Conservato in un Santuario poco distante da Chieti il “Volto Santo” di Manoppello fa discutere gli studiosi della Sindone. Secondo il gesuita Heinric Pfeiffer tra Sindone e “velo” della Veronica c’è un preciso legame che prova dell’immagine di Cristo.
ROMA. In un santuario costruito nel XVII secolo a un passo da Manoppello, antico borgo non distante da Chieti, è conservato un eccezionale documento iconografico che, accuratamente studiato da pochi anni da una monaca trappista tedesca, suor Blandine Paschalis Schloemann, e da un gesuita tedesco, padre Heinrich Pfeiffer, docente di storia dell’arte all’università Gregoriana, si è rivelato come una straordinaria conferma dell’autenticità della Sindone di Torino. Si tratta del non troppo famoso, in verità, “Volto Santo” di Manoppello: un velo sottilissimo, quasi una diapositiva su tessuto, sul quale si è formata, in modo del tutto inspiegabile, una “icona” del volto di Cristo che coincide perfettamente, anche nei minimi particolari, con il volto della Sindone.
Rispetto a questa, tuttavia, il Volto Santo di Manoppello è molto più nitido, positivo, colorato e in apparenza privo di tracce di sangue. Anzi, pur riproducendo tutte le ferite del volto di Cristo, le mostra in un momento che parrebbe successivo a quello della Sindone, cioè mentre si era iniziata la loro rimarginazione.
Secondo padre Pfeiffer è questa l’autentica “Veronica” che un tempo era venerata a Roma in una cappella della basilica vaticana situata dove ora si trova Ia Pietà del Michelangelo. Veronica non è la santa che, secondo la tradizione, avrebbe asciugato con un panno il volto di Cristo, come dice la sesta stazione della Via Crucis, ma è quel panno stesso, quel velo sul quale sarebbe rimasta impressa la “vera icona” (da cui “veronica”) del Signore.
Quella “Veronica” di cui si diceva all’inizio si trovava a Roma almeno dal XII secolo. Durante gli Anni Santi i pellegrini venivano soprattutto per vedere quel Volto, che venne esposto anche nel lunghissimo giubileo del 1475, durato fino al 1479. Poi sparì agli inizi del 600 e il “velo” che si trova ora in San Pietro non ha nulla a che fare con l’originale Veronica. La tesi di padre Pfeiffer, confortata da una serie corposa di argomentazioni e documentazioni iconografiche, è che la Veronica sia proprio il Volto Santo del santuario abruzzese.
Quel velo, infatti comparve a Manoppello agli inizi del 600, quando a Roma venne distrutta la cappella della Veronica. I Cappuccini lo hanno fatto studiare, ma senza metterlo in relazione con una serie di altri documenti che invece, dice Pfeiffer, portano tutti a una conclusione: il volto di Cristo, così come risulta sia dalla Sindone che dalla Veronica prese isolatamente sia dalla loro sovrapposizione, era assai noto agli artisti in epoche assai precedenti alla ricomparsa della Sindone a Lirey, nella Francia settentrionale.
L’iconografia antica di Gesù presenta straordinarie coincidenze. Per esempio a cominciare da un affresco (assai discusso, in verità) della metà del terzo secolo ritrovato nel 1953 nell’ipogeo degli Aureli in viale Manzoni a Roma e frequentato dalla setta gnostica dei Carpocraziani, per arrivare alle formelle del 420 delle porte di Santa Sabina, alle monete coniate dall’imperatore Giustiniano II nel 692 a Costantinopoli. Questa coniazione, a sua volta, riproduce i tratti di Cristo che si vedevano su un “velo” che da Camulia, in Cappadocia, era stato portato in quella capitale nel 574 da Giustino II, e coincide con molte altre immagini del volto di Cristo che denunciano una conoscenza della Sindone e della Veronica in epoche precedenti al ritrovamento della Sindone stessa.
Tutte queste immagini presentano infatti un volto un pò rotondo, la barba bipartita, i capelli ondulati e paralleli, un piccolo ciuffo di capelli che scende sulla fronte dall’attaccatura e una specie di acconciatura alta sulla fronte (come Cristo “pantocrator” del convento di S. Caterina sul Sinai, del secolo XII), che appare soltanto nella sovrapposizione del Volto di Manoppello sulla Sindone. Quest’ultima operazione è stata fatta nel 1978 in grandezza naturale, mediante fotografie e con metodo scientifico dalla monaca trappista tedesca, con risultati, come si diceva, di una coincidenza incredibile.
Su questo tema padre Pfeiffer sta curando una edizione di due volumi in Germania. In breve, Ia sua convinzione è che il cosiddetto mandilion o asciugamano con cui Gesù, secondo Ia leggenda, si sarebbe deterso il volto lasciandovi impressa miracolosamente la propria immagine, donandolo poi a re Abgar (di cui si parla nei vangeli apocrifi), sia volto3in realtà il sudario di Cristo. Da Camelia, in Cappadocia, il sudario o Santo Volto sarebbe stato trasportato prima a Costantinopoli e poi a Roma, dove era conosciuto come immagine acheropita (non dipinta da mano umana) nel Patriarchio lateranense dove è oggi la Scala Santa. Da Roma arrivò infine a Manoppello, dove fu venduto per ricavarne il prezzo del riscatto di un soldato prigioniero e arrivò nelle mani dei cappuccini. Invece quello che si credeva fosse il mandilion di Edessa (l’attuale Urfa, nella regione sud-orientale della moderna Turchia, che fa parte del Curdistan) sarebbe la vera Sindone che, trasportata a Costantinopoli, ne sparì per riapparire molto più tardi a Lirey e finire a Torino.