Le ragioni per cui perdiamo la pace sono sempre cattive ragioni
Uno degli aspetti dominanti della lotta spirituale è la lotta sul piano dei pensieri. Spesso consiste nell’opporre a pensieri che provengono dal nostro spirito, dalla mentalità che ci circonda, oppure dal Nemico e che ci turbano, ci spaventano o ci scoraggiano, dei pensieri che possano confortarci e ristabilire in noi la pace. In previsione di questa lotta, « beato l’uomo che piena ha la faretra » (Sai 127) di quelle frecce che sono i buoni pensieri, vale a dire quelle solide convinzioni basate sulla fede, che nutrono l’intelligenza e fortifica¬no il cuore nel momento della prova. Tra queste frecce nella mano dell’eroe, una delle affermazioni che deve esserci sempre presente è che tutte le ragioni che ci fanno perdere la pace sono sempre delle cattive ragioni.
Questa convinzione non può certo basarsi su considerazioni umane, ma è una certezza di fede, fondata sulla parola di Dio. Non poggia sulle ragioni del mondo; Gesù ce lo ha detto chiaramente: « Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la da il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore » (Gv 14,27).
Se cerchiamo la pace come la da il mondo, cioè se ci aspettiamo una pace secondo i criteri di vita che fanno dipendere lo stato interiore dal buon andamento delle cose esteriori, dall’assenza di contraddizioni, dalla realizzazione di tutti i nostri desideri ecc., sicuramente non saremo mai in pace, op¬pure la nostra pace sarà estremamente fragile e di breve durata.
Per noi credenti, il motivo essenziale per il quale possiamo rimanere sempre nella pace non viene dal mondo: « II mio regno non è di questo mondo », dice Gesù (Gv 18,36); vie¬ne dalla fiducia nella promessa del Signore. Quando Egli af¬ferma di donarci la pace, di lasciarci la pace, questa è parola divina ed ha la stessa forza creatrice di quella che ha fatto sorgere dal nulla il ciclo e la terra; lo stesso potere di quella che ha calmato la tempesta o di quella che ha guarito i mala¬ti e resuscitato i morti. Poiché Gesù dice — per ben due volte! — che ci da la sua pace, noi crediamo di averla in possesso e che essa non venga mai ritirata: « I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili » (Rm 11,29). Siamo noi che non sempre li sappiamo accogliere e conservare, perché molto spesso manchiamo di fede. « Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazioni nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo! » (Gv 16,33). In Gesù possiamo sempre dimorare nella pace, perché egli ha vinto il mondo, ha vinto ogni male e pec¬cato, perché è resuscitato dai morti. Con la sua morte ha vinto la morte, ha annullato la sentenza di condanna che gravava su di noi. Ha manifestato la benevolenza di Dio a nostro ri¬guardo. E « se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?… Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? » (Rm 8,31).
Partendo da questo incrollabile fondamento della fede, esamineremo più avanti alcune situazioni nelle quali ci capita sovente di perdere più o meno la pace del cuore, cercando di superarle alla luce dell’insegnamento del Vangelo. Prima però vorremmo far capire quale è, da parte nostra, la condizione fondamentale per essere in grado di ricevere la pace promessa da Gesù.
6. La buona volontà, condizione necessaria alla pace
La pace interiore, di cui trattiamo, dipende fondamentalmente dall’atteggiamento nei confronti di Dio. La pace interiore è dono di Dio, l’uomo che gli si oppone, che più o meno coscientemente lo rifugge o rifugge alcuni dei suoi appelli o delle sue esigenze, non potrà godere di una vera pace. Notiamo però una cosa: quando qualcuno è vicino a Dio. l’ama e desidera servirlo, sarà in grado di ricevere il dono della pace; l’ordinaria strategia, messa in atto dal demonio consisterà nel cercare di fargli perdere questa pace del cuore, mentre Dio, al contrario, viene in suo aiuto per rendergliela. I fattori di questa legge si invertono per una persona il cui cuore è lontano da Dio e che vive nel male e nell’indifferenza: il demonio cercherà di tranquillizzarla, di mantenerla in una falsa pace; mentre invece il Signore, che desidera la sua salvezza e la sua conversione, turberà ed agiterà la sua coscienza per cercare di condurla al pentimento.
La pace di un uomo non può essere profonda e duratura, se egli è lontano da Dio, se la sua più profonda volontà non è interamente orientata verso Lui: « Tu ci hai fatti per te, Signore, ed il nostro cuore è inquieto se non riposa in te » (Sant’Agostino).
Condizione necessaria alla pace interiore è dunque quanto potremmo definire la buona volontà. Si potrebbe parimenti chiamare purezza di cuore. È quella stabile e costante disposizione d’animo dell’uomo deciso ad amare Dio più di ogni altra cosa, sinceramente desideroso di anteporre in tutte le circostanze la volontà di Dio alla sua. Potrà succedere — accadrà sicuramente — che nella vita di tutti i giorni il suo comportamento non sia in perfetta armonia con questo proponi¬mento. Molte imperfezioni si sommeranno nella realizzazione di questo desiderio, ma egli ne soffrirà, ne domanderà perdono al Signore e cercherà di correggersi. Dopo gli smarrimenti eventuali, si sforzerà di rientrare in questo sì a Dio in tutto, senza eccezione.
Ecco cos’è la buona volontà. Non è la perfezione, in quanto può ben coesistere con delle esitazioni, delle imperfezioni, con degli errori, ma è la via verso di essa, perché è proprio questa disposizione abituale del cuore (fondata su virtù quali fede, speranza, carità), che permette alla grazia di Dio di condurci poco a poco alla perfezione. Questa buona volontà, questa abituale determinazione di dire sempre di sì a Dio, nelle grandi come nelle piccole cose, è una conditio sine qua non della pace interiore. Fin quando non avremo acquisito questa determinazione, continueranno a dimorare in noi una certa inquietudine ed una certa tristezza: l’inquietudine di non amare Dio tanto quanto lui ci invita ad amarlo, la tristezza di non avergli ancora donato tutto. Perché l’uomo che ha donato la sua volontà a Dio, in un certo qual modo gli ha già donato tutto. Fin quando il nostro cuore non avrà così trovato la sua armonia, non potremo essere veramente in pace. Esso non sarà unificato che nel momento in cui tutti i nostri desiderare saranno subordinati al desiderio d’amare Dio, di piacere a lui e di fare la sua volontà. Ciò implica, ben inteso, anche la determinazione a staccarci da tutto quanto sarebbe contrario a Dio.
7. La buona volontà, condizione sufficiente alla pace
Possiamo anche affermare che questa buona volontà è sufficiente per mantenere il proprio cuore nella pace, anche se, malgrado ciò, abbiamo ancora molti difetti e mancanze: « Pace in terra agli uomini di buona volontà » (testo latino della Vulgata). In effetti, cosa ci domanda Dio, se non questa buona volontà? Cosa potrebbe pretendere di più, lui che è un Padre buono e compassionevole, quando vede che il suo figlio desidera amarlo sopra ogni cosa, soffre di non amarlo a sufficienza ed è disposto (anche se si ritiene incapace di farlo con la propria forza) a staccarsi da tutto ciò che gli sarebbe contrario? Non sta forse a Dio stesso intervenire per portare a buon fine questi desideri che l’uomo, lasciato alle sue sole capacità, non è in grado di realizzare?
A sostegno di quanto appena detto — cioè che la buona volontà è sufficiente per renderci graditi a Dio e dunque per poter stare nella pace — ecco un episodio della vita di santa Teresa di Gesù Bambino, raccontato da sua sorella Celina: « In una circostanza nella quale suor Teresa m’aveva mostrato tutti i miei difetti, ero triste e un po’ disorientata. Eccomi tanto lontana dalla virtù — pensavo — proprio io che desideravo tanto possederla; vorrei tanto essere dolce, paziente, umile, caritatevole… Ah! non ci riuscirò mai!. Tuttavia la sera, durante la preghiera, lessi che a santa Geltrude, che aveva espresso lo stesso desiderio, nostro Signore aveva risposto: « In tutte le cose e al di sopra di tutto abbi buona volontà; questa sola disposizione donerà alla tua anima lo splendore e il merito speciale di tutte le virtù. Chiunque abbia buona volontà, desiderio sincero di lavorare per la mia gloria, rendermi grazie, partecipare alle mie sofferenze, amarmi e servirmi tanto quanto le creature insieme, riceverà senza dubbio ricompense degne della mia generosità e il suo desiderio sarà talvolta più vantaggio¬so di quanto non lo siano, per altri, le loro buone opere ». Molto contenta per questa buona parola — continua Celina — tutta a mio vantaggio, ne informai la nostra ca¬ra piccola Maestra (Teresa) che rincarò la dose ed aggiunse: « Avete letto quanto è riportato nella vita del padre Surin? Faceva un esorcismo; i demoni gli dissero: “Noi riusciamo a sopraffare tutto; non e ‘è che questa cagna di buona volontà alla quale non riusciamo mai a resistere!”. Ebbene, se non avete virtù, avete almeno una cagnolina che vi salverà da tutti i pericoli; consolatevi, essa vi porterà in paradiso! Ah, qual è l’anima che non desideri possedere la virtù! È la via più comune! Ma quanto poco numerose sono le anime che accettano di cadere e d’essere deboli, che sono contente di vedersi per terra e che gli altri le colgano sul fatto! » (Consigli e ricordi di sr. Geneviève).
Come risalta da questo testo, la concezione che Teresa (la più grande santa dei tempi moderni, secondo il giudizio di Papa Pio XI) aveva della perfezione non è affatto quella a cui ci viene spontaneo pensare… Vediamo adesso come il credente di buona volontà può, alla luce della fede, superare tutte le circostanze nelle quali e tentato di perdere la pace.