Figlio di un teologo, Max Gazzè è un curioso di Dio e delle religioni. «Più che recitare preghiere – dice – credo sia importante “essere” preghiera».
Max Gazzè è un artista estroso e molto apprezzato nel panorama musicale italiano. Un moderno cantastorie, capace di passare con grande maestria da canzoni impegnate a ballate divertenti e poetiche. Grande passione, professionalità, eleganza, raffinatezza sono gli ingredienti che contraddistinguono l’artista romano, sempre pronto a sperimentare e sperimentarsi con uno stile tutto personale che rende le sue canzoni uniche nel loro genere.
Lo abbiamo incontrato a Roma in uno dei suoi tanti concerti e con grande simpatia e disponibilità ci ha parlato di musica, di canzoni e del suo rapporto con la fede.
Msa. Max, sei autore di brani di successo sempre in vetta alle hit. Che cosa consiglieresti a chi volesse intraprendere la carriera artistica?
Gazzè. Lasciate perdere… No, no, scherzo! Io sono cantante quando canto, e mangiante quando mangio (sorride simpaticamente, ndr). In realtà nella vita bisogna sempre coltivare le proprie passioni, quando sono reali, sincere e oneste. Io sono un musicista, sono diventato cantante in seguito. Per percorrere una strada come questa bisogna impegnarsi tanto per superare tutte le difficoltà che si possono incontrare. La cosa più importante di questo lavoro è non arrendersi davanti al primo ostacolo.
Nella tua carriera hai sperimentato anche il teatro: nel 2010 hai interpretato il ruolo di Erode nell’intramontabile musical Jesus Christ Superstar. Che cosa ti ha lasciato quell’esperienza?
È stata un’esperienza bellissima. Io amo il teatro, il cinema. Per me la recitazione è un’arte sublime, far parte del cast di un’opera come Jesus Christ Superstar mi ha gratificato moltissimo e spero un domani di poter replicare l’esperienza in un modo o nell’altro.
Nei tuoi brani, la ricerca di nuove soluzioni musicali si coniuga perfettamente con testi innovativi. Da dove arriva tutto questo?
Oggi c’è un sostanziale bisogno di fede che ognuno cerca di soddisfare a modo proprio. Qual è il tuo rapporto con la fede?
Diciamo che credere in qualche cosa inevitabilmente apre le porte a quella realtà.
Tra i diversi viaggi che si possono fare nella vita ci sono anche quelli che rinfrancano lo spirito. Tu hai mai fatto un pellegrinaggio?
Mio padre organizzava pellegrinaggi per gruppi di persone, andava in Umbria, ad Assisi. Lui era molto impegnato nelle attività legate alla parrocchia, ma non solo, organizzava anche convegni di sindonologia (studio della Sindone, ndr) essendo molto esperto di questo argomento.
Che cosa ti ha trasmesso tuo padre?
Mio padre era anche teologo e mi ha trasmesso molta curiosità sulla religione e sul mondo. Negli ultimi trent’anni ho studiato e ho imparato tante cose che riguardano la religione, ma non solo quella cristiana.
Ci sono dei momenti che dedichi alla preghiera?
Devo essere onesto: senz’altro prego, però sono vent’anni che studio i manoscritti di Qumram, ossia i rotoli ritrovati sul Mar Morto e gli scritti degli esseni. A me pare ci sia un distacco tra quello che è il pensiero cristiano e l’evoluzione stessa del pensiero cattolico. Più che recitare preghiere, credo sia importante «essere» preghiera. Io a volte divento preghiera.
Papa Francesco è un Pontefice molto amato, che riesce ad arrivare al cuore della gente. Che impressione hai di lui?
Mi piace moltissimo. È una persona con una grande comunicativa, che comprende i bisogni dei più deboli e riesce a cavalcare le difficoltà per realizzare graduali cambiamenti all’interno della Chiesa. Credo sia un grande Pontefice.
di Antonella Romano per il Messaggero di sant’Antonio
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