Palermo, 22. Onestà, retta intenzione e serietà di vita sono i requisiti assolutamente necessari per far parte di una qualsiasi confraternita dell’arcidiocesi di Palermo. Lo chiede, con un decreto, l’arcivescovo Corrado Lorefice. Nella sostanza si tratta di una stretta per evitare infiltrazioni della criminalità organizzata.
«È intrinsecamente inconciliabile l’agire malavitoso, tanto più una militanza attiva tra i ranghi di società di stampo mafioso, e l’appartenenza ad una delle tante nostre confraternite che perseguono i fini apostolici propri della Chiesa. Una contraddizione più stridente non è dato poterla immaginare!», scrive il presule nel decreto, che porta la data dello scorso 25 gennaio, festa della conversione di san Paolo, e che è entrato in vigore ieri.
«In questo particolare contesto storico — si legge nella presentazione — la nostra arcidiocesi sente il dovere di intervenire per evitare di criminalizzare indiscriminatamente tutti i membri delle confraternite e si affida ad alcuni strumenti di accertamento della legalità per esercitare il suo dovere di vigilanza e per tutelare dalle associazioni mafiose e criminali o dalle associazioni segrete, le realtà confraternali, cui è affidato il delicato compito di trasmettere non solo le autentiche tradizioni della nostra pietà popolare ma, ancor più, una testimonianza di vita coerente con il Vangelo di Cristo accolto e annunciato nella vivente Tradizione della Chiesa». Conseguentemente, d’ora in poi quanti vorranno far parte di una confraternita hanno l’obbligo di produrre «documentazione essenziale ad attestare il loro indubbio percorso di testimonianza dei valori evangelici nella vita civile»: occorrerà il certificato generale e il certificato dei carichi pendenti del casellario giudiziario rilasciati in data non anteriore a tre mesi.
«Non possono essere accolti, quali membri della confraternita — stabilisce il decreto — coloro che si sono resi colpevoli di reati disonorevoli o che con il loro comportamento provocano scandalo; coloro che appartengono ad associazioni di stampo mafioso o ad associazioni più o meno segrete contrarie ai valori evangelici». In questo senso, viene esplicitamente ribadita l’inconciliabilità con l’adesione alle associazioni massoniche. Non possono essere accolti neanche «coloro che hanno avuto sentenza di condanna per delitti non colposi passata in giudicato».
I confratelli che si rendono colpevoli dei reati che sono ostativi all’ammissione sono obbligati alle dimissioni e «chi è interessato da provvedimenti cautelari restrittivi della libertà personale, decade» fino «all’accertamento giudiziario della loro condizione». Ma non basta. «Consapevoli che una “fedina penale pulita” non necessariamente è indice di “vita pulita” — scrive monsignor Lorefice — si dà mandato ai parroci e agli assistenti spirituali delle stesse di accompagnare sempre la richiesta di ammissione ad una confraternita con una lettera che dia sufficienti garanzie circa la retta intenzione del richiedente e la serietà della sua vita, quale condizione essenziale e imprescindibile per l’ammissione».
I documenti richiesti si aggiungono ai certificati già previsti dallo statuto diocesano e dagli statuti delle singole confraternite, quali il certificato di battesimo e cresima, di matrimonio e lo stato di famiglia.
Osservatore Romano, 23 febbraio 2019
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