Il momento più significativo del viaggio di Francesco, oltre all’incontro al Santo Sepolcro con il patriarca ecumenico Bartolomeo, è certamente quello di Betlemme. È qui che si svolge l’appuntamento con tutti i fedeli della Terra Santa. Ed è stato scelto presso la Natività da Francesco non solo come luogo simbolico per celebrare la messa insieme ma anche per venire incontro ai cristiani palestinesi ai quali non è concesso di poter entrare nello Stato d’Israele. Betlemme è una città accerchiata dal muro eretto dagli israeliani che la separa da Gerusalemme. Vera Baboun è la prima donna sindaco di Betlemme. Ed è anche la prima donna cattolica ad occupare ranghi governativi nello stato palestinese. Quarantanove anni, vedova con cinque figli, è stata docente di letteratura americana all’Università di Betlemme. Dal 2012 è prima cittadina eletta da cristiani e musulmani. E’ stata intervistata da Avvenire:
Come ha vissuto la città la preparazione di questo evento?
La popolazione e le autorità palestinesi hanno lavorato giorno e notte per dare il benvenuto e l’accoglienza a Papa Francesco. I fedeli vengono dallo Stato d’Israele e da tutta la Palestina. È una visita attesa e importante non solo per Betlemme e per i cristiani ma per tutti coloro che vivono in questa terra, perché porta con sé la speranza di un cambiamento.
Cosa significa la visita di papa Francesco in questo momento per i palestinesi?
Papa Francesco arriva in un momento critico per il destino della nazione palestinese. Noi stiamo cercando un futuro migliore. Dobbiamo ripristinare la speranza e costruire un futuro migliore. Ripristinare la speranza è quello di cui più abbiamo bisogno ora. Le attese non sono esclusive dei cristiani: un futuro migliore è atteso da tutti. Papa Francesco con chiarezza di parole e autorità e con i gesti sostiene gli emarginati, i poveri e tutti coloro che sono oppressi e discriminati. È il papa del dialogo e della cultura dell’incontro. Un leader. E io prego che il Papa possa dare con la sua presenza un segno coraggioso.
Quali sono oggi le condizioni in cui vivono le famiglie di Betlemme?
I ventidue insediamenti israeliani hanno intaccato la possibilità di sviluppo sostenibile. Stritolano la nostra economia. Le famiglie di Betlemme soffrono la disoccupazione più alta della Palestina. . Betlemme ha un muro nel confine nord. Quando parliamo di muro non parliamo solo di qualcosa che limita, chiude Betlemme, le sue risorse, le sue interazioni, la possibilità di trovare opportunità di lavoro. Il muro tra Betlemme e Gerusalemme, significa anche separare i due momenti più importanti della salvezza, il momento della nascita e il momento della risurrezione. Interrompere questa strada è qualcosa che ha che fare con il cuore degli uomini. Ha a che fare con la fede e più profondamente con la vita stessa, con la possibilità di salvezza di ognuno.
Cosa significa vivere dentro al muro della separazione?
Il muro imprigiona, restringe la nostra mobilità, la nostra vita. Il muro ci taglia fuori dalla naturale, normale possibilità di vivere. Significa morire. Non siamo animali. Siamo esseri umani. I nostri bambini, i nostri ragazzi hanno diritto ad avere un orizzonte. Il muro taglia loro l’orizzonte della vita, il presente e il futuro. I nostri bambini, i nostri giovani non possono crescere. Non si può crescere dentro un recinto. Un muro fisico diventa anche un muro interiore. Vederlo fa capire cosa significa viverlo. Fare googling intorno al muro non è viverlo. Per questo credo che sia importante che il Papa veda il muro, e passi attraverso di esso. Ma io devo ricordare a tutti che se il Papa può attraversarlo, noi non possiamo oltrepassarlo. Noi non possiamo.
La visita del Papa giunge a poche settimane di distanza dall’accordo siglato da Abu Mazen tra Al Fatah e Hamas. Come considera questo accordo?
La riconciliazione è un dovere. Non possiamo creare una pace esterna se prima noi non siamo riconciliati. Se non c’è unità, una visione unitaria, non si può andare avanti. La riconciliazione tra i figli della stessa nazione era necessaria. Ora siamo sullo stesso piano con obiettivi comuni. Questo è fondamentale affinché si possa progredire nel processo di pace. Sessantatre anni di oppressione e discriminazione sono abbastanza.
Israele tuttavia vede nell’accordo un altro ostacolo al processo di pace…
E’ un problema loro, non nostro. La parti impegnate nei negoziati non possono considerare i fattori solo dal loro punto di vista. La riconciliazione tra i figli della stessa nazione non può che portare conseguenze positive per i cittadini.
In che maniera potrà incidere la visita di Francesco nella vita di Betlemme?
Credo che potrà essere un’opportunità reale per la città e la comunità. Un’opportunità di risveglio. E anche di possibile sviluppo. Avrà certamente un’eco positiva per tutti i palestinesi, cristiani e musulmani che qui da sempre vivono in sintonia.
Lei ha preparato un discorso, una richiesta da presentare al Papa?
No. Non faccio nessun discorso. Lo accoglierò con un dono simbolico. Il momento mi suggerirà le parole con cui lo accompagnerò. I bisogni di Betlemme sono tanti. Soprattutto per quanto riguarda l’emergenza sanitaria. I cittadini hanno espresso l’intenzione di presentare al Papa la possibilità di sostenere la costruzione di un ospedale per malattie cardiache. Di Stefania Falasca fonte Avvenire