Il virus del nazionalismo, la forza della democrazia

Quando 100 anni fa gli europei di Paesi diversi marciarono verso la guerra con entusiasmo ingenuo, non immaginavano che ci sarebbero voluti quattro anni per riuscire a fermare distruzione e uccisioni provocati da un furore militare fino ad allora sconosciuto e che non si sarebbe risparmiata la popolazione civile. Da un conflitto tra vicini si era nel frattempo generata una conflagrazione globale: la prima guerra mondiale.

Il nazionalismo – alla base del conflitto – è caratterizzato da un fanatismo irrazionale e limitato che vede solo se stesso, i propri interessi, meriti, aspettative, diritti. Questo porta a una chiusura in sé, all’isolamento contro tutto ciò che è “estraneo”, con un conseguente e profondo impoverimento intellettuale. L’autostima che si genera finisce necessariamente in un disastro.

Il virus del nazionalismo è rimasto attivo dopo la prima guerra mondiale e ha avvelenato le relazioni tra i responsabili politici e i popoli, consentendo infine l’ascesa di forze radicali estremiste. L’arroganza nazionalista e le ristrettezze di vedute hanno impedito dopo la fine della guerra un’autocritica e una riflessione che avrebbero consentito di dare un fondamento etico al rinnovamento. A livello politico, non si è imparata in modo adeguato la lezione da quanto era accaduto. Questo ha permesso la salita al potere di movimenti fascisti e nazisti che hanno portato alla devastazione spirituale e materiale della seconda guerra mondiale.

Solo quando l’Europa è stata in totale rovina, e dopo che l’Olocausto aveva rivelato la piena portata della barbarie del conflitto, si sono ridestate le forze di un rinnovamento spirituale che hanno portato a un nuovo inizio politico. Si trattava principalmente della riconciliazione dell’Europa con se stessa attraverso il superamento del nazionalismo. Nella nuova Europa, il protagonismo delle singole nazioni doveva essere eliminato e quindi anche l’antagonismo fra le nazioni avrebbe dovuto diventare obsoleto. Gli Stati-nazione europei avevano fallito miseramente. La validità del principio dello Stato-nazione era stata messa in discussione.

È stato un “colpo di fortuna” che dopo la guerra Robert Schuman, Alcide de Gasperi, Konrad Adenauer siano stati contemporaneamente nominati a capo dei governi dei loro Paesi. Durante i cinquant’anni precedenti, tutti e tre gli statisti avevano vissuto e sofferto da un punto di osservazione privilegiato. Venivano da zone di confine, che avevano allo stesso tempo legato e separato i loro tre Paesi. Erano cattolici praticanti e impegnati. La loro origine li aveva sensibilizzati sui problemi ai quali ora si dovevano dedicare; le loro esperienze convogliavano la capacità di affrontare con successo la situazione in cui venivano a trovarsi; la fede e la saggezza umana mostravano loro soluzioni appropriate e promettenti per i loro Paesi e per l’Europa.
Dall’interazione tra questi statisti e i loro collaboratori è nata nel 1952 la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, prima concretizzazione dell’“idea europea”, che è andata ben al di là di una mera cooperazione tra i governi coinvolti. Prendeva forma un organismo, al quale i sei Stati fondatori hanno poi ceduto parti della loro sovranità, perché nel quadro della sua missione agisse per tutti. Così sono state gettate le fondamenta per ciò che alcuni anni dopo sarebbe diventata la Comunità economica europea e oggi, con gli ulteriori sviluppi, l’Unione europea, con i suoi 28 Stati membri.

Guardando indietro, salta subito all’occhio la natura dell’Unione europea protettrice della pace e della libertà. Ma questa Unione è anche per la crescita, la prosperità e la qualità della vita. In breve: la politica d’integrazione europea che ha imparato dal passato le lezioni necessarie, ha trovato risposte giuste ai disastri della prima metà del XX secolo. La continuazione di questa politica potrà garantire che i cittadini dell’Ue vivano un futuro di pace.

Il significato reale di questa garanzia si mostra 100 anni dopo l’inizio della prima guerra mondiale, nell’aggressione contro l’Ucraina che arriva dal Cremlino. Anche in questo caso, si tratta di un nazionalismo esasperato, che si manifesta in rivendicazioni egemoniche senza rispetto verso i diritti dei vicini. Non di meno, all’interno dell’Unione il virus del nazionalismo minaccia la coesione. Con i risultati delle elezioni europee di maggio è diventato chiaro che, in tempi di crisi, gli araldi delle soluzioni semplicistiche hanno un gioco relativamente semplice nel sedurre una parte significativa della popolazione. Certo, il contesto politico e sociale non permetterà questa volta che il nazionalismo ottenga di nuovo il sopravvento. Le istituzioni democratiche dei Paesi europei sono diventate più solide rispetto al 1914. Ma il nazionalismo, che spesso arriva insieme alla xenofobia, può causare danni nella misura in cui ostacola o impedisce l’unificazione dell’Europa, a cui dobbiamo la nostra pace e la libertà. Il modo migliore per combatterlo è la ricerca risoluta dell’integrazione comunitaria, con l’obiettivo di garantire attraverso una politica economica e sociale intelligente e solidale la prosperità delle persone e, infine, rendere l’Ue solida per il futuro attraverso una costituzione democratica e federale. Di Thomas Jansen per Sir Europa (Germania)

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