Teologo è del popolo, credente, profeta
Memoria, studio e preghiera intrecciati alla concretezza della vita, dell’annuncio di Cristo. E’ la sfida che Papa Francesco ha ribadito ai tanti teologi riuniti per il Congresso Internazionale a Buenos Aires. Il teologo è principalmente figlio del suo popolo – ha spiegato – che “incontra le persone, le storie”, conosce “la tradizione”. “E’ l’uomo che impara ad apprezzare quello ha ricevuto come un segno della presenza di Dio”. Il teologo “è un credente” – ha proseguito – “che ha esperienza di Gesù Cristo, e ha scoperto che senza di lui non può vivere”. Il teologo è un profeta perché – ha rimarcato – riflettendo “la tradizione che ha ricevuto dalla Chiesa”, “mantiene viva la consapevolezza del passato”, creando l’invito al futuro in cui Gesù sconfigge l’autoreferenzialità e la mancanza di “speranza”. Centrale la preghiera via e realtà “tra passato e presente, tra il presente e il futuro”.
La memoria della Tradizione
Francesco ha sottolineato l’importanza di recuperare “la memoria del passaggio di Dio” nella “vita della Chiesa”, per sconfiggere divisioni e tentazioni. Guardando ai 100 anni della Facoltà teologica e ai 50 dal Concilio Vaticano II ha tracciato il legame tra tradizione e presente, tra studio e testimonianza in un “Cattolicesimo” che abbraccia tutto il tempo per poter essere “vero” e “autentico”. Ha spiegato che non può esistere una “Chiesa particolare isolata”, con la “pretesa di essere proprietaria e unica interprete della realtà e dell’azione dello Spirito”; così come – ha detto – non ci può essere una Chiesa universale che “ignora”, “rinnega” la realtà locale. Centrale la tradizione della Chiesa definita “fiume vivo” che risale alle origini e si proietta verso il futuro, che “irriga” terre diverse, e “alimenta” varie aree geografiche del mondo”. Così – ha detto Francesco – si continua a ad “incarnare il Vangelo in ogni angolo” del pianeta in un modo “sempre nuovo”.
Relativismo e dignità della persona
In questo senso il compito del teologo è “di discernere”, “riflettere” su cosa significhi essere un cristiano di oggi. Perché – spiega il Papa – il cristiano di oggi in Argentina non è lo stesso di 100 anni fa, e non lo è allo stesso modo “in India, in Canada, a Roma”. Volgendo lo sguardo in particolare alle sfide che affronta l’Argentina ha parlato di multiculturalismo, relativismo e globalizzazione che a volte “minimizzano” la dignità della persona “rendendola un bene di scambio”. Ha ribadito la via del Vangelo, che “continua ad essere presente per placare la sete” “del popolo” e che permette di allontanare due grandi “tentazioni”: quella che condanna ogni cosa rifugiandosi “nel conservatorismo o nel fondamentalismo” e quella che consacra tutte le novità, tutto ciò che ha un “nuovo gusto”, relativizzando “la saggezza”.
Dottrina e pastorale
In questo contesto – ha proseguito – lo studio della teologia acquista un valore di primaria importanza”, ma ha chiarito che non può esistere il concetto di mera “dottrina” “staccata dalla pastorale” e indicando i padri della Chiesa come “Ireneo, Agostino, Basilio, Ambrogio” ha rimarcato che “sono stati grandi teologi perché erano grandi pastori”. Quindi è tornato a ribadire la necessità dell’incontro, con le famiglie, i poveri, gli afflitti, le periferie, vie per una “migliore comprensione della fede”. “Una teologia che nasce al suo interno – ha sottolineato – ha il sentore di una proposta che può essere bella, ma non reale”. Le “domande del nostro popolo – ha aggiunto -, la loro angoscia, i loro sogni, le loro lotte, le loro preoccupazioni hanno un valore ermeneutico”, che non “possiamo” ignorare.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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