella consegna dei sacchi di farina, il ragazzo si ritagliava del tempo per studiare privatamente, sotto la guida del parroco, le materie del ginnasio.
A diciannove anni, il 4 novembre 1864, Vincenzo è ammesso nel Seminario di Cremona, dopo aver sostenuto gli esami del ginnasio. Nonostante la sospensione della frequenza del seminario a motivo della seconda guerra d’indipendenza e di una epidemia di colera, durante la quale la struttura fu adibita a ospedale, riportò sempre un lodevole profitto. I suoi formatori capirono che faceva sul serio non solo in quell’ambiente, ma anche fuori: quando tornava a Pizzighettone, infatti, radunava attorno a sé i bambini e i ragazzi per istruirli e farli giocare.
Nell’epoca della controversa “questione romana” non si tenne a distanza dal problema, ma, grazie agli incontri che il fratello don Giuseppe organizzava nella propria canonica, su questo e altri argomenti ecclesiali, maturò gli strumenti per giudicare correttamente la situazione e per crescere in un atteggiamento che lo avrebbe portato a privilegiare l’impronta pastorale nel suo ministero.
Nel febbraio 1869 ricevette gli Ordini minori e, il 22 maggio successivo, fu ordinato sacerdote dal vescovo di Brescia, monsignor Girolamo Verzieri, essendo vacante la sede di Cremona per la morte del vescovo, monsignor Giuseppe Antonio Novasconi. I suoi primi incarichi furono nelle parrocchie di San Rocco in Gera di Pizzighettone e a Sesto Cremonese, seguiti, nel 1871, da quello come economo spirituale (una scappatoia da parte del vescovo per nominare parroci senza indispettire le autorità civili) a Ca’ dei Soresini.
Il primo mandato effettivo come parroco fu dal 1873, a Regona, piccola frazione di Pizzighettone. La popolazione del luogo era da tempo lontana dalla pratica religiosa, ma don Vincenzo vi si dedicò con tanta cura che dopo pochi anni trasformò il piccolo borgo in un “conventino”, come appunto venne definito dai suoi confratelli. La passione per i giovani non l’aveva abbandonato: concedeva loro non solo di frequentare assiduamente la sua casa ma perfino di svuotargli la dispensa, con rammarico della perpetua, purché stessero lontani dai luoghi e dalle compagnie pericolosi.
Per le ragazze, in particolare, aveva una sincera preoccupazione . In significativa consonanza con l’operato svolto in quegli stessi anni, da alcuni laici della diocesi di Milano e con quello che san Giovanni Bosco andava compiendo a Torino, diede il nome di “oratorio” al piccolo locale che era riuscito a ricavare nella sua canonica, perché le sue giovani parrocchiane potessero svagarsi in tranquillità.
Si occupò anche dei restauri della chiesa parrocchiale, ma senza trascurare i compiti più strettamente inerenti al ministero: confessare, curare la liturgia, occuparsi della formazione dei fedeli. La sua fama di predicatore valicò i confini parrocchiali prima e diocesani poi, così da farlo chiamare a predicare nelle missioni popolari. A volte era da solo, altre in collaborazione con sacerdoti amici, come i lodigiani don Luigi e don Pietro Domenico Trabattoni (quest’ultimo è Venerabile dal 1977).
Tutto questo lavoro, già enorme, non appagava completamente don Vincenzo. Vivendo in continuo contatto con la popolazione delle campagne, si era reso conto che la gioventù cresceva in situazioni molto fragili e complicate. C’erano però delle brave ragazze, che gli avevano chiesto di far loro da direttore spirituale: una di loro, Vittoria Squintani, oltre ad essere un’apostola tra la gioventù della sua parrocchia, si era offerta vittima per la santificazione dei sacerdoti. Lui stesso, di fronte alla decadenza spirituale del clero del tempo, era consapevole di questa necessità: vide quindi in lei un prezioso strumento per comprendere più chiaramente la sua nuova missione.
Prese quindi a radunare alcune delle sue assistite e ad avviarle alla vita comune tra loro. La morte di Vittoria, a soli ventinove anni, sembrò vanificare quei primi passi, ma l’incontro con un’anima affine alla sua, Maria Caccialanza, lo spinse a continuare.
Nel 1883 don Vincenzo fu pronto a una nuova obbedienza: il vescovo, monsignor Geremia Bonomelli, lo destinava come parroco a Vicobellignano. La sua presenza era stata riconosciuta come la più provvidenziale, in quel territorio dove aveva preso piede il protestantesimo, nella sua declinazione metodista.
Da subito, mostrò gran carità e apertura anche verso quei fratelli: «I metodisti devono comprendere che amo anche loro», diceva spesso, raccogliendosi in preghiera. Gli effetti si notarono: lo stesso pastore venne più volte ad ascoltare le sue prediche quaresimali e le famiglie protestanti mandavano i loro figli alla scuola parrocchiale.
La nuova destinazione, che lo allontanava di molto da Regona, non fece desistere don Vincenzo dal progetto della nuova comunità femminile. Il nome scelto fu quello di “Figlie dell’Oratorio”. Non tanto per indicare il luogo privilegiato del loro operato, quanto per richiamarle a un modello spirituale ben preciso. In primis la letizia spirituale o, come preferiva chiamarla, la “santa giovialità” di san Filippo Neri, fondatore della Congregazione dell’Oratorio. Non volle che portassero un abito definito, per avvicinare meglio le giovani, ma le desiderava religiose serie e convinte. Si occupava personalmente della loro formazione tenendo periodiche conferenze, esercizi spirituali annuali e inviando loro numerose lettere.
Le prime basi per il nascente Istituto furono poste nel 1885 a Pizzighettone. Come sorella maggiore di quel primo gruppo, nel 1895, fu scelta suor Maria Caccialanza, la quale però morì il 5 settembre 1900. A succederle fu Ledovina Scaglioni, la prima Madre generale.
L’approvazione diocesana, intanto, tardava ad arrivare. Monsignor Bonomelli, infatti, dopo alcune esperienze infelici verificatesi in diocesi, non era molto propenso all’apertura di nuove comunità religiose; per questo motivo, rimandò di qualche tempo l’analisi delle Costituzioni. Alla fine diede il suo assenso il 20 giugno 1901.
Nel frattempo le Figlie dell’Oratorio avevano aperto una casa a Maleo col benestare del vescovo di Lodi, Giovanni Battista Rota, e altre comunità nella Diocesi di Guastalla, ma per garantire la formazione scolastica di quelle tra loro che avrebbero dovuto dedicarsi all’insegnamento, fu scelta la città di Lodi, dove si decise di acquistare una casa in via Paolo Gorini: divenne quella la Casa madre.
Don Vincenzo si divideva tra la parrocchia e le suore e proseguì anche nei difficili anni del primo conflitto mondiale. Il peso degli anni e l’angoscia per non poter raccogliere nella parrocchia i frutti sperati di una semina abbondante lo spinsero a ipotizzare di ritirarsi a Lodi. Il vescovo però lo dissuase, suggerendogli di attendere la fine della guerra.
Nel 1917, mentre si trovava a Lodi per sistemare alcune faccende urgenti per l’Istituto, si sentì male. Nonostante i dolori allo stomaco, indizi di una peritonite fulminante, volle tornare a Vicobellignano. Nei primi giorni di novembre le sue condizioni si aggravarono, tanto che le suore di Lodi accorsero per ricevere da lui un’ultima benedizione. Faticava a parlare, ma poté pronunciare solo pochissime parole: «La via è aperta: bisogna andare». Alle 21.45 del 7 novembre, don Vincenzo rese l’anima a Dio. Aveva 72 anni ed era parroco da 43.
Le Figlie dell’Oratorio ricevettero l’approvazione pontificia il 29 aprile 1926: attualmente sono diffuse, oltre che in Italia, in Argentina ed Ecuador. Nel frattempo, la fama di santità del loro Fondatore non venne meno, tanto da domandare l’apertura della sua causa di beatificazione.
Nel 1947, in diocesi di Lodi, fu aperto il processo informativo sulle sue virtù eroiche, passato in fase romana il 2 aprile 1954. Col decreto promulgato il 6 maggio 1969, don Vincenzo è dichiarato Venerabile! La celebrazione della sua beatificazione è avvenuta a Roma dal Beato Paolo VI il 1° novembre dell’Anno Santo 1975.
Il secondo miracolo, necessario per la canonizzazione (il primo fu la guarigione di una religiosa), avvenne proprio pochi anni dopo quell’evento. Una neonata di Pizzighettone, affetta da anemia eritropoietina di tipo 2, non poté ricevere un trapianto di midollo in quanto nessun suo familiare risultò compatibile. Mentre la piccola era mantenuta in vita tramite trasfusioni e cure palliative, una Figlia dell’Oratorio invitò i familiari a pregare il suo Fondatore. Dopo un breve periodo, l’ammalata risultò completamente guarita. Dopo un’accurata indagine da parte del Tribunale ecclesiastico di Cremona, il caso passò all’esame delle commissioni medica e teologica della Congregazione Vaticana per le Cause dei Santi.
Ricevendo in udienza privata il Prefetto della Congregazione, il cardinal Angelo Amato, papa Francesco ha firmato il 5 maggio 2015 il decreto con cui quella guarigione era definita miracolosa e avvenuta per intercessione del Beato. La sua canonizzazione è avvenuta insieme a quella dei coniugi Martin e di madre Maria dell’Immacolata Concezione (María Isabel Salvat Romero). Celebrata a Roma il 18 ottobre 2015, nel corso della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Il tema era «La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo».
I resti mortali di san Vincenzo Grossi, già traslati nel 1944 dal cimitero di Vicobellignano a quello di Lodi, vennero collocati nel 1947 in un apposito sacello nella cappella della Casa madre delle Figlie dell’Oratorio, in via Paolo Gorini 27 a Lodi, dove tuttora riposano.
(Con l’approvazione del Vescovo di Lodi)
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Fonte www.santiebeati.it – Emilia Flocchini e suor Rita Bonfrate, FDO
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