La leggenda, riferita da Guglielmo Baldesano verso la fine del sec. XVI, raccontava di un Teofredo o Chiaffredo o Jafredo, soldato della famosa legione tebea di stanza in Gallia, fuggito in Piemonte per non sacrificare agli idoli e martirizzato a Crissolo nel 270, sotto Diocleziano e Massimiano. La leggenda, logicamente, non ha alcun fondamento storico, poiché è poco probabile che un legionario del sec. III portasse un nome di così chiara impronta germanica (radice gotica iuda); sembra, inoltre, che il sepolcreto di Crissolo, del quale faceva parte il sarcofago di Chiaffredo, fosse riservato esclusivamente a pagani. F. Alessio, nel 1902, avanzò l’ipotesi che Chiaffredo fosse da identificare con Teofredo, abate del monastero di Calmiliac presso Puy-en-Velay, ucciso dai Saraceni tra il 728 e il 732 e venerato anche in Piemonte; se si accetta questa identificazione, resterebbe da spiegare la presenza di due corpi del santo, uno a Puy e l’altro a Crissolo.
In data odierna il calendario liturgico della diocesi di Saluzzo (Cn) riporta la festa di “San Chiaffredo martire”, che tale Chiesa locale venera come patrono principale. Per meglio comprendere l’origine del culto di questo presunto intrepido testimone della fede cristiana, occorre però ripercorrere brevemente la vicenda della celebre Legione Tebea, alla quale la pietà popolare ha leggendariamente arruolato il santo oggi in questione.
Al 22 settembre il nuovo Martyrologium Romanum cita così questo glorioso esercito: “A Saint-Maurice-en-Valais in Svizzera, ricordo dei Santi martiri Maurizio, Essuperio, Candido, soldati, che, come narra Sant’Eucherio di Lione, con i loro compagni della Legione Tebana e il veterano Vittore, nobilitarono la storia della Chiesa con la loro gloriosa passione, venendo uccisi per Cristo sotto l’imperatore Massimiano”. Seppur sinteticamente, sono così ben riassunte le poche certezze che danno un fondamento storico al vasto culto sviluppatosi in tutta Europa ed in particolare sulle Alpi. Secondo cronache redatte in un tempo successivo furono solo due i soldati che riuscirono a scampare al sanguinoso eccidio, ma presto iniziarono a fiorire leggende su altri soldati che trovarono rifugio in svariate località, intraprendendo una capillare opera di evangelizzazione e subendo poi anch’essi il martirio.
Se ne contano all’incirca 400, di cui quasi una sessantina solo in Piemonte, tra i quali i santi oggi in questione, agganciati all’ormai proliferante ed avvincente Legione dalla fantasia di alcuni agiografi che nulla conoscevano di certo relativamente a questi antichi martiri.
Assai bizzarro è in realtà il contesto in cui nacque il culto di questo anonimo santo. Pare infatti, come narra un antica leggenda, che all’inizio del sec. XIV, nell’allora sperduta località di Crissolo, oggi in provincia di Cuneo, svariate volte una persona cadde da un dirupo senza riportare alcun danno fisico. La cosa destò stupore tra i testimoni dell’accaduto, facendoli gridare al miracolo. Il casuale rinvenimento operato da un contadino, arando il terreno ai piedi del dirupo, di un sarcofago contenente i resti di un corpo umano, fece supporre alla popolazione locale che si trattasse di un ipotetico santo per la cui intercessione si era salvato da più incidenti il loro compaesano, tutto ciò si disse in seguito a rivelazione divina. Nel dialetto locale a questo misterioso personaggio fu attribuito il nome di “San Ciafrè” e sulla sua tomba sorse il celebre santuario di Crissolo.
Su quest’ultimo le prime notizie certe risalgono al 1387, qualora da Avignone un “Breve” del papa Clemente VII concedette indulgenze a chi avesse fatto visita a tale chiesa ed avesse offerto il proprio contributo per le necessarie riparazioni. La leggenda tramandata da Guglielmo Baldesano verso la fine del XVI secolo, narrò di un certo Teofredo o Chiaffredo o Jafredo, questi i nomi con cui ancora oggi viene talvolta indicato, soldato della famosa legione tebea di stanza in Gallia, fuggito poi in Piemonte per non sacrificare agli idoli e martirizzato a Crissolo nel 270 circa, sotto gli imperatori Diocleziano e Massimiano. La leggenda non ha evidentemente alcun fondamento storico, poiché è infatti ben poco probabile che un legionario del III secolo portasse un nome di così chiara impronta germanica. Pare inoltre che il sepolcreto di Crissolo, del quale faceva parte il sarcofago di Chiaffredo, fosse riservato esclusivamente a pagani.
Nel 1902 uno studioso avanzò l’azzardata ipotesi che Chiaffredo fosse da identificarsi con Teofredo, abate del monastero di Calmiliac presso Puy-en-Velay, ucciso dai Saraceni nell’VIII secolo e venerato anche in Piemonte. Se però si prende per buona questa identificazione, resterebbe inspiegata la presenza di due corpi del santo a Puy ed a Crissolo. Il corpo di San Chiaffredo fu trasferito prima nel castello di Revello nel 1593, poi nel duomo di Saluzzo nel 1642.
Il vescovo di Saluzzo monsignor Tornabuoni, in occasione del sinodo del 1516, estese all’intera diocesi il culto del santo, eleggendolo quale celeste patrono insieme con l’altro celebre soldato tebeo San Costanzo. Le statue dei due martiri svettano infatti ai lati dell’altar maggiore della cattedrale saluzzese.
Il presupposto che San Chiaffredo abbia militato nella Legione Tebea gli ha simbolicamente conferito la nazionalità egiziana, fattore che ha contribuito alla diffusione del suo culto anche presso la Chiesa Copta, che venera dunque tanto San Maurizio quanto tutti quei suoi leggendari compagni il cui ricordo è tramandato in un qualche piccolo santuario d’Europa.
L’iconografia relativa a San Chiaffredo è solita presentarlo con tutti gli attributi tipici dei soldati tebei: la palma del martirio, la spada, lo stendardo con croce rossa in campo bianco e la Croce Mauriziana, cioè trilobata, sul petto.
L’assenza di una citazione esplicita di San Chiaffredo sul Martyrologium Romanum, come d’altronde di gran parte dei martiri pseudo-tebei, è giustificata dalla volontà di evitare un’eccessiva proliferazione di santi storicamente incerti, preferendo dunque così comprendere tutti i presunti compagni di San Maurizio nella celebrazione del 22 settembre e riservando alla Chiese locali la facoltà di inserire nei calendari diocesani le loro festività proprie nelle date tradizionali.
Di Fabio Arduino
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