Il suicidio in questura/ Tolta la caccia al colpevole e la diagnosi da spiaggia cosa ci rimane?

Ieri a Milano un ragazzo di 22 anni litiga con i genitori, i vicini sentono le grida e chiamano la polizia; viene portato in questura ma ad un tratto il giovane, con uno scatto repentino, si suicida buttandosi dalla finestra. Mancano assolutamente le motivazioni, i moventi. In casa sono stati trovati 70 grammi di marijuana ma non si sa se ne ha assunta perché i valori riscontrati al momento dell’arresto erano del tutto normali. Se togliamo gli ingredienti per un pezzo pietistico tipo “dov’è la famiglia?”, “la scuola?”, “la società?”, si sa che i “giovani d’oggi” sono deboli e sbandati, non reggono e si suicidano perché non sono come i loro trisnonni che erano i ragazzi del ’99 (1899) e furono la leva della prima guerra mondiale, se togliamo tutto questo, cosa rimane?

Cioè se togliamo la curiosità di sapere se era drogato o no, se i genitori erano bravi o no, se i fratelli erano uniti o no, se era una situazione di degrado sociale o no, cioè se ci togliamo la possibilità di una diagnosi dal lettino della spiaggia, cosa ci rimane?

Ci rimane la voglia di sostare nel dolore di questa famiglia e di sperare che trovino nell’affetto reciproco e nello stesso dolore una forza nuova. Chi ci è passato, chi ha avuto tragedie simili, sa che dopo notti così la vita può spezzarsi ma può anche farsi nuova. Nuova come solo la morte e la paura sa farla.

Se hai mai ricevuto una telefonata di notte dalle forze dell’ordine o dal 118 che dice che tuo figlio è stato portato all’ ospedale, se sei mai arrivato al box informazioni del pronto soccorso ancora in pigiama ma lucidissimo per chiedere di tuo figlio perché “mi hanno telefonato che lo hanno portato qua”, se hai atteso che il medico ti porti da lui, se lo hai fatto, sai che poi tutto si fa nuovo e che la parola “fine” a una notizia che è la tua vita, non è una fine ma è l’inizio di qualcos’altro.

Non c’è bisogno di analisi e di sapere chi ha sbagliato. C’è bisogno di avere accanto chi era con te a cercare tuo figlio, a trovarlo, a telefonare, e ora a consolare. Nei resoconti che ho letto di questa notizia, ci sono cose che mi fanno ben sperare, lasciatemelo dire. Ci sono i vicini di casa che chiedono che succede e vanno ad aiutare. Ci sono padre e figlio maggiore che si uniscano a cercare il figlio “pecora nera”. C’è il fratello maggiore per le strade di notte insieme alla polizia e c’è pure, lasciatemelo dire, la bella notizia della polizia. Bello il 118 che ascolta il ragazzo e lo porta in ospedale perché lui insiste. Forse “bello” è una parola impropria e scandalosa per descrivere tutto questo, ma non so come renderlo questo pezzetto di intensa umanità che c’è in questa storia e che mi fa sperare. Mi sbaglierò, ma sento che tutto questo dolore, per questa famiglia, non sarà vano.

Di Don Mauro Leonardi

Articolo tratto da Ilsussidiario.net

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