Il viaggio in Sri Lanka con la fondazione pontificia “Aiuto alla Chiesa che soffre”, vicina al Paese asiatico con una serie di progetti, è un cammino tra luoghi di martirio. Il santuario dedicato a Sant’Antonio da Padova porta i drammatici e devastanti segni dell’attacco compiuto lo scorso 21 aprile. Sono state otto, complessivamente, le esplosioni che hanno seminato morte e terrore in Sri Lanka. La prima è avvenuta in questo santuario, in una zona periferica di Colombo. È trascorso quasi un mese da quel giorno. Nel Santuario, che conserva profonde ferite, sono iniziati i lavori di ricostruzione finanziati dal governo.
Agli occhi dei fedeli si presenta protetto da ponteggi e impalcature. È difficile immaginare il suo splendore originario. Nel santuario, tanto caro ai cristiani di tutto il Paese, soprattutto i più poveri, ieri si è celebrata la Messa in una stanza della canonica al secondo piano
, affollata di statue di tutte le dimensioni del santo di Padova messe in salvo dopo le esplosioni. Tanti i ragazzi e le ragazze che partecipano alle celebrazioni nonostante le strette misure di sicurezza. Ben 176 di loro sono orfani di almeno uno dei genitori a causa degli attacchi dei fondamentalisti islamici.A Colombo, padre Jule Raj Fernando, rettore del santuario di Sant’Antonio, dove lo stesso giorno sono rimaste uccise un centinaia di persone, e responsabile di Caritas Sri Lanka, dice che ora “la cosa più importante è dare aiuto psicologico a chi è stato colpito, soprattutto ai tanti bambini toccati dagli attacchi, o personalmente o perché hanno visto un genitore morire o restare ferito“.
Nell’incontro con i giornalisti al seguito della missione in Sri Lanka di Aiuto alla Chiesa che Soffre chiedono di non essere dimenticati. Nella chiesa devastata dalla furia fondamentalista – così come in quella di san Sebastiano a Negombo – le celebrazioni riprenderanno nei prossimi mesi. Domani forse, ha detto il cardinale Ranjith arcivescovo di Colombo, riapriranno le scuole cattoliche
. In altre chiese le celebrazioni religiose si svolgono, tra ingenti misure di sicurezza.Le origini della chiesa di Sant’Antonio a Colombo risalgono al periodo della dominazione olandese, nel XVIII secolo, quando il cattolicesimo era bandito dall’isola. Il santuario è stato consacrato nel 1834 e custodisce una statua di Sant’Antonio che contiene una parte della lingua, rimasta incorrotta. Sant’Antonio è il santo più venerato nel Paese e le radici di questa devozione sono profonde. Risalgono al 1500, quando missionari portoghesi hanno attraversato l’oceano Indiano per portare le reliquie del santo nell’isola asiatica.
Il Santuario è visitato da folle di fedeli di ogni lingua e religione anche se solo il 6% degli abitanti dello Sri Lanka, circa 1,7 milioni, sono cattolici. È invece più rilevante il dato riferito al numero complessivo di persone che hanno un legame speciale con sant’Antonio. Nel 2010 le reliquie di Sant’Antonio da Padova sono state portate in tutte le diocesi dell’isola. Oltre tre milioni di persone si sono recate a rendere omaggio al santo. Non solo cristiani, ma anche buddisti, induisti e musulmani.
Il Santuario di Sant’Antonio è dunque uno dei simboli di un’armonia religiosa che, repentinamente e drammaticamente, gli attacchi hanno reso più fragile. La convivenza pacifica resta la via privilegiata, indicata dai leader religiosi e seguita da gran parte della popolazione. Ma in Sri Lanka, dove i buddisti sono la maggioranza (68%), si respira un’atmosfera carica di tensione. I cristiani, poco più del 9%, hanno temono nuovi attacchi. I musulmani, l’8,6%, hanno paura di scontri e violenze come già avvenuto, nei giorni scorsi, nella parte nord occidentale del Paese. Ma una speranza supera ogni divisione: quella di uno Sri Lanka libero dalla piaga del terrorismo.
Fonte (Vatican News – Amedeo Lomonaco)
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