Beirut (AsiaNews) – L’annuncio dell’inaugurazione del Califfato islamico da parte di Abu Bakr al Baghdadi rivela un senso di disperazione. Il suo proclama ha una forte impronta ideologica, ma per inaugurare questa nuova epoca del califfato mondiale, ha dovuto cambiare area: non in Siria, dove l’Isis rischiava di essere eliminato dall’esercito di Bashar Assad, ma in Irak, nella parte debole, sunnita, dove il governo non aveva un esercito forte. E si sono fermati facendo questa dichiarazione presuntuosa.
Lo stesso fatto di ridefinirsi non più “Isis” in cui sono presenti i termini “Iraq e Siria”, ma semplicemente ‟Stato Islamico”, come qualcosa di mondiale, è ridicolo dal punto di vista pratico. Nello stesso tempo, rivela la dimensione ideologica del progetto: si tratta di restaurare il califfato di Bagdad, considerato come il periodo più brillante dell’Islam.
Ma la maggioranza dei musulmani non sogna più il califfato, né un impero senza confini. Ognuno cerca di abitare in una nazione, tanto che anche i curdi stanno lavorando da anni per far nascere la loro nazione.
1. La fine del califfato e la nascita dei “Fratelli Musulmani”
La fine del califfato risale a Mustafa Kemal Ataturk, il fondatore della Turchia moderna. Egli depose il 1° novembre 1922 il sultano Mehmet VI, e 18 giorni dopo fu eletto califfo Abdülmecid Efendi, per poco tempo. Ataturk fondò la Repubblica il 29 ottobre 1923 e dopo essere stato eletto presidente, ha proclamato l’abolìzione definitiva del califfato islamico il 3 marzo 1924.
Questa decisione simbolica fu uno shock per l’intero mondo islamico. Soprattutto in seguito alle decisioni prese da Ataturk, in particolare la laicizzazione dello Stato e la de-islamizzazione della società: parità dei sessi; divieto dell’uso del velo islamico nei locali pubblici; divieto del fez e del turbante; divieto della barba per i funzionari pubblici; adozione dell’alfabeto latino al posto dell’arabo; del calendario gregoriano al posto dell’anno dell’egira; della domenica come giorno festivo; del sistema metrico decimale, ecc.
Da allora molti gruppi hanno cercato di riportare in vita il califfato. Nel 1928, da un progetto di Hassan al-Banna guidato dall’imam azharita Rashid Rida, sono nati i ‟Fratelli Musulmani” proprio per rimediare alla mancanza del califfato. Dopo diverse riflessioni e ricerche da loro svolte per istituire un nuovo califfato in Egitto o in Arabia, essi stessi hanno detto che “non è più possibile avere un califfato” e hanno cambiato rotta: occorre islamizzare i vari Paesi e governi, introducendo la sharia come nostra costituzione. Ciò è stato attuato specie in Arabia saudita, che non ha una costituzione, ma la sharia. In altri Paesi è stata varata una legislazione che si “ispira” alla sharia. Oggigiorno si nota che la maggior parte dei Paesi musulmani, soprattutto i più sviluppati, non va in questo senso e non applica la sharia come un ideale.
2. Chi è Abu Bakr al-Baghdadi
Come tutti i terroristi musulmani, il nuovo “califfo” porta un “nome di guerra”. Non si chiama Abu Bakr al-Baghdadi. Si chiama in realtà Ibrahim Awad Ibrahim Ali al-Badri al-Samarrai, nato a Samarra nel 1971. Il suo nome di guerra completo è: Abu Bakr al-Baghdadi al-Husseini al-Qurashi.
Questo nome, per qualunque musulmano educato, è già un programma. Abu Bakr è il nome (più esattamente la kunyah) del primo califfo, cioè il primo successore di Maometto. Al-Baghdadi evoca il periodo più famoso del califfato islamico, quello abbasside, che aveva per capitale Baghdad (750-1258). Al-Husseini si riferisce a Hussein, figlio di Ali e Fatima, la figlia di Maometto, le figure più venerate dall’islam sciita. Infine, al-Qurashi, si riferisce alla tribù di Maometto, originaria di Quraysh. Secondo un hadith il califfo legittimo deve essere discendente di Maometto. Questi ultimi due nomi (due nisbah) significano che egli è il califfo legittimo per eccellenza , che soddisfa sia i sunniti che gli sciiti.
3. Califfato, il sogno nello scompiglio del mondo musulmano
Il califfato è un sogno e fa riferimento al califfato di Baghdad, quello abbasside. Non è un caso che Abu Bakr al Baghdadi sia irakeno. Per attuare i suoi progetti egli ha provato prima con al Qaida, ma ha dovuto staccarsi da essa. Gli altri gruppi fondamentalisti si sono staccati da lui e lo hanno combattuto in Siria. Anzi, ormai tutti i governi hanno deciso di combatterlo: Algeria, Tunisia, Egitto, Siria, Iraq… A sostenerlo rimangono i Paesi petroliferi – Qatar e altri – non perché condividano l’idea del califfato, ma per creare diversivi, distrazioni nel mondo arabo.
In ogni caso, il califfato non risponde più a quello che i musulmani arabi ricercano. In Egitto, anche i Fratelli musulmani – la cui maggioranza non è per nulla terrorista, anche se viene eliminata dal nuovo governo di Al Sissi – lo hanno sconfessato.
Chi conosce al Baghdadi dice che egli non ha doti per dirigere un grande movimento e non è capace di andare d’accordo con nessuno. Con il poco sostegno che riceve, è molto possibile che il suo ambizioso progetto di conquistare il mondo finisca nel nulla. L’unica cosa che l’Esercito islamico (Ei) possiede è la forza: i suoi militanti non sarebbero nulla senza le armi che i Paesi petroliferi e l’occidente hanno dato loro. Ma tali armi non possono resistere contro un vero esercito. L’Ei appare come vincitore perché ha avuto buona tattica ad attaccare le regioni più deboli e più facili da sottomettere, quelle indebolite dagli ultimi tre anni di guerre e terrorismo. Essi sognavano anche la Libia, ma nessuno li ha seguiti.
4. La decadenza del mondo arabo
In ogni caso la proclamazione del califfato mostra in che direzione si sta muovendo il mondo islamico. Leggendo il proclama di al-Baghdadi, emergono tre affermazioni: anzitutto, “Noi vogliamo restaurare la grandezza dell’islam”; in secondo luogo, “l’occidente ha ridotto il mondo islamico a nulla, uccidendo persone, creando vedove,… “; terzo, “riprendiamoci la nostra leadership con la forza”.
Questo è il tipico discorso mitico dei fondamentalisti: prima eravamo bravissimi, poi ci hanno impoverito, adesso ci riprendiamo il potere con la forza.
Ecco come nella sua filippica di proclamazione, Abu Bakr dipinge la decadenza del mondo islamico
“La Ummah islamica cerca la vostra gihad con speranza. I vostri fratelli in molte parti del mondo, si vedono infliggere le peggiori forme di tortura. Il loro onore è violato e il loro sangue è sparso. I prigionieri gemono e urlano chiedendo aiuto. Gli orfani e le vedove lamentano il loro destino. Le donne che hanno perso i loro bambini piangono. Le moschee sono profanate e i santuari violati. I diritti dei musulmani sono sequestrati con la forza in Cina, India, Palestina, Somalia, Penisola Arabica, Caucaso, nel Sham (il Levante), in Egitto, Iraq, Indonesia, Afghanistan, Filippine, Iran, Pakistan, Tunisia, Libia, Algeria e Marocco, sia in Oriente che in Occidente…”.
Lui parte da una constatazione molto condivisibile: la decadenza del mondo arabo e islamico, riconosciuta da intellettuali e persone di ogni livello sociale. Per rilevarlo, basta paragonare i Paesi musulmani con qualunque Paese occidentale su economia, politica, diritti umani, giustizia, vita sociale, attenzione ai deboli e ai poveri: siamo davvero in un periodo di decadenza. Anche dove abbiamo miliardi e siamo più ricchi di chiunque (si pensi ai Paesi arabi petroliferi), il livello culturale è molto basso e il contributo alla civilizzazione mondiale è nullo!
Di fronte a questo sfacelo nasce il sogno. Tale sogno di rinascita non trova alcun sostegno nei Paesi musulmani ricchi, i Paesi petroliferi, disinteressati a qualunque sviluppo umano integrale. Riflettendo su questo, il mondo arabo deve riconoscerlo: abbiamo soldi, ma sono in mano ad una minoranza; abbiamo i numeri, con centinaia di milioni di persone, ma sappiamo soltanto fare guerre.
5. Ricostruire una cultura aperta
In realtà, l’unica via per riconquistare la nostra dignità è ricostruire culturalmente l’uomo arabo e musulmano, ripensando le leggi, applicando i diritti umani, rafforzandoli, andando nel senso di una cultura aperta, che solidarizza con tutto il mondo. Invece vediamo il diffondersi di una cultura della divisione, che è un passo indietro.
Guardiamo al califfato abbasside e domandiamoci: da dove è venuta la sua grandezza? Essa è venuta dall’unione fra tutte le parti dell’antico impero musulmano. Dal punto di vista culturale più che gli arabi, vi hanno contribuito iraniani, afghani, balkh, cristiani di lingua siriaca… Era una visione aperta che dava spazio a tutti, pur privilegiando il mondo arabo islamico.
Oggi la cultura è basata sui diritti umani della persone e la solidarietà fra i popoli. E noi cosa facciamo? Cerchiamo di giustificare e riportare tutti a un modo di vivere che risale a un periodo passato (il VII secolo), tipico di una regione beduina e desertica: questo non può essere una soluzione per il XXI secolo.
6. L’errore ideologico dell’islam
L’errore del mondo islamico è a livello ideologico. Esso porta a guerre di tipo ideologico: culturale, religioso, storico, ma mai basate sulle vere esigenze della gente.
La gente araba chiede soluzioni ai bisogni essenziali; uguaglianza fra uomini e donne; fra musulmani e non musulmani; ricchi e poveri (nel mondo arabo il povero non ha mai voce!).
Invece di prendere il meglio della civiltà moderna e assimilarlo, noi cerchiamo la soluzione andando indietro.
A causare questo errore ideologico, vi è pure una responsabilità dell’occidente: esso deve migliorare la relazione con il mondo arabo. Fra di noi, l’occidente è visto come un luogo immorale, senza valori. E in parte è vero. L’occidente è visto come la guida del mondo, che però attua il suo dominio anche con le armi, con la legge del più forte. Guardando questi elementi, il mondo musulmano rifiuta il progetto occidentale, troppo “umano”, e spera in un “progetto divino”, che è la sharia.
In realtà la sharia non ha nulla di “divino”: essa è la sedimentazione delle regole tribali e beduine del IX e X secolo, e nulla hanno a che fare con il Corano, che è del VII secolo, o con il profeta Muhammad.
Purtroppo anche se questa idea è condivisa dalla maggior parte della popolazione, i capi politici, soprattutto quelli più ricchi, continuano a mantenere viva questa idea della sharia come una cosa “santa”, difendendo la cultura beduina e del deserto, essendo loro i discendenti di quell’epoca. Ma essi non sono e non potranno mai essere un modello per il mondo musulmano.
7. Israele, l’islam e la teoria del “complotto”
La crisi del mondo islamico si è acuita anche con la fondazione dello Stato d’Israele, una creazione ingiusta perché nata sul territorio di un altro Stato che non era per nulla colpevole della Shoah. La disfatta del 1948 e poi del 1967 ha mostrato fino a che punto il mondo arabo (e il mondo islamico) fosse in ritardo, e ha suscitato tutte le rivoluzioni arabe e l’animosità contro l’Occidente, oltre che l’odio per Israele (e per alcuni contro ebrei e cristiani).
Ma da questa creazione, essendo ormai un fatto storico, non si può tornare indietro. Per entrare nella prospettiva di maggiore collaborazione internazionale, dobbiamo lavorare per una soluzione alla questione israelo-palestinese. Ciò suppone, sia per gli israeliani che per i palestinesi, la decisione di cercare una soluzione giusta anche se mai perfetta, perché entrambi hanno ricevuto torti e procurato ferite.
Di fronte a questa situazione politico-militare, da noi molti vedono la mano d’Israele (e degli Stati Uniti) in tutto ciò che succede in Medio Oriente. Anche nella creazione dell’Ei, si sospetta il loro zampino per dividere il mondo arabo e rimescolare le carte della regione.
Io sono contro la teoria del “complotto”, perché ci indebolisce di più, ci rende irresponsabili della nostra sfortuna. E se questa teoria è vera, allora siamo noi arabi gli stupidi: alla fine chi fa le guerre intestine, nella regione, nel mondo arabo? Siamo noi. E anche se ci lasciassimo abbindolare così facilmente, la nostra responsabilità rimarrebbe.
Che questa situazione di divisione del mondo arabo e islamico dia forza a chi è nemico del mondo arabo, è evidente. Ma favorire la divisione e la guerra è una cattiva politica perché elimina la pace per tutti, anche per Israele. Israele potrà continuare a espropriare territori ai palestinesi, ma arriverà al punto che dovrà tenersi, in uno stesso Stato, israeliani e palestinesi, assumendo quindi al suo interno elementi in lotta. L’unica via è la collaborazione.
Gli aderenti alla teoria del “complotto” accusano gli Stati Uniti e alcuni Paesi europei di aver facilitato questo genocidio interno al mondo islamico. Di nuovo, la colpa è nostra. Il problema è nato da noi in Siria, perché il governo di Damasco, oltre che dittatoriale, è un governo della minoranza alauita. Un problema politico e sociale interno alla Siria, si è trasformato in una guerra religiosa fra sunniti e sciiti, una guerra che risale al settimo secolo!
Anche la soluzione proposta da Abu Bakr al-Baghdadi è quella del settimo secolo, quando Maometto si è messo a combattere tutte le tribù arabe che non credevano in Dio (e nella sua missione), organizzando più di sessanta razzie (= ghazwa) in una decina di anni (622-632) secondo la più antica biografia del Profeta dell’ Islam, il Kitâb al-Maghâzî (“Libro delle spedizioni”) di al-Wâqidî.
Conclusione: Ricostruire la società araba coi valori comuni
Se davvero vogliamo ricostruire la società araba, sono necessarie alcune scelte fondamentali:
1. Noi arabi dobbiamo imparare a convivere sulla base di valori comuni, senza fare guerre a motivo di differenze religiose. E in secondo luogo, dobbiamo pensare alla solidarietà nei Paesi e nella regione. Non è possibile che vi siano arabi superricchi e gente che fa fatica a sopravvivere: queste differenze incoraggiano le guerre.
2. Ad un altro livello, c’è anche da collaborare in tutta la regione, soprattutto con Israele, per la pace coi palestinesi. Ogni passo verso la pace in questo senso potrà facilitare i rapporti anche con l’Occidente.
3. Un’altra urgenza è che i Paesi arabi stilino delle costituzioni ispirate alla giustizia, all’uguaglianza, ai diritti umani, alla pace, senza fare distinzioni tra sessi o religioni.
4. E infine occorre ripulire la società dalla corruzione. I nostri Paesi annegano nella corruzione. In Egitto, per esempio, molte persone non vanno in ospedale perché sanno che ogni servizio, anche il più semplice, può essere elargito solo se paghi una piccola bustarella. Per un intervento chirurgico, una pastiglia quotidiana, un’iniezione devi pagare, altrimenti non ti curano!
Questo movimento del califfato non rispetta nessuno di questi 4 principi. Perciò non avrà successo, anzi rafforzerà le discriminazioni basate su norme stabilite più di 1000 anni fa. La stragrande maggioranza dei musulmani vuol vivere secondo valori autentici e attuali; solo i salafiti vogliono tornare all’epoca medievale!
La soluzione è entrare in una visione di collaborazione internazionale interaraba, per costruire una civiltà nuova, integrando gli elementi positivi della modernità e i valori contenuti nella tradizione islamica. Fuori di questo, il mondo arabo non farà che regredire, e – ciò che è peggio – lo farà in nome della religione, cioè dell’Islam. E’ tempo di salvare l’Islam, lottando contro il fanatismo religioso. Di Samir Khalil Samir per AsiaNews