Negli ultimi settant’anni, la democrazia ha affermato il suo primato su tutti i regimi politici. Nonostante questo, numerosi sono stati i fenomeni di intolleranza e di violenza che hanno portato all’eliminazione fisica degli oppositori e di minoranze etniche. Essere umani uccisi non per quello che hanno fatto ma per ciò che essi sono o rappresentano (Timor Est, Cambogia, Sudan, Rwanda, Burundi, ex-Yugoslavia, Kossovo, Kurdistan… e l’elenco cresce ogni anno di più).
Secondo il filosofo J. F. Lyotard, la comunità occidentale sta continuando a vivere in un totalitarismo post-moderno e post-democratico retto dall’incontrastato dominio economico e mass-mediatico. Per lo studioso, infatti, è possibile individuare due forme di regime totalitario: quello politico in senso stretto e un altro assimilabile a una sorta di totalitarismo soft. Il primo ha raggiunto la sua configurazione istituzionale con lo stalinismo e il nazismo; il secondo è quello attuale, che opera attraverso la riduzione dell’altro tramite un continuo processo di inclusione ed esclusione, nonché di omologazione e di rifiuto. Questo tipo di dominazione è senza terrore e senza un’ideologia conclamata, sostenendo soltanto il profitto, la vendita e il consumo.
E’ opportuno ricordare che il totalitarismo si è affermato in società che esprimevano un bisogno di sicurezza e semplificazione sociale e culturale. Il totalitarismo, quindi, non è solo un sistema coercitivo che comanda e crea consenso ma è anche la risposta a un’istanza della popolazione. Per la sua affermazione è necessaria una base, una mentalità totalitaria, il desiderio di un ordinamento sociale fortemente controllato caratterizzato da aggressività e caricato di vittimismo persecutorio. Questo, ovviamente, non costituisce un passaggio obbligato al totalitarismo ma evidenzia che, con il crollo dei totalitarismi, non cessa di essere attiva la mentalità totalitaria.
La storia più recente ha dimostrato che alcune caratteristiche del totalitarismo continuano a manifestarsi. Non bisogna, dunque, considerare questo fenomeno solo come l’opposto della democrazia. Esso è una risposta estrema alle questioni che la modernità politica pone e non può risolvere. Non solo allora il totalitarismo è un’esperienza moderna ma è anche una possibile conseguenza della democrazia. Una forma di società che reagisce alla debolezza costitutiva della rappresentanza democratica e alla sua indeterminatezza. Certo, il continente europeo difficilmente cadrà preda delle vecchie ideologie e del terrore di Stato. Tuttavia, ci si accorge che non basta una democrazia consolidata per evitarne il ritorno.
Per capire il totalitarismo occorre analizzare l’uomo che lo ha voluto. L’uomo che, all’inizio del secolo scorso, camminava per le strade di Berlino e di Leningrado. Questo è un uomo vuoto, privato di qualsiasi fede e annichilito nella radice più profonda della sua anima. È un uomo che ha paura di perdere la propria identità, di essere solo un numero nel bilancio dello Stato e di non avere una precisa collocazione in questo mondo. È un uomo debole e quasi sicuramente tutto meno che crudele. Nella democrazia, invece, l’uomo convive con il dissenso e non ha paura del dialogo, portando avanti le proprie idee e i propri valori.
Oggi ritroviamo molte caratteristiche presenti agli inizi del secolo scorso. Ci troviamo di fronte a una società che chiede più polizia, sentenze più pesanti e regimi carcerari più duri. Inoltre, si profila un forte rischio per via del riassorbimento nella politica di quella domanda religiosa che dimora nel cuore di ogni essere umano. Il senso della trascendenza cristiana dal quale l’uomo traeva la sua libertà, la sua apertura, la sua sensibilità per la giustizia nonché la laicità, si è chiusa in interessi materiali.
Il principale nemico delle società democratiche sembra proprio essere il relativismo, quale dissolvitore di ogni legge e di ogni regola morale. Il pericolo è proprio quello di un’alleanza tra democrazia e relativismo etico che toglie alla convivenza civile ogni sicuro punto di riferimento morale e la priva del riconoscimento della verità. Infatti, se non esiste nessuna verità ultima che guida e orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Siamo di fronte a quella confusione tra il bene e il male su cui molte volte si è soffermato papa Giovanni Paolo II. Una sua enciclica riporta le seguenti parole: “quando la coscienza, questo luminoso occhio dell’anima, chiama bene il male e male il bene, è ormai sulla strada della sua degenerazione più inquietante e della più tenebrosa cecità morale.” Nel passato, questa confusione, questo disorientamento ha portato a una forte scristianizzazione della società che è culminata nei totalitarismi del XX secolo.
Le radici del totalitarismo si possono trovare in quel relativismo culturale che oggi prende sempre più l’aspetto di un laicismo aggressivo e persecutore. Non c’è solo un totalitarismo comunista che proibisce il crocifisso nei luoghi pubblici come simbolo dell’oppio dei popoli; non c’è solo un totalitarismo islamico che proibisce il crocifisso come espressione di blasfemia; c’è anche un totalitarismo laico che ha orrore nel ricordare le origini cristiane dell’Europa, fino a rifiutarsi di evocarlo nel preambolo della Costituzione europea. Quello che vediamo, quando rivolgiamo l’attenzione alle esperienze totalitarie è il perpetuarsi di un fallimento della modernità come civiltà, tesa alla produzione incessante di una vita che vuole essere sempre più innovativa ma che, in fondo, non è che una vita nuda e desolata.
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