Ci sono delle parole che curano e delle parole che feriscono, delle parole che penetrano il cuore come una freccia d’amore e delle parole che come coltelli possono ammazzare una persona. Le parole di un papa, sono come le parole di un papà, che riscaldano il cuore e danno forza per vivere.
In un mondo aggressivo e volgare, la gentilezza non è di moda, ma è importante che da uomini di buona volontà e da cristiani, ridiventi un modo bello per costruire il mondo che è la casa comune di tutti. Il termine gentilezza al latino “gentilem” che significa “appartenente a qualche gens, famiglia patrizia”, quindi essere nobile, garbato, amabile, cortese.
Lo scrittore abruzzese Ignazio Silone nel suo romanzo “Fontamara” descrisse in maniera perfetta un mondo antico, una piramide sociale, un modo di essere e di vedere la vita che caratterizzò il mondo contadino per secoli, ma che ancora oggi non ci fa sentire fratelli di tutti:
“In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch’è finito”, sempre Silone scrive: “Il cafone è un asino che ragiona. Perciò la nostra vita è cento volte peggiore di quella degli asini veri, che non ragionano. L’asino irragionevole porta 70 chili di peso, oltre non ne porta. L’asino irragionevole ha bisogno di una certa quantità di paglia. Tu non puoi ottenere da lui quello che ottieni dalla vacca, o dalla capra, o dal cavallo. Nessun ragionamento lo convince. Nessun discorso lo muove. Lui non ti capisce, o finge di non capire. Ma il cafone invece, ragiona. Il cafone può essere persuaso. Può essere persuaso a digiunare. Può essere persuaso a dar la vita per il suo padrone. Può essere persuaso ad andare in guerra”. La parola “cafone” da cafo (terra), cioè persona zotica, grossolana e ignorante, oppure priva di buon gusto, di tatto, di rispetto, ma bisogna essere gentili con tutti, non conta la provenienza o lo stato sociale. Un giorno un bambino chiede ad un nobile: “Ma nelle tue vene scorre il sangue blu?” ed io rispondo: “In ogni persona scorre il sangue blu… siamo tutti figli di un Re, cioè di Dio, siamo tutti nobili e la vera nobiltà è l’amore”.
Usare gesti e parole di gentilezza che per papa Francesco sono tre: “Permesso. Grazie e Scusa”. La gentilezza è la lingua che il sordo ascolta e il cieco vede, diceva Mark Twain, ed un proverbio russo dice: “Una parola gentile è come un giorno di primavera”.
Meditiamo le parole dell’enciclica: “Fratelli tutti”
Recuperare la gentilezza
- L’individualismo consumista provoca molti soprusi. Gli altri diventano meri ostacoli alla propria piacevole tranquillità. Dunque si finisce per trattarli come fastidi e l’aggressività aumenta. Ciò si accentua e arriva a livelli esasperanti nei periodi di crisi, in situazioni catastrofiche, in momenti difficili, quando emerge lo spirito del “si salvi chi può”. Tuttavia, è ancora possibile scegliere di esercitare la gentilezza. Ci sono persone che lo fanno e diventano stelle in mezzo all’oscurità.
- San Paolo menzionava un frutto dello Spirito Santo con la parola greca chrestotes (Gal 5,22), che esprime uno stato d’animo non aspro, rude, duro, ma benigno, soave, che sostiene e conforta. La persona che possiede questa qualità aiuta gli altri affinché la loro esistenza sia più sopportabile, soprattutto quando portano il peso dei loro problemi, delle urgenze e delle angosce. È un modo di trattare gli altri che si manifesta in diverse forme: come gentilezza nel tratto, come attenzione a non ferire con le parole o i gesti, come tentativo di alleviare il peso degli altri. Comprende il «dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano», invece di «parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano».
- La gentilezza è una liberazione dalla crudeltà che a volte penetra le relazioni umane, dall’ansietà che non ci lascia pensare agli altri, dall’urgenza distratta che ignora che anche gli altri hanno diritto a essere felici. Oggi raramente si trovano tempo ed energie disponibili per soffermarsi a trattare bene gli altri, a dire “permesso”, “scusa”, “grazie”. Eppure ogni tanto si presenta il miracolo di una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza. Questo sforzo, vissuto ogni giorno, è capace di creare quella convivenza sana che vince le incomprensioni e previene i conflitti. La pratica della gentilezza non è un particolare secondario né un atteggiamento superficiale o borghese. Dal momento che presuppone stima e rispetto, quando si fa cultura in una società trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e di confrontare le idee. Facilita la ricerca di consensi e apre strade là dove l’esasperazione distrugge tutti i ponti.